Intervista a Michela Mosca




A tu per tu con l’autore


 

Ciao Michela, prima di tutto ti faccio i complimenti per il tuo “Egofobia”. Mi ha coinvolto tanto per merito dello stile fresco e originale che caratterizza la tua narrazione e per le tematiche che hai trattato. Di seguito le mie curiosità.

Ciao Gabriele, grazie tante. Sono felice che tu abbia apprezzato il mio lavoro.

Il romanzo è ambientato in un futuro dominato dalla crisi climatica, dalle epidemie, dalle piogge acide, dalla recessione economica e dall’aumento della povertà. Solo qualche anno fa avrei parlato di una ambientazione distopica mentre, al giorno d’oggi, la realtà che la vita quotidiana ci sta restituendo non mi appare poi così lontana. Sotto sotto ci hai voluto lanciare un messaggio?

Quando ho iniziato a lavorare a una prima bozza di Egofobia, nel 2018, potevamo solo immaginare il lockdown dovuto alla pandemia. Possiamo dire che sono stata profetica, ma solo appena perché comunque mi sono ispirata a fatti di cronaca di cui già si stava sentendo parlare. Fin da piccola ho sentito parlare di crisi climatica, e spesso ciò che è stato preannunciato dagli scienziati poi è accaduto. Quindi più che un futuro distopico, ho immaginato un futuro abbastanza realistico, come immagino sarà la nostra vita con molta probabilità tra vent’anni. Forse una visione un po’ pessimistica, ma come abbiamo visto è fin troppo attuale.

Mi è piaciuta molto la caratterizzazione dei tuoi personaggi, hai costruito alla perfezione la loro personalità sia nel pensiero che nelle azioni. Ho trovato una spanna sopra agli altri Thomas Horton Parker, giovane uomo cui mi sono affezionato perché è un ragazzo qualunque, intelligente, in parte ribelle, di sicuro ironico e irreverente. Poi c’è stato quel suo lato oscuro, quell’essere un hikikomori, che in fondo in fondo è arrivato in un suo momento di debolezza (senza voler spoilerare nulla) che facilmente si può ritrovare nella vita di ciascuno di noi. Dimmi: è un personaggio di fantasia o c’è qualcosa di autobiografico? Da cosa è nata la sua personalità?

Thomas è un mio alterego, ed è l’alterego di molte persone della mia generazione. Una versione più cinica, l’insieme di tutti quei pensieri, di quelle riflessioni tragicomiche, a cui ci abbandoniamo quando viviamo un periodo particolarmente duro, quando tutto ci sembra nero e il futuro appare un’incognita. Con questo personaggio, volevo anche infrangere un pregiudizio che dilaga: gli hikikomori come persone vuote, superficiali, degli sciancati e viziati che hanno ricevuto troppi regali nella propria vita. La maggior parte dei giovani hikikomori sono, al contrario, persone molto profonde e sensibili che in alcuni momenti della propria vita possono sentire maggiormente il peso di una società individualizzata, competitiva e massificata.

La storia e i suoi protagonisti ruotano attorno al mondo dell’IRMP: il Dottor Lear, la Simons, gli infermieri, Meredith e gli altri pazienti ricoverati con patologie mentali. Come e quanto ti hanno coinvolto le fasi di preparazione, studio e approfondimento delle tematiche trattate?

Ho frequentato il liceo delle scienze umane, e all’università ho spesso scelto esami di psicologia ed educazione degli adulti. Quindi la mente umana, il suo funzionamento e l’influenza sociale mi hanno sempre affascinato. Non ho quindi studiato in funzione della stesura di Egofobia, ho sempre letto e raccolto informazioni per diletto personale. Quando poi mi sono messa a scrivere, ho solo dovuto rispolverare appunti e conoscenze pregresse. Diverso è stato per la sindrome di Cotard. Lì ho cercato tantissime testimonianze e interviste a persone guarite proprio per approfondire la tematica e sviluppare al meglio il personaggio di Meredith. Un lavoraccio perché sono davvero poche, ma volevo restituire un ritratto il più fedele possibile di questa patologia.

Un altro argomento di rilievo è quello dell’emarginazione e della solitudine derivate dall’abuso degli strumenti tecnologici. È stato un tema utile per la sola evoluzione della storia o l’hai trattato perché in un qualche modo ti intriga o ti spaventa?

Entrambe. Penso che la tecnologia sia una grandissima risorsa, permette alle persone di trovare informazioni velocemente, crea comunità virtuali dove il ragazzo bullizzato per dei gusti di nicchia può sentirsi apprezzato e parlare liberamente di ciò che gli piace. Però, manca una grande educazione di fondo. I social possono essere una fonte di ispirazione, o di ansia e competizione. Dipende da come li si usa, e ci vuole tanta autodisciplina per capire che il mondo virtuale non può sostituirsi a esperienze umane tangibili. In Egofobia non c’è quindi una critica alla tecnologia, bensì al dilagante consumismo che porta la gente a dipendere dagli strumenti tecnologici.

Infine: dalla tua biografia ho notato che sei una grande appassionata di letteratura weird, horror e gotica come si evince anche dal romanzo. C’è un autore che prendi come modello? E per il futuro, da autrice, hai interesse anche per altri generi letterari in cui cimentarti come sfida personale?  

Lovecraft è sicuramente una grande ispirazione per me. I climax che è in grado di creare con la sua narrazione sono inarrivabili, ed è sempre stato capace di incutere paura con una sola frase a conclusione di un racconto, un colpo di scena racchiuso in poche parole. Ma molto devo anche a Joyce Carol Oates, in particolare al racconto “where have you been, where are you going” dove riesce a farci sentire tutta l’ansia e la paura per uno stupro, senza nemmeno accenarvi. Ci fa capire cosa accadrà, ma senza essere esplicita. Questa è maestria nel creare inquietudine.

 Grazie tante, Gabriele

A te, è stato un vero piacere!

 

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