Intervista a Gabriele Dolzadelli




A tu per tu con l’autore


 

Il romanzo “Chi nasce a San Giuda” trasuda desolazione e spirito di rinuncia da parte di chi non è riuscito ad allontanarsi dal paese in cui è nato e ha dovuto rassegnarsi a vivere di espedienti o a coltivare la terra con fatica. Qual è il motivo di questa scelta narrativa? Hai vissuto anche tu una situazione simile?

Sono figlio di una valle alpina, ebbene sì, mi hai scoperto. In questo romanzo ho versato qualcosa di molto viscerale e che mi tocca da vicino. Quando ero ragazzino mi sono dovuto adeguare a ciò che la geografia e le infrastrutture imponevano a livello di studi, svago e opportunità. C’è chi fugge da queste piccole realtà, chi si rassegna e chi si reinventa o prova a cambiare le cose all’interno del tessuto sociale. Di certo, per le nuove generazioni non è facile, soprattutto a livello psicologico. Ci vuole molto lavoro personale, una presa di coscienza del problema, delle barriere fittizie rappresentate dalle montagne. Una volta che riesci a convincere te stesso che il mondo non è tutto lì e che basta fare un passo per trovare nuovi sbocchi, allora cominci a vivere la tua vita più serenamente, pur mantenendo le proprie radici. In questo romanzo ho voluto parlare in maniera indiretta di questo disagio, dei sogni e delle ambizioni di un gruppo di ragazzi che di opportunità non ne ha mai avute. Mentre nel mio precedente lavoro, L’uomo senza epilogo, parlavo della valle in modo molto romantico, qui ho voluto narrare dell’altra faccia della medaglia, quella più cattiva. Era una necessità di descriverla a trecentosessanta gradi.

Che cosa ti ha spinto a scrivere una storia così dura, che parla delle bassezze umane e di come il bisogno e il desiderio di denaro possa rovinare tutto: l’amicizia, la dignità, la vita stessa?

Viviamo in una società molto deresponsabilizzata, dove riusciamo a giustificare ogni nostro fallimento dando la colpa a qualcun’altro o a qualcos’altro. Questo non significa che non viviamo in un mondo dove ci sia molto da lavorare in quanto a pari opportunità, bensì, significa che a volte quello che realmente ci manca è il coraggio. Il coraggio di lasciarci alle spalle delle confortanti sicurezze, che forse ci opprimono e ci rovinano l’esistenza, in favore dell’ignoto, del mare aperto. Il denaro, in questa storia, è una sorta di giustificazione, come se senza il denaro questi giovani non potessero effettuare un cambiamento nella loro vita. Forse, la verità, è che sono solo un po’ codardi. In qualche momento della vita lo siamo stati tutti. E non è forse la paura la madre di tutti i crimini?

Nel romanzo hai descritto una società giovanile spietata. A tuo parere è realmente così?

Dove c’è fame c’è guerra. Se una società giovanile la si nutre di briciole, il rischio che si corre è di ritrovarsi una generazione che divora le proprie carni. A un certo punto, nel romanzo scrivo: “Erano alberi cresciuti dalle stesse radici, ma col fogliame rivolto a orizzonti diversi. Quello era stato il loro problema, perché anche rami di una stessa pianta finiscono per lottare per un raggio di sole. E chi rimane sotto non può non fare altro che morire nel buio.” Questo penso racchiuda l’intero concetto, ma si potrebbe parlare anche di una società impregnata di egocentrismo, dove anche le amicizie sono più fondate sulle emozioni che l’altro può darci, stando in sua compagnia, rispetto all’affetto e al vero legame che si può avere con una persona.

Parliamo del paese di San Giuda, che riveste un ruolo importante nel libro. È il simbolo della desolazione e dei sogni falliti, a cosa ti sei ispirato per il suo nome, che fa pensare al tradimento? C’è qualche collegamento con “XY” di Sandro Veronesi, dove la storia macabra è ambientata in un immaginario Borgo San Giuda?

Giuda è un nome in grado di ispirare due concetti opposti in merito all’amicizia. Giuda Taddeo, il santo a cui è dedicato il paese della storia, è uno degli undici apostoli fedeli a Gesù, un amico leale che ha subito persecuzione e martirio per lui. Eppure, il nome Giuda è allo stesso tempo un forte richiamo a Iscariota, colui che lo tradì per denaro, l’amico infimo. Mi piace, quando scrivo, fare dell’ironia sulle coincidenze. Porre dei ragazzi che devono dimostrare la qualità della loro amicizia in un paese con questo doppio richiamo mi è sembrato perversamente divertente.

Hai altri progetti di scrittura per il futuro? Pensi di proseguire sul filone del thriller o di ritornare alle storie di avventura per ragazzi come la saga di Jolly Roger?

Di progetti ne ho sempre mille e un sesto capitolo della saga Jolly Roger è nel cassetto, seppur non credo uscirà a breve. Magari in occasione del decimo anniversario, nel 2024? Chi lo sa. Di sicuro, attualmente ho trovato una bella dimensione in cui esprimermi e il thriller mi da modo di farlo al meglio. Ora sto lavorando su due storie: una che riguarda il mondo della musica, a tratti grottesca, e un’altra più cupa, ambientata sempre in un paese di montagna. Vedremo quale vedrà per prima la luce.

A cura di Chiara Forlani

 

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