L’ULTIMO CANTO
Autore: Lukas Hartmann
Editore: Guanda
Genere: letteratura storica
Pagine: 240 pagine
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. 1942. Da cantante di fama mondiale a internato nei campi: la drammatica vicenda di una delle voci più belle del ‘900. La sua voce riempie le sale da concerto di tutto il mondo, conquista un pubblico di milioni di persone in Europa e in America, dove viene soprannominato, data la sua modesta statura, «il piccolo uomo dalla grande voce». In Germania è noto invece come «il Caruso tedesco» e Goebbels vorrebbe eleggerlo ariano onorario. Quanta strada ha percorso Joseph Schmidt, figlio di ebrei ortodossi ucraini, da un piccolo shtetl dell’Europa orientale fino al palco della Carnegie Hall! Ma la Storia non fa sconti a nessuno e in un attimo, nel 1942, fama e talento non valgono più nulla. Mentre la furia nazista stringe la sua morsa sull’Europa, il tenore è costretto a fuggire dalla Francia di Vichy insieme alla compagna e ad alcuni amici; inizia per lui un viaggio tormentato, segnato dai primi sintomi di una grave malattia, ma soprattutto dai rimpianti per alcune scelte sbagliate del passato, specialmente nei confronti del figlio. Finché raggiunge quella Svizzera neutrale in cui è certo di trovare salvezza. Non può immaginare che al contrario, come per migliaia di ebrei, lo attende un campo d’internamento, le cui disumane condizioni non faranno che peggiorare il suo già precario stato di salute. Lukas Hartmann ritrae in modo vivido e straziante l’inesorabile deriva di Schmidt e la sua lotta per mantenere viva l’identità di cantante, nonostante la voce si facesse ogni giorno più flebile. Ispirato alla storia vera di una star della musica del primo Novecento, questo romanzo getta luce sulla drammatica realtà dei campi di concentramento in Svizzera e induce a riflettere sulla situazione tragicamente attuale dei rifugiati di tutte le guerre.
Recensione di Stefania Ceteroni
Non aveva commesso nessun reato, nessun crimine. Era ebreo ma non era certo colpa sua. Ammesso che si possa parlare di colpa. Non era colpa sua così come non era colpa di tutti coloro che si sono trovati nella sua stessa identica situazione in quegli anni in cui giungere nell’orbita dei nazisti voleva dire morire.
Quella narrata dall’autore è la storia di Joseph Schmidt: un cantante di fama, abituato ad incantare il pubblico con la sua voce e a firmare autografi. Un cantante ebreo, però, e come tale destinato (per volere altrui) a vivere la stessa situazione di tutti gli altri ebrei in quell’epoca.
La narrazione relativa alle vicende riguardanti Jospeh all’epoca dei fatti ho avuto la sensazione che arrivasse alle mie orecchie sussurrata con voce flebile, anche quando non ci sono dialoghi. Non perché poco efficace ma perché la situazione raccontata arriva al lettore trasmettendo tutta la sofferenza che il protagonista prova sulla sua pelle e che, in un cantante, è rappresentata proprio dalla flebile voce che gli resta. Praticamente niente. Della sua vita non gli resta niente, nemmeno la voce che era il suo tesoro più prezioso.
A ciò si alterna la narrazione in prima persona da parte di chi si chiede perché un uomo di fama come lui possa essere finito in una situazione del genere… Sono le osservazioni di una ragazzina, prima, di una donna matura poi, quelle che accompagnano il racconto in prima persona delle tante sofferenze che hanno piegato Schmidt fino alla fine.
Ma viene inserito anche un terzo punto di vista che intervalla gli altri due, quello di chi, dall’interno del sistema, ha un compito ben preciso da portare a termine e si interroga su cosa voglia dire “caso particolare” ogni volta che ci si rivolge a Schmidt. Quest’uomo, una pedina del cosiddetto sistema con un ruolo ben preciso, offre un punto di vista che, pure, fa riflettere.
“E tutte le persone che si trovano in una situazione simile a quella del cantante?”.
Questa lettura mi ha fatto venire i brividi. Non solo per la sorte del cantante, le sofferenze, le umiliazioni che, purtroppo, sono note di quel periodo… ma proprio per i vari punti di vista che si intrecciano e per le riflessioni che tutto ciò alimenta.
Per i nazisti un ebreo era un ebreo, sia che fosse un personaggio famoso che un pezzente. Era il fatto di essere ebrei l’unica discriminante e, allo stesso tempo, l’unico elemento che accomunava tutti verso lo stesso, medesimo, atroce destino. Ognuno di loro avrebbe avuto un motivo per essere curato, accudito, risparmiato da quella sorte.
Ognuno.
O nessuno.
Dipende ovviamente dai punti di vista.
Terribile tutto ciò.
Lukas Hartmann
Lukas Hartmann, nato a Berna nel 1944, è stato insegnante e giornalista. Attualmente si dedica alla scrittura di romanzi per adulti e per bambini. I suoi libri, tutti bestseller in Svizzera, hanno ricevuto numerosi riconoscimenti e premi letterari.
A cura di Stefania Ceteroni
https://libri-stefania.blogspot.com