Intervista a Elena Ciurli




A tu per tu con l’autore


 

La protagonista del libro “La forma muta” è una donna che mi permetto di definire imperfetta: quanto c’è dell’autrice in lei? O quanto non c’è dell’autrice in lei?

Parto dal presupposto che ogni essere vivente sia per sua natura imperfetto. Anita, la mia protagonista lo è in modo marcato, e in un certo senso liberatorio. Conoscere le sue debolezze, le sue rovinose cadute verso il basso, la rendono più vicina al lettore, più umana. Non si vergogna dei suoi errori, ne soffre certamente, ma ne prende atto e cerca di andare avanti a testa alta. Credo di avere trasferito in lei la forza e la tenacia che mi porto dentro, ma anche le mie fragilità di donna nel rapporto con gli altri. La paura e la voglia di amare e il coraggio di lasciarsi amare.

Un uomo conosciuto in un bar è un personaggio che arriva all’improvviso e in modo decisivo nella vita di una donna dall’equilibrio precario: è proprio indispensabile un uomo nella vita di una donna come lei, reduce da diverse delusioni sia sul fronte familiare che personale, o quello che cerca Anita è solo qualcuno che possa temporaneamente lenire le sue ferite? Insomma…quei due hanno un futuro?

Una presenza “amorosa” non è mai indispensabile nella vita di una donna, né in condizioni di serenità, né tanto meno di sofferenza, come nel caso di Anita. Lei sta cercando di bastare a se stessa, di volersi bene, di accettarsi. Alberto è però un ulteriore slancio verso la vita, verso la riscoperta del suo lato femminile, che ha sepolto per anni sotto strati di rancore e indifferenza.  Avranno un futuro solo se Anita riuscirà davvero a lasciarsi amare, chissà, forse lo scoprirete.

L’ambiente universitario, la gipsoteca (che, lo ammetto, era un termine a me del tutto sconosciuto prima di leggere il tuo libro) rendono il romanzo particolarmente originale. Da dove arriva questa ispirazione?

Dai racconti di una cara amica sulle sue giornate universitarie a Carrara: le sue avventure mi hanno sempre affascinata. La città stessa con il suo fiero spirito anarchico, l’accademia di Belle Arti con le sue statue imponenti e la gipsoteca, dove hanno trovato eterna dimora le opere in gesso di artisti famosi, ricoperte dalla polvere e dimenticate anche dal tempo. Una sera ho avuto di fronte a me il fotogramma nitido di un dettaglio che ho inserito nel romanzo: da lì è partito tutto. La mia voglia di raccontare quella storia si è fatta urgente.

Anita diventerà una protagonisa seriale? Ci sono progetti in questo senso?

Voglio bene ad Anita e sento di dover raccontare ancora molto di lei, quindi sì, sto pensando di scrivere un altro romanzo che la veda come protagonista.

Onestamente avrei gradito maggiore approfondimento soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento delle indagini. Mi è sembrato tutto un po’ frettoloso. L’ho interpretato come una scelta per dare maggiore rilevanza alla storia personale della protagonista piuttosto che al caso con cui è alle prese. Sbaglio?

Esatto, hai colto pienamente il senso: l’indagine qui diventa quasi un pretesto per entrare in contatto con la vita della protagonista nella sua dimensione più intima e soprattutto scomoda. Il gioco di specchi tra lei e l’uomo misterioso che è la voce narrante di alcuni capitoli del romanzo, porta Anita verso la risoluzione del caso, ma la pone di fronte anche ad alcuni importanti interrogativi sulla sua esistenza. Per trovare le ragazze scomparse dovrà fare i conti con il suo passato. Ci saranno mura da abbattere e ricostruire, identità da riconoscere ed accettare.

Elena Ciurli, 14/01/2020

Stefania Ceteroni

 

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