REAL STORIES





Autore: Fabrizio Peronaci

Editore: Armando Editore

Pagine: 212

Anno edizione: 2024


Sinossi. Una contessa strangolata nella sua villa, un assassino scaltro e imprendibile, i gioielli scomparsi e uno 007 sulla scena del crimine. Fu il delitto-show che segnò un’epoca, noto come “giallo dell’Olgiata”, il comprensorio extralusso alla periferia nord di Roma dove il 10 luglio 1991 fu uccisa la contessa Alberica Filo della Torre, moglie di un affermato costruttore. Un terzo di secolo dopo Manfredi Mattei, primogenito della nobildonna, affida il suo j’accuse alla penna del giornalista investigativo Fabrizio Peronaci. Una galleria degli orrori ambientata ai tempi di Tangentopoli e scandita da errori nelle indagini, protagonismo degli inquirenti, spreco di danaro pubblico e innocenti messi alla gogna. Avvincente come un romanzo e circostanziato come un dossier-denuncia, questo libro evidenzia le distorsioni del sistema giudiziario e impone una seria autocritica al mondo dell’informazione.

Chi era la Alberica Filo della Torre, prima che qualcuno la aggredisse nella sua camera da letto e le togliesse la vita, rendendo il suo nome conosciuto in tutta Italia e facendo sì che la sua vita venisse analizzata fin dei minimi dettagli, suscitando dispiacere ma anche pettegolezzi e brutte insinuazioni?

Nobildonna di origini napoletani, affascinante, atletica, amante di feste e vita sociale, si era sposata molto giovane con Alfonso Liguori, che non riuscì però a renderla felice, così che, dopo pochi anni, Alberica chiese e ottenne l’annullamento delle nozze presso la Sacra Rota.

In seguito, grazie all’intervento di un’amica che combinò l’incontro, Alberica conobbe il costruttore edile Pietro Mattei, con il quale convolò in seconde nozze e che divenne il padre dei suoi due amati bambini: Manfredi e Domitilla, che cresceva circondandoli di amore nella belllissima villa dell’Olgiata, quartiere di lusso di Roma. La stessa villa in cui si apprestava a festeggiare il decimo anniversario di nozze, proprio la sera del giorno in cui venne uccisa, privando il marito e i figli di una figura tanto preziosa quanto amata e della legittima risposta a un interrogativo che li ha perseguitati per due decenni: chi aveva ucciso Alberica e perché?

REAL STORIES

di Kate Ducci


10 luglio 1991, a Roma è una luminosa giornata estiva e nella bellissima villa in cui vive la famiglia Mattei sono in corso i preparativi per la festa che si terrà la sera stessa, a cui sono invitate personalità in vista e cari amici di famiglia. Alberica, padrona di casa, era rientrata appositamente da un viaggio in visita alla madre che aveva avuto un piccolo problema di salute. Non voleva rimandare un evento a cui teneva moltissimo, la cui organizzazione le aveva portato via tempo ed energie: i festeggiamenti per il suo decimo anniversario di matrimonio.

Tutti i domestici in servizio in pianta stabile presso l’abitazione e il personale straordinario (tra cui i giardinieri), assunto per l’occasione, si stava dando da fare per gli ultimi ritocchi, per rendere perfetto l’evento che si sarebbe tenuto di lì a poche ore. Pietro Mattei era uscito per recarsi al lavoro intorno alle otto del mattino, mentre Alberica, in piedi molto presto quel giorno, dirigeva i lavori spostandosi per i corridoi e i piani della villa

Ma è proprio l’insolita assenza della Contessa, impegnata a dare indicazioni a tutto il personale, che viene notata dai domestici. Così, la domestica filippina decide di andarla a cercare nella sua camera da letto. Bussa timidamente alla porta, poi con più decisione, ma dall’altra parte non risponde nessuno. La domestica, seguita dal piccolo Manfredi, si procura una chiave di scorta e decide di aprire, convinta che la Contessa sia impossibilitata ad aprirle per qualche problema.

Davanti alla domestica e al piccolo Manfredi si presenta una scena raccapricciante: a terra, con la faccia rivolta verso il pavimento e un lenzuolo insanguinato avvolto intorno alla testa, c’è il corpo ormai privo di vita di Alberica.

“La porta la apri la nostra domestica filippina, e io entrai con lei. Mia sorella invece non entrò, era al piano di sotto, credo non abbia mai visto mia madre morta. Quel momento è stato raccontato nei modi più disparati dalla stampa perché il caos che si generò nelle ore successive è stato inimmaginabile”. 

