Intervista a Carmine Mari




A tu per tu con l’autore


 

Una storia molto ricca ed articolata, quella che propone. Una domanda è d’obbligo, anche se le sarà stata posta più volte: che tipo di ricerca è stata necessaria per poter arrivare a questo libro?

Scrivere un romanzo del genere è come partecipare a una caccia al tesoro, la ricerca di quell’unico dettaglio; spesso si tratta di una data, di un evento particolare per incasellare tutto. L’errore o la svista ti aspetta dietro l’angolo con il coltello tra i denti. Ho letto testi sulla storia locale, di cui la Biblioteca Provinciale di Salerno è ricca, avendo allo stesso tempo l’occhio attento alla Grande Storia; le cose devono essere speculari, intercambiabili se si vuole essere un minimo rigorosi. Costruire un’intera vicenda con personaggi veri e immaginari, tessere la trama di un romanzo, è uno stimolo incredibile all’approfondimento. Si diventa voraci di informazioni e si è costretti a porsi molte domande. Per il Fiore di Minerva ho spaziato tra la manualistica dedicata al periodo, biografie e opere su scoperte geografiche, navigazione, vita quotidiana. Ma voglio ricordare un libro in particolare “La cristianità in frantumi”, di Mark Greengrass (ed. Laterza) un’opera incredibile sui costumi, la politica e la cultura, a partire dalla riforma luterana e da tutto quanto ne è seguito.

E quanto tempo le ha richiesto la stesura?

Un anno e mezzo, circa. Avevo il finale in testa: il punto A. Dopo si è trattato di indagare le ragioni nascoste dietro le azioni dei personaggi e, mano a mano che le ombre si dileguavano, il disegno della trama appariva sempre più nitido. Il primo capitolo ha rappresentato il punto B della retta; pertanto, tutto il lavoro di pianificazione ha avuto lo scopo di congiungere A e B.

É stato più difficile rendere il periodo storico in modo fedele o inserire in questo contesto la storia di Héctor, Costanza e tutti gli altri?

Per il contesto vengono in aiuto fonti storiche, testi, immagini, documentari. Prendo nota degli elementi caratterizzanti, mando a mente dettagli, atmosfere, che ritorneranno automaticamente nella fase di scrittura. Credo invece che la rappresentazione dei personaggi sia stata più complicata. Costanza Calenda è un personaggio realmente esistito, medichessa e figlia d’arte. L’ho immaginata erede di Trotula de Ruggiero, famosa magistra dell’XI sec, una figura straordinaria per il suo approccio all’avanguardia rispetto alle problematiche femminili. Tutto sommato, a dispetto dei luoghi comuni, la storia è piena di esempi femminili che hanno segnato epoche nel campo della scienza, del pensiero, dell’arte e della letteratura, Costanza Calenda è una di esse, vissuta nel XV sec, riconosciuta maestra nella medicina. Penso meritasse un posto anche nella mia immaginazione.

Héctor invece doveva essere il punto d’unione del mondo Antico e quello Nuovo: le Indie Occidentali. Mi sono divertito a ricostruire il suo passato, triste e sanguinoso, sulle montagne del Perù alla ricerca dell’Eldorado. Essendo egli un capitano di ventura, è stato facile immaginarselo in un’impresa bellica nel Mediterraneo, durante la quale conosce Ferrante Sanseverino. É bastato veleggiare all’orza lunga per farlo giungere a Salerno.

Oltre ai personaggi veri e propri ho trovato anche una protagonista molto affascinante: la città di Salerno. Che tipo di rapporto ha con questa città?

Un forte legame affettivo, per il mare e il suo breve, ma illustre trascorso. Così come quando si è innamorati di una persona, si diventa curiosi, vuoi scoprire com’è fatta, conoscere tutto di lei. Credo inoltre che sia un delitto ignorare il luogo in cui si vive. Ogni città d’Italia, da nord a sud, grande o piccola, ha una storia interessante, un patrimonio artistico e culturale degno di essere scoperto. Ho cercato, come dicevo prima, di tenere un piede dentro la storia locale, e un altro nella grande Storia, altrimenti si rischia di guardarsi l’ombelico.

Uno dei personaggi che mi ha incuriosita di più è quello che, a ben guardare, è meno presente degli altri: il principe Ferrante. Qual è il suo ruolo nella storia?

Vero, Ferrante Sanseverino aleggia, o meglio, naviga sottotraccia, e pare che anche da lontano muova i fili dei personaggi. Era un uomo dalle forti passioni, con una vita fatta di eccessi, avventure rocambolesche, vanesio, permaloso come un nobile del suo tempo e occulto negli odi per i suoi detrattori. Sebbene sia stato educato alla cultura classica, non ha saputo fare tesoro degli insegnamenti dei suoi maestri. Ha rincorso per tutta la vita la fama e la gloria, forse il sogno di diventare il viceré di Napoli. Ma i suoi sogni si sono infranti contro uno Stato potente, che ha avuto tutto sommato vita facile contro la classe nobiliare napoletana, svuotata di poteri, ma tenuta al guinzaglio coi privilegi. Ferrante Sanseverino sarebbe stato un personaggio troppo ingombrante per la vicenda che intendevo narrare. Però devo decidermi a metterlo in scena, perché devo a lui l’ispirazione de Il Fiore di Minerva.

Qual è stato, se c’è stato, il personaggio che ha fatto più fatica a mettere su carta?

Uno in particolare mi ha procurato qualche grattacapo nel trovare il bandolo della matassa nella sua psiche; non posso dire altro per non svelare troppo della trama. In genere trascorro molto tempo in compagnia delle loro sagome, finché non diventano familiari il loro lessico, le manie e il temperamento. Quelli femminili – verso i quali sento maggiore curiosità – ovviamente sono ad alto rischio di cliché maschili. D’altra parte niente è più complicato, e allo stesso tempo più affascinante, dell’immergersi nella testa di una donna.

Mi aspetto un prosieguo, ho avuto l’impressione che ci fosse questa possibilità. Mi sbaglio?

No, hai colto nel segno. Un seguito già c’è, devo solo capire se ce ne sarà abbastanza per una trilogia.

Grazie per lo spazio dedicato a me e al Fiore di Minerva e, a tutti i lettori di Thriller Nord, buona lettura e… all’orza lunga!

Carmine Mari

A cura di Stefania Ceteroni

 

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