A tu per tu con l’autore
Il Gigante e la Madonnina è il terzo volume di una trilogia dedicata a Milano nel particolare periodo storico tra le due guerre. Perché ha scelto questa ambientazione?
Qualche anno fa Franco Forte della Mondadori mi chiese un racconto per l’antologia “Giallo di rigore”. Voleva una storia sull’Inter ma a casa mia sono tutti milanisti da generazioni e io soprattutto sono acalciofilo, vanno allo stadio a vedere i concerti rock. Per un po’ ho cercato una buona idea che mi permettesse di rispondere alla richiesta. Poi andando a vedere Bruce Springsteen a San Siro la scritta Stadio Meazza mi ha acceso una lampadina in testa. E se avessi raccontato un mistero legato a Giuseppe Meazza e all’Ambrosiana Inter. Ho scoperto tante curiosità sul grande calciatore milanese e sulla sua crescita e mi sono accorto che la sua vita di orfano di padre era molto simile a quella di mio nonno. Ho scoperto che cosa voleva dire giocare a calcio senza scarpe e cosa voleva dire se la squadra avversaria rubava letteralmente i pali delle porte prima di una partita. Da li mi sono immerso nel fascino della Milano degli Anni trenta attraverso le vicende sportive ma anche attraverso i ricordi di mio nonno e di mia nonna. E dovendo trovare un investigatore idoneo ai misteri che avrei narrato ho preso in prestito il commissario Carlo De Vincenzi creato da Augusto De Angelis. Mi sono così accorto che raccontavo le evoluzioni e i cambiamenti della mia città negli Anni Trenta usando i ricordi di famiglia, gli articoli di giornale, i video e le cartoline dell’epoca. Il primo racconto intitolato “La lettera azzurra” mi ha portato a generare un mondo narrativo che poi ho ampliato quando ho scritto “L’ombra del campione”, “L’ultima canzone del Naviglio” e “Il gigante e la Madonnina”. Nel mezzo ci sono stati anche una quindicina di racconti scritti per il quotidiano “Il Giornale”, un romanzo breve uscito a puntate durante il lockdown in prima pagina e in cultura (“Il mistero della torre del parco”, gli audiolibri letti da me per storytell dei primi due romanzi e dei racconti e persino uno spinoff illustrato da Paolo Barbieri che si intitola “Draghi, dirigibili e mongolfiere”. Ognuna di queste storie ha contatti con le altre e racconta momenti diversi della vita di De Vincenzi ma anche della mia bisnonna che ho inserito come portinaia nella sua casa di via Massena.
Questa trilogia è anche particolare dal punto di vista narrativo. Infatti, pur definendosi romanzo, parla non solo di personaggi realmente esistiti, ma li racconta attraverso un’aneddotica precisa, che ce li mostra in una fase della loro esistenza coincidente con i fatti narrati nella trama. Ci può dire qualcosa a proposito di questa tecnica narrativa?
Tecnicamente i miei sono dei non fiction novel dove i fatti storici accaduti costituiscono il motore della narrazione. E’ un genere inventato da James Ellroy con il suo “American tabloid” che permette di riraccontare la storia attraverso vicende dettagliate e precise dove l’elemento di fiction e fantasia fa semplicemente da collante. L’idea è di fare delle fotografie dei fatti che racconto basandomi sulle cronache de “Il Corriere della Sera”, sui filmati dell’Istituto Luce, sulle cartoline e le canzoni dell’epoca. E’ molto divertente per me costruire questo puzzle che permette ai singoli capitoli dei miei libri di essere letti anche in maniera separata dall’insieme. Faccio un grande lavoro di selezione delle notizie curiose all’inizio e le metto da parte. Poi scrivo i pezzi di ricostruzione degli eventi che più mi hanno colpito e alla fine monto e smonto il tutto. E’ un’abile opera di mixaggio quella finale, dove spesso sposto anche certi capitoli se vedo che non suonano bene o non sono al punto giusto.
E, a proposito di trama, i protagonisti realmente esistiti interagiscono con un personaggio di finzione, il commissario Carlo De Vincenzi, nato dalla penna di un grande scrittore di quell’epoca. Perché questa scelta?
De Angelis creò con De Vincenzi un personaggio maturo, complesso e ricco di sfaccettature, io ho cercato di rispettarlo il più possibile giocando sulle sue letture, il suo passato di ex militare della Grande Guerra, le sue passioni culinarie. De Angelis raccontava le emozioni del periodo che stava vivendo ma non poteva mettere su carta la reale situazione sociale e politica del suo tempo, perché era soggetto alla censura fascista. Nei suoi libri i personaggi storici e del mondo della cultura si nascondono dietro nomi fittizi anche se spesso sono riconoscibili. Io potevo invece permettermi di inserire personaggi storici e mi sono divertito molto ad usare anche il dialetto e le canzoni di quel periodo. La cosa divertente è che i miei lettori adesso vanno a rileggere De Angelis e hanno riscoperto il suo commissario e mi dicono che siamo molto affini.