Con queste parole Manfredi, allora di appena nove anni, racconta l’inizio di quello che per lui è stato un incubo che lo ha perseguitato fino a età adulta, fino a ottenere quelle risposte che solo lui e la sua famiglia sembravano volere davvero.

Le prime indagini riveleranno che Alberica era stata colpita alla testa con un oggetto contundente e poi strangolata. Quel giorno segnò l’inizio di uno dei casi di cronaca nera più seguiti del nostro paese, un caso che occupò per anni le prime pagine di tutti i giornali, dando l’idea che si fosse alla ricerca disperata della verità.

Invece, col senno di poi, appare evidente che si fosse solo alla ricerca di una risposta spettacolare, che trovasse le sue ragioni in scandali e fondati pettegolezzi, che alimentasse quella malsana curiosità in chi guardava con invidia e sospetto persone molto fortunate, benestanti, in possesso di esistenze inarrivabili per le persone comuni, che divoravano le pagine di cronaca per poter finalmente varcare i cancelli di una villa lussuosa e scoprire il marcio che si nascondeva in ambienti e vite all’apparenza immacolati.

Il Delitto dell’Olgiata, come fu battezzato da televisioni e giornali occupò le cronache e fu accostato a grandi scandali finanziari, a tesori nascosti in banche svizzere, ai segreti di un marito non così devoto come appariva, a una moglie furba e infedele. Ma tutte queste piste, inseguite e date in pasto alla cronaca, risultarono infondate.

Nonostante ciò, il marito inconsolabile (e lo era davvero, al punto di aver cercato la verità fino all’ultimo giorno di vita) venne da tutti ritenuto il vero responsabile, l’autore, il mandante, o almeno il colpevole dell’omicidio della moglie che poteva essere accostato a qualche regolamento di conti.

I sospetti caddero anche sull’ex domestico filippino Manuel Winston Reyes, che era stato licenziato dalla contessa poco tempo prima e sul figlio con problemi psichici dell’insegnante privata dei piccoli di casa Mattei. Quest’ultimo fu talmente perseguitato da stampa e inquirenti, da risentirne pesantemente su di un piano psicologico già fragile.

Anche se le piste che puntavano verso grossi scandali furono le più battute e appetibili, il giovane ragazzo restò nel mirino degli inquirenti a lungo e fu anche il colpevole più accreditato da Pietro Mattei che, a chiusura definitiva delle indagini, si portò sempre dentro l’enorme rammarico di aver sospettato di un innocente, di avergli involontariamente rovinato la vita infangandolo con la peggiore delle accuse.

Ma Pietro Mattei non ha mai agito mosso da rabbia e da mancanza di lucidità. Nonostante le accuse dalle quali doveva difendersi, nonostante i sospetti, nonostante a sua moglie venissero accreditati amanti e vite parallele (addirittura la madre di una compagna di scuola di sua figlia si permise di avvicinare la bambina e rivelarle inesistenti verità sulla vita privata di sua madre), Pietro mantenne sempre la lucidità, invitò gli inquirenti a cercare risposte semplici, a rendersi conto che la sua vita e quella della defunta moglie non erano al centro di alcun intrigo e a capire che il colpevole era più semplice da trovare di quanto si pensasse.

Pietro Mattei e i figli, che divenuti adulti lo hanno sempre affiancato nella ricerca della verità, sospettavano anche di Reyes, l’ex maggiordomo di casa, ma Pietro lo ha sempre ritenuto troppo buono ed educato per commettere un così terribile atto. Probabilmente, solo Alberica, che lo aveva licenziato in tronco, aveva compreso la sua vera natura, aveva intuito che dietro tutta quella servile educazione covasse invece rancore e disonestà. La stessa disonestà che, in quel giorno che doveva essere di festa, portò Reyes a introdursi furtivamente nella villa per derubare la Contessa dei gioielli che avrebbe indossato quella sera.

Alberica lo sorprese ma non ebbe paura di affrontarlo, non corse a chiedere aiuto dopo averlo trovato in camera sua e scoprì, suo malgrado, quanto quella crudeltà che lei aveva intuito fosse profonda.

Ma come si è giunti a scoprire una verità così semplice dopo tanti anni? 

