Sinossi. Di solito inamovibile dal suo appartamento newyorkese e dalle sue orchidee, Nero Wolfe ha accettato di prendere un treno per la Virginia Occidentale, sedotto da una duplice opportunità: assistere al convegno dei quindici migliori cuochi del mondo e cercare di ottenere la ricetta segreta delle prelibate “salsicce mezzanotte”. Un’occasione più unica che rara per svestire i panni professionali e dedicarsi in tutto relax a uno dei suoi hobby preferiti, la buona tavola. Ma le sue aspettative vengono deluse quando la pacifica riunione di buongustai è sconvolta dalla notizia che il più antipatico tra gli chef è stato assassinato. Wolfe e il suo fedele Archie Goodwin si mettono subito in azione. Pubblicato nel 1938, “Alta cucina” è uno dei romanzi chiave nel ciclo dei casi di Nero Wolfe, un capolavoro di scoppiettante ironia che trascende i confini del poliziesco ed è ormai considerato a tutti gli effetti un classico della letteratura novecentesca.
ALTA CUCINA
Le inchieste di Nero Wolfe
di Rex Stoux
Mondadori 2023
Alessandro Golinelli (Traduttore)
Giallo, pag.300
Alta cucina
A cura di Edoardo Guerrini
Recensione di Edoardo Guerrini
Come si fa a parlare con sufficiente rispetto di un classico del genere giallo come questo, e di un maestro come Rex Stout?
Mi sa che, per non essere troppo banale, mi toccherà annoiare il lettore raccontando cosa sono stati per me i libri di Rex Stout. A parte il primo contatto tramite la mitica serie TV degli anni ’69 – ’71, con Tino Buazzelli e Paolo Ferrari per la regia di Giuliana Berlinguer, la mia prima lettura degli scritti di Rex Stout è iniziata a quattordici anni, grazie a mio padre che mi aveva regalato un Omnibus Mondadori contenente cinque romanzi. Lì non c’era Alta cucina, ma sicuramente poi lo avevo letto in quanto mio padre aveva già una cospicua raccolta dei libri dalla copertina gialla.
Ma poi è stato una ventina d’anni dopo, all’inizio del ventunesimo secolo, che ho iniziato a studiare l’elenco completo dei romanzi e racconti di Rex Stout, e a collezionare tutti quelli che mi mancavano, acquistandoli in tutti i modi; così è stato che alla fine di Alta cucina, ovverosia Too Many Cooks, oggi me ne ritrovo ben tre edizioni, una del 2000 col romanzo singolo in versione illustrata, due del 2005 dove era insieme ad altri romanzi che evidentemente mi mancavano ancora…
Per non parlare della serie TV ripubblicata in DVD, da me rivista decine di volte! Insomma, questo per farvi capire il mio rapporto affettivo con i romanzi di Stout. Ma veniamo al punto. Fin dal titolo, ove scopriamo che gli anglosassoni usano il nostro stesso proverbio, Too many cooks spoil the broth, si può intuire la fantastica ironia con cui il presunto narratore Archie Goodwin informa le avventure del suo capo Nero Wolfe. Qui abbiamo il pingue investigatore che stranamente ha deciso l’enorme sacrificio di sobbarcarsi un viaggio in treno, anche se terrorizzato “Una locomotiva ha duemilatrecentonove parti in movimento!”, pur di assistere all’incredibile raduno dei Quinze Maîtres e di aver l’occasione di incontrare il suo mito, il cuoco Jerome Berin e di aver l’ardire di chiedergli la ricetta delle sue mitiche salsicce mezzanotte.
Fin dall’inizio si intuisce che in questo raduno predominano gelosie professionali e molteplici ripicche, anche per motivi sentimentali, tanto che Archie Goodwin, grazie al suo incredibile acume, riesce già a predire chi sarà la vittima: Phillip Laszio, un cuoco che dopo aver “rubato” svariate ricette in giro, ha pure osato sposarsi con l’ex moglie del grande amico di Wolfe, Marko Vukcic, Tina Rossi che oltretutto è figlia di un altro dei maestri presenti al raduno, Domenico Rossi.