L’analisi condotta nel testo ha radici culturali profonde, sono frutto di una ricerca sviluppata negli anni, o è l’esito di una passione e studi recenti?
Io sono laureato in filosofia con specializzazione in storia antica con una tesi sui fondamenti della metafisica di Marco Aurelio che ho potuto fare grazie a un meraviglioso professore come Giovanni Reale. E’ stato lui ad accendere in me la passione per la ricerca storica. Quindi quando mi sono poi trovato ad essere giornalista, saggista, ricercatore, intervistatore e presentatore radiofonico ho sviluppato ulteriormente la mia preparazione universitaria. Il ciclo di De Vincenzi è una somma delle mie passioni per la musica (amo il rock ma anche la canzone milanese), il teatro, il fumetto (e quello italiano decolla proprio negli anni Trenta), la letteratura lombarda (dagli scapigliati a Emilio De Marchi ad Andrea Vitali che spesso cito nelle storie), il noir (da Scerbanenco a Jannacci gli inside joke nei miei romanzi sono frequenti). Ovviamente scrivendo queste storie mi si è aperto un mondo di ricordi e di ricerche. Quindi ho iniziato a scoprire cose che non sapevo che mi hanno portato negli archivi, ma anche a girare in tram e a piedi e mi hanno permesso di guardare la mia città con altri occhi. E’ un regalo che mi sono fatto e i lettori avendo apprezzato il mio lavoro mi hanno permesso di proseguire. Quando li porto in giro sui luoghi che racconto sono il primo che si emoziona e li guarda con nuovi occhi.
Quali fonti hanno costruito il substrato formativo di riferimento per lo sviluppo del testo?
Il “Corriere della Sera”, il filmati dell’Istituto Luce, le cartoline dell’epoca, i testi di De Marchi, Arrigo Boito, Paolo Valera, le canzoni di Cochi e Renato, Jannacci, Fo, Gaber, le intercettazioni dell’Ovra desecretate, gli archivi dell’Umanitaria, le lettere e i diari dei nonni dei miei amici Luca Fassina e Franco Vanni, le storie De Angelis, i ricordi di mia nonna e della mia bisnonna, i racconti di Velia e Tinin Mantegazza, i fumetti de L’Audace e de L’avventuroso.
Il libro è un giallo, Luca Crovi è un esperto di questo genere narrativo, eppure questo è un giallo sui generis. É vero che ci sono attività criminose e una indagine, tuttavia la fabula sembra scomparire travolta dalle digressioni aneddotiche e da un intreccio che ci porta continuamente avanti e indietro nel tempo. Ha voluto in questo modo mostrarci un altro colore del giallo italiano?
Brava. Ho voluto che i miei non fossero romanzi gialli ma romanzi su Milano. Il giallo è solo la cornice che mi ha permesso di costruire le mie storie. E soprattutto affrontando fatti criminali reali presi dalla cronaca non potevo risolverli con semplici interrogatori di poche ore e pochi giorni. Non potevo barare. Spesso nella realtà ci vogliono anni per assicurare qualcuno alla giustizia e delle volte i colpevoli rimangono impuniti. Io definisco le mie storie delle non fiction novel noir ma “Il gigante e la Madonnina” potrebbe essere descritto benissimo come una favola noir di cui sono protagonisti un re, un nano e un gigante le cui peripezie accadono sotto gli occhi di una regina.
Per il futuro ha in programma di lavorare ancora ai romanzi non-fiction, oppure vuole dedicarsi ad altre esperienze narrative, per esempio anche concentrarsi sulla graphic novel?
E’ già quasi ultimata una raccolta di racconti di De Vincenzi, ho poi consegnato a Solferino un altro romanzo per ragazzi che verrà illustrato da Peppo Bianchessi che si intitola “Il libro segreto di Long John Silver” (dopo il successo de “Il libro segreto di Long John Silver” ci abbiamo presto gusto) e ho appena sceneggiato una storia di Joe R. Lansdale che si intitola “The Gentlemen’s Hotel”. E’ una graphic novel che pubblicherà Sergio Bonelli Editore disegnata dall’incredibile Daniele Serra che all’estero firma le copertine di Lansdale ma anche di King e Clive Baker. Daniele ha fatto un lavoro pazzesco che vi stupirà. Vedrete anche un mio saggio su Ellery Queen nella nuova edizione de “Il caso dei gemelli siamesi” di Mondadori. Insomma di carne al fuoco ce n’è parecchia.
Luca Crovi
A cura di Silvana Meloni
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