A tu per tu con l’autore
Per prima la fatidica domanda: come nasce il personaggio del commissario Donnarumma?
L’idea di scrivere un vero e proprio giallo ambientato a Salerno è nata anni fa, dopo essermi cimentato con Donnarumma e il trinciapollo, un racconto noir ambientato nei miei luoghi, commissionatomi dal direttore del quotidiano “la Città”. Quindi non ho fatto altro che sviluppare quel racconto con quel protagonista e dargli il respiro del romanzo.
Cosa dire di Filippo Donnarumma? Parodiando Flaubert, Donnarumma c’est moi, in pregi e difetti. Ma è soprattutto il mio alter ego o colui che vorrei essere e non sono. Nel fisico mi somiglia molto: alto, magro, bruno, occhi grandi, capelli abbastanza lunghi e impomatati. Porta il pizzetto. Veste in maniera elegante… e qui il personaggio comincia a divergere dall’immagine reale del suo scrittore, mescolando verità e finzione. É vanitoso, si guarda spesso allo specchio: si piace. Avrebbe voluto fare il musicista (suona la chitarra) o lo scrittore, ma è stato costretto a entrare in polizia dopo il suicidio del padre per debiti di gioco. Ama le donne, la buona cucina, il cinema dei cineforum, il vecchio calcio, la musica classica, gli chansonnier francesi e la canzone napoletana. Odia i falsi profeti e gli allineati.
Donnarumma è uno scopritore di talenti femminili nascosti, cosa che vorrebbe essere, ma non è, lo scrittore Notari. Quasi ogni donna, per il commissario, possiede un talento al quale rendere omaggio. Più è piccolo e nascosto più lo intriga. “Una donna passa, la noti e ti limiti a osservarla. La segui con lo sguardo mentre si allontana e le assegni un’immagine, una fantasia. Qualche volta, invece, è lo stesso talento di lei a rivolgersi al tuo sesto senso. Qualcosa che non riesci subito ad afferrare. Qualcosa che sfugge ai più, di cui la donna stessa è inconsapevole… un fremito telepatico, una voce di bambina, un modo strano di pronunciare una parola, di baciare… E, perché no!, una lieve imperfezione: una delicata balbuzie, un impercettibile strabismo, un’amnesia selettiva, una poetica svagatezza…”. Qualcosa che lo spinge a seguirla e a fermarla. Perché il destino di scopritore di talenti femminili Donnarumma – non lo scrittore Notari – lo ha nel sangue… e pure nel cognome.
Il libro ironizza sui meccanismi del mercato editoriale, dalla fase del manoscritto sino a quella della promozione. Secondo la sua esperienza, qual è lo stato dell’arte dell’editoria italiana?
Direi schizofrenico: abbiamo un’editoria spendacciona e nello stesso tempo tirchia perché indebitata. Si parla tanto di industria editoriale, ma il sostantivo, in questo caso, è inappropriato. Nell’industria vera, c’è la volontà di produrre per vendere, e tutto scorre in questa direzione in maniera più o meno razionale. Nel caso del libro, invece, spesso non c’è razionalità. Ci sono editori, anche importanti, che si comportano ancora da artigiani, fanno prevalere le proprie paturnie, le proprie idiosincrasie, la propria visione snobistica della cultura, ma non giungono al cuore di chi legge. Nello stesso tempo pubblicano troppo, pressati dal ricatto dei distributori. Il risultato è un grosso fatturato solo sulla carta, ma non reale. In agguato, allora, l’indebitamento.
Un editore efficiente e razionale, invece, dovrebbe essere di qualità nei contenuti che pubblica, e nello stesso tempo risoluto a giungere al cuore di chi legge. Ovvero commerciale nella promozione e nella distribuzione di quanto ha stampato, abbandonando ogni forma di boria e snobismo. Devo dire che la mia esperienza con la Newton Compton va proprio in questa direzione: massima libertà, apertura anche alla sperimentazione letteraria di chi scrive; e nello stesso tempo una macchina efficiente a disposizione: promozione, distribuzione capillare e vendita, sia nelle librerie fisiche che online.
Il doppio volto di Salerno lo incontreremo in una prossima avventura di Donnarumma?
Certo. Donnarumma è troppo legato alle sue radici. Ama la sua Salerno-Jekyll: sonnolenta, decorosa, accogliente, così come ne detesta la poliedrica sorella criminale Hyde, la città di Bengodi, dello spaccio, dei cento bar, dei cento pub, delle discoteche. La Salerno dell’usura e delle attività commerciali che muoiono e rinascono… il tempo di un “bucato” bianco e splendente. Quale miglior scenografia per un romanzo di genere.
La città è un personaggio fondamentale in un giallo che si rispetti e, in questo caso, è anche l’occasione per riversare sulla pagina l’impegno civile e politico di chi scrive.
Nel libro c’è una forte partecipazione di personaggi neoborbonici. È davvero così sentita la loro presenza in città o sono solo un escamotage letterario per dare un tono di folklore al racconto?
Dopo aver scritto per la Newton Compton Breve storia del Regno di Napoli, mi sono reso conto che falsità come la vulgata della spedizione dei Mille (I Mille… e una notte. Ovvero le fiabe di Garibaldi-Shahrazad) andavano smascherate, per amore di verità, non certo per intenti separatistici o neoborbonici. La presenza, quindi, di una fronda secessionista a Salerno è solo un escamotage. Il romanzo gioca sul duello umoristico tra Donnarumma, di fede garibaldina, e il medico legale Gagliardi, commendatore del Regno delle Due Sicilie. Oggetto della contesa, in questo primo episodio, è la foto (un fotomontaggio pornografico a opera di nemici dei Borboni) dell’ultima regina di Napoli, Maria Sofia.
E infine una domanda personale. La coviglia alla nocciola piace anche all’autore, oltre che al suo personaggio?
Certamente. La prima volta l’assaggiai da Caflish, a Napoli. Fu una rivelazione; la coviglia era come una donna: sfuggente; metà crema e metà gelato. Oggi, purtroppo, è una specialità in via di estinzione. Infatti, Donnarumma teme per la sua scomparsa già in questo primo romanzo: l’annunciata chiusura del bar Buonocore, l’unico a prepararla a Salerno. Nel secondo libro, il nostro commissario farà di tutto perché il bar non cessi la sua attività. In questo suo piano (una vera e propria sottotrama) coinvolgerà Saverio, il barman, e con l’inganno (una vera e propria beffa) Gagliardi, il neoborbonico.
A cura di Cristina Bruno
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