Tra l’altro, pure Goodwin si fa sfiorare dalla tentazione del corteggiamento nei confronti della stupenda figlia di Berin, Costanza, ma dopo aver capito che la cosa avrebbe potuto portarlo addirittura a una proposta seria, si inventa di essere già sposato e carico di ben sette figlioli. Ma passate queste prime schermaglie cariche di humour, il delitto avviene per davvero: Laszio viene trovato, riverso bocconi dietro un paravento, con un coltello infilato nella schiena, e dopo una rapida indagine, anche grazie a un suggerimento di Wolfe, il procuratore Tolman arresta proprio Berin accusandolo del delitto: Berin che aveva già categoricamente rifiutato a Wolfe di rivelargli la famosa ricetta! È ovvio che, pur non avendo nessun incarico dotato dei soliti lauti compensi di cui normalmente usufruisce, il grande investigatore ha tuttavia un enorme stimolo a darsi da fare per risolvere l’enigma.
Come ben noto, la grandezza di Stout nel fornire a questo genere letterario una grandissima innovazione si basa sul fatto che le sue storie non sono semplici enigmi da risolvere grazie all’intelligenza e alla genialità del protagonista: che peraltro usa dire che il suo modello è “l’intelligenza guidata dall’esperienza”: frase che nel mio piccolo ho tenuto da sempre come un esempio da seguire in tutti i casi della vita; ma il fatto è che nelle sue storie entra anche a piene mani la realtà, sul modello dell’hard boiled school grazie al ruolo attivo di Goodwin che si occupa di uscire e di portargli i testimoni chiave, ma soprattutto grazie all’osservazione acuta della realtà sociale che non manca mai nei lavori di Stout. Qui in particolare, siamo nel West Virginia, in un hotel di lusso gestito da una folla di camerieri e aiuto cuochi di colore, con tutto quello che ne può conseguire circa i ruoli e la segregazione operata in uno stato del Sud degli States alla fine degli anni ’30.
Addirittura, nel confrontare le mie edizioni e quella uscita quest’anno, che riporta sempre la traduzione di Alessandro Golinelli come le precedenti, ho scoperto un dettaglio interessante sul tema oggi molto attuale della political correctness: in più passaggi del libro, infatti, nella mia edizione del 2000 la traduzione riporta l’espressione “negri” con riferimento a queste persone; mentre in quelle successive, a partire dal 2005 e ovviamente anche in quella di quest’anno, esso viene corretto in “neri”.
Ma in questa peraltro comprensibile attenzione a riportare il testo a una versione più coerente col sentire attuale, si finisce anche per fare un errore notevole. Perché un conto è se quella espressione viene usata da Goodwin o da Wolfe, e quest’ultimo nel ricevere il gruppo di testimoni fa capire fin dall’inizio quale sia il suo rispetto e la sua mancanza di pregiudizi razziali nei loro confronti, ricevendone infatti una preziosissima collaborazione che lo porterà a risolvere il caso; ma quando invece quell’espressione la usa quell’imbecille dello sceriffo
Sam Pettigrew, a me sembra proprio sbagliato fargli dire:
Pettigrew esclamò: «Che io sia dannato, una coppia di neri! Ehi, tu, prendi la sedia!» o magari «Qui nel West Virginia non diamo del “signore” ai neri e non ci serve proprio nessuno che venga qui a dirci…».
La verità è che in questo romanzo si verifica un vero e proprio scontro di mentalità, e si capisce molto bene da che parte stia Rex Stout e i suoi personaggi. E questo è uno degli elementi che più apprezzo in questo autore, di cui ho avuto prova in numerosissime sue cose, basti pensare all’episodio Nero Wolfe contro l’FBI (Thr doorbell rang) in cui addirittura il mitico Nero sfida l’agenzia federale pur di far presente i diritti delle persone in un regime democratico e costituzionale.
Qui è proprio grazie alla testimonianza chiave di Paul Whipple, che poi reincontreremo in un altro episodio in cui sarà Wolfe ad aiutarlo in modo determinante, sdebitandosi per aiutare il figlio di Paul quando questi, che in Alta cucina era ancora uno studente universitario, sarà diventato