Pietro Mattei, scomparso nel 2020, si è battuto senza arrendersi fino a quando, con i nuovi ritrovati delle scienze forensi, il caso fu riaperto nel 2011 e sul lenzuolo avvolto intorno al volto della contessa venne ritrovata una traccia di DNA che condusse con certezza a Reyes.

Il filippino, che non fu mai incalzato a dovere, nel frattempo aveva messo su famiglia e, agli inquirenti distratti da altre piste rocambolesche, era addirittura sfuggito un fatto assai indicativo: il giovane filippino aveva chiamato Alberica la sua prima figlia, mosso sicuramente da un pentimento tardivo. Nelle intercettazioni telefoniche fatte ma mai ascoltate, in seguito risultò essere addirittura presente un accordo per la vendita dei gioielli della Contessa, vendita che sicuramente Reyes ha portato in porto, nonostante lo abbia sempre negato.

Reyes ammise le proprie colpe, fu condannato a sedici anni e ne scontò solo dieci, uscendo per buona condotta pochi anni fa.

Per fortuna, Pietro Mattei era scomparso un anno prima della sua scarcerazione, evitandosi questo ultimo insulto: dopo vent’anni passati tra accuse infamanti e impegnati a crescere da solo due bambini, l’assassino di sua moglie aveva pagato con la metà della pena a lui inflitta da indagini approssimative e volte più alla spettacolarizzazione che alla ricerca della verità.

Mentre Alberica otteneva una giustizia ridotta per essere stata strappata alla vita e all’amore dei propri figli, ciò che lei e la sua famiglia non potranno più riavere indietro è il diritto al rispetto e il riconoscimento di una dignità che si è cercato in tutti i modi e con tutti i mezzi di offendere.

Il 1991 era un’epoca diversa, in cui vigeva la convinzione crudele che una donna capace di stare al proprio posto non potesse andare incontro a problemi così grandi, che se Alberica era stata ammazzata se la era tutto sommato cercata, intrattenendo relazioni, spostando fondi monetari nascosti in qualche banca di Oltralpe, non essendo la devota donna di casa che voleva apparire.

Eppure Alberica era niente di tutto ciò ed è il figlio, nelle tenere parole di chiusura del romanzo, a rendercene un ritratto veritiero, quello di una mamma severa ma amorevole, di una donna innamorata del marito e della sua famiglia. Manfredi riesce a strappare una lacrima e un sorriso ricordando aneddoti che coinvolgevano sua madre e suo padre, ricordando episodi che sanno di semplicità familiare, che scacciano via assurde accuse circa inesistenti amanti e corruzione, che le restituiscono quella dignità che i pettegolezzi, fortemente alimentati dagli inquirenti, le avevano tolto.

E per questo nessuno pagherà. C’è stato un Tribunale che ha condannato un assassino per un vile gesto, ma non esiste alcun Tribunale morale che possa condannare a giusta pena chi ha infangato una donna, un padre, una famiglia, aggiungendo al dolore di una perdita inconsolabile l’onta del sospetto.

La storia di Alberica Filo della Torre è stato forse il primo caso di cronaca nera, primo tra tanti, che ha coinvolto l’opinione pubblica e ha permesso una triste e spietata invadenza nella vita di chi soffre. Purtroppo, ve ne sono stati molti altri dopo e si ha spesso l’impressione che poco abbia insegnato ciò che ha dovuto passare la famiglia Mattei, che la via del sospetto selvaggio a carico di chiunque sia sempre la più percorsa, che il diritto all’invadenza e alla crudeltà gratuita vengano sempre più tutelati da Stampa e Giustizia più della verità e del dolore di chi soffre una grave mancanza.

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Fabrizio Peronaci


giornalista e scrittore, lavora da oltre trent’anni al Corriere della Sera, nella sede di Roma, dove è capo della redazione online. Ha seguito da cronista i principali gialli ambientati nella capitale. Ha pubblicato una decina di libri-inchiesta su cold case e misteri di Stato ed è uno dei massimi esperti del caso Orlandi-Gregori. Considera il giornalismo libero e coraggioso punto di forza di una democrazia.
Manfredi Filo della Torre, immobiliarista e finanziere, è presidente della Fondazione Alberica Filo della Torre, attiva dal 2012 per sostenere la cultura dell’investigazione forense. Seguendo le orme di suo padre, Pietro Mattei, che ha contribuito all’individuazione dell’assassino di sua madre, Manfredi si batte perché venga riconosciuta la responsabilità di chi commette errori gravi in ambito giudiziario.