A tu per tu con l’autore
Questo romanzo è il secondo della serie I misteri di Bologna. Come è nata la figura del Maresciallo Righi?
Quando devo ideare un romanzo seguo un mio mantra: scrivere una storia che non è stata, ma che avrebbe potuto essere. Perciò non amo il vezzo di alcuni giallisti soprattutto di scuola americana di affidare le indagini a detective depressi, alcolizzati, demotivati. In Italia per fortuna gli inquirenti sono in maggioranza persone perbene e Vittorio Righi ne è un modello. Ho scelto un carabiniere perché negli anni Trenta la polizia era più politicizzata e ho puntato su un maresciallo in quanto i sottufficiali avevano frequenti contatti con la gente. Righi ha l’età giusta per avere visto la guerra e il sorgere del fascismo, ha una bella moglie, è un uomo sereno e in grado di dedicarsi a fondo alle sue indagini. Per la mia serie di romanzi mi serviva un protagonista che avvertisse con chiarezza le storture della dittatura e ne presagisse i pericoli, ma al tempo stesso capisse che in quel momento la cosa migliore da fare era perseguire i propri ideali di giustizia nonostante le difficoltà, e con il coraggio, quando necessario, di opporsi agli abusi. Righi ha una buona cultura che gli permette di apprezzare le bellezze della sua città ed è anche un bell’uomo, cosa che mi consente di farne oggetto di attenzione da parte delle signore.
Nella genesi di questo secondo episodio della serie lei colloca le vicende in un arco temporale ben preciso: la visita di Mussolini a Bologna nel 1936. È nato prima l’intreccio che poi lei ha calato in quel periodo, o ha pensato prima al periodo storico e in seguito alla trama?
Parto sempre dalla trama, anzi dalle motivazioni di uno o più omicidi, e qui non dico altro per non spoilerare. Però colloco la vicenda in un preciso momento storico che mi permetta di evidenziare la graduale evoluzione del fascismo, anzi in particolare della percezione della dittatura da parte degli italiani. Ne La veggente di via de’ Toschi la storia si sviluppa sul sottofondo della visita del duce a Bologna e il giudizio storico si incentra sul discorso in piazza di Mussolini, chiosato da Jacopo.
Quali sono i segreti per ricostruirlo con tanta meticolosità?
Grazie per il complimento. Non è un segreto, è un metodo di lavoro che tutti gli storici dovrebbero seguire: la storia si ricostruisce sempre e solo sui documenti e non ci si accontenta mai di ciò che altri storici hanno scritto. Perciò, nel caso specifico, i discorsi, le leggi, i giornali dell’epoca, anche quelli cittadini e quelli fascisti. È ovvio che i giornali non riportavano la verità, ma solo quello che il fascismo permetteva di conoscere. Perciò vanno interpretati e confrontati con lettere, testimonianze scritte, foto, tante foto, e i preziosi film Luce, e le riviste per le famiglie, che si trovano anche sul web. La cosa più difficile è ricostruire gli ambienti che non ci sono più, per esempio nel mio caso, le lavanderie, il teatro Eden, il Caffè Aurora, i palazzi senatori che ci sono ancora, oggi in parte visibili ma in maggioranza ancora chiusi al pubblico. E siccome odio gli anacronismi, mi sono divertita a leggere perfino il Codice Rocco al tempo in vigore. Le autorità sono quelle dell’epoca e pure le manifestazioni, come la visita della gioventù hitleriana a Bologna e la prima del Comunale. Ma la cosa importante è che questo lavoro di ricerca non appesantisca mai le mie pagine.
Gli albori della criminologia si affacciano in questo romanzo, portate dall’attitudine innovativa e anticonformista di Jacopo. Nei protagonisti di questa storia c’è uno dei punti di forza di questo romanzo. Credo che lei abbia creato delle vere e proprie persone, non semplici personaggi che stanno in ruoli stereotipati. Quali sono gli aspetti che rendono i protagonisti del libro “persone”?
Semplice: i personaggi nascono insieme alla storia. Ossia, prima di scrivere faccio un elenco dei protagonisti con la storia della loro vita, in modo che il loro agire non si contraddica. Per i personaggi secondari mi servo di qualcuno che conosco (che non lo saprà mai). Le vicende di Jacopo invece si verranno a conoscere un po’ alla volta.
È lei a guidare i protagonisti e le loro azioni o sono loro che in qualche modo glielo suggeriscono mentre scrive? Le è capitato di trovarsi davanti a decisioni inaspettate, in qualche modo suggerite dai personaggi stessi?
I miei personaggi sono un po’ birichini; ogni tanto, da quando ho incominciato a scrivere, mi scappano dalle mani e vanno per conto loro. E spesso hanno ragione, così la storia prende una piega inaspettata.
Bologna, più che un teatro nelle quali si svolgono le vicende, assume un ruolo di primo piano, al pari dei protagonisti. Secondo me lei ha colto uno degli elementi fondamentali di questa città, cioè il fatto che nasconde dei tesori inediti e forse inaspettati, come gli sfarzosi palazzi nobiliari. Bologna è una città che combatte nel perenne equilibrio tra l’essere una metropoli e il conservare le caratteristiche positive da provinciale. Non ha il peso politico ed economico di Roma o Milano, non è lo stereotipo della città d’arte come Firenze o Venezia, non ha caratterizzazioni forti come Napoli o Torino. Ma io che ci ho vissuto e che ne sono follemente innamorato, credo che in molte cose Bologna sia un gradino più in alto rispetto alle altre città che ho nominato. Lucarelli credo sia anche tra le influenze più forti su questo aspetto. Che cosa significa per lei Bologna?
A Bologna sono nata, cresciuta e laureata (in Storia) e sono d’accordo sulla disanima che lei ne fa, mentre trovo che Lucarelli, pur ottimo scrittore, non ne abbia mai colto le peculiarità, forse anche perché non è bolognese, e si vede. Nella mia storia personale Bologna ha rappresentato la scoperta della Bellezza. Da ragazza mi ricordo che andavo in giro a bocca aperta davanti all’altare di San Domenico, giravo per le Sette chiesedi Santo Stefano, mi incantavo davanti alla Deposizione della chiesa della Vita in via Clavature. A vent’anni, coi miei primi soldi, comperai da un antiquario una Natività di Federico Barocci (ai tempi era possibile) e un paio di cassettoni del Seicento. Ammiravo in Strada Maggiore il portico di Casa Isolani, e visitavo le prime grandi mostre dell’Archiginnasio. Ma mi deliziavo anche nei quartieri popolari ricostruiti da un saggio piano urbanistico, sotto i portici tutti diversi ma armonici. Un particolare: la casa del fico del maresciallo Righi esisteva davvero. Era la casa di un mio prozio, che fu protagonista di una vicenda singolare. Faceva il tassista, e il pomeriggio del 27 ottobre 1922 si trovava in piazza Malpighi al volante della sua auto, quando quattro figuri con le pistole spianate gli spalancarono gli sportelli, salirono e gli ingiunsero di mettere in moto. Guidò tutta la notte e la mattina si trovò alla periferia della capitale: aveva fatto senza volerlo la Marcia su Roma!
Mi auguro che ci sia un terzo episodio della saga. Il Maresciallo Righi tornerà ad accompagnarci alla risoluzione di un nuovo caso?
Il maresciallo Righi tornerà e avrà ancora molte indagini da compiere. Ma per il momento deve lasciare il posto all’avogadore Marco Pisani che sta per partire urgentemente per Costantinopoli, dove lo aspettano avventure inimmaginabili.
Maria Luisa Minarelli
A cura di Antonio Modola
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