Recensione di Francesca Marchesani
Autore: Jerome Ferrari
Traduzione: Alberto Bracci Testasecca
Editore: E/O edizioni
Genere: Narrativa
Pagine: 186
Anno di pubblicazione: Marzo 2020
Sinossi. Antonia, nata in un piccolo paese dell’entroterra còrso, cresce in un contesto di forti tradizioni e solidi legami familiari. La sua passione è la fotografia, passione che ha sviluppato fin da quando, a quattordici anni lo zio prete, personaggio chiave della sua vita, le ha regalato la sua prima macchina fotografica. Comincia col fotografare la famiglia, i paesaggi, le amiche e gli amici al bar, in un paese in cui i ruoli maschile e femminile sono ben definiti, per certi aspetti addirittura a compartimenti stagni. E in effetti non c’è posto per le donne tra i militanti indipendentisti con passamontagna e fucile in cui, una volta diventati grandi, si sono trasformati gli amici d’infanzia. Antonia continua a fotografare, si trasferisce in città, viene assunta da un quotidiano locale per riprendere sagre paesane e gare di bocce, ma il suo sogno è diventare reporter di guerra: una guerra vera, però, e non l’insulso conflitto che si combatte in Corsica tra l’amministrazione francese e le varie fazioni di indipendentisti, peraltro in lotta fra loro, anche se i morti non mancano. Ci riuscirà? La chiave di questo libro è nel titolo, A sua immagine, perché è l’immagine di Dio quella che lo zio prete è costretto a vedere suo malgrado negli uomini che lo circondando, ma è anche l’immagine che Antonia fissa nelle sue foto ponendosi l’eterna domanda del fotografo: fissare un’immagine vuol dire renderla eterna o confinarla per sempre in una rigidità mortale? «Se fosse esistita una fotografia della morte di Cristo» pensa a un certo punto il prete, «non avrebbe mostrato altro che un cadavere straziato consegnato alla morte eterna».
Recensione
L’autore ci fa conoscere Antonia in quello che è il giorno del suo funerale, celebrato da uno zio che, come gli altri familiari avrebbe preferito sedersi e assistere alla funzione invece di celebrarla.
Ma, effettivamente, chi meglio può illustrare una vita se non chi ne ha fatto parte?
É proprio lui infatti che regala la sua prima macchina fotografica alla ragazza.
Ancora non lo immagina ma sarà quella la lente di ingrandimento con cui lei guarderà il mondo da quel momento in poi. L’arte della fotografia è qualcosa di controverso.
Scatti un’immagine che nel momento successivo già non c’è più.
Quindi la stai catturando per sempre o la stai facendo morire in quel momento?
Antonia sogna di diventare giornalista di guerra ma purtroppo non sembra il mestiere per lei. Il suo capo la spedisce solamente a eventi sportivi o anniversari.
Roba che importa solo a chi vuole vedere il proprio nome sul giornale e magari ritagliare la foto per appenderla al frigorifero. Ma anche trattandola a porte sbattute in faccia non riusciranno a cambiare quello che per lei è l’unico obiettivo.
Una prosa particolare quella di Ferrari. Lenta e dettagliata, che non lascia molto spazio all’immaginazione. Un racconto nudo e crudo di un tempo che possiamo solamente rivivere grazie appunto a documenti e fotografie scolorite di altri tempi.
Jérôme Ferrari
Jérôme Ferrari è nato nel 1968 a Parigi, è professore di filosofia e consulente pedagogico. Ha insegnato in Algeria, in Corsica e negli Emirati Arabi Uniti. Nel 2012 con Il sermone sulla caduta di Roma (E/O 2013) ha vinto il Premio Goncourt. Tra gli altri suoi titoli ricordiamo: Dove ho lasciato l’anima (Fazi, 2012), Balco Atlantico (E/O 2013), Un dio un animale (E/O 2014), Il principio (E/O 2016) e A sua immagine (E/O, 2020).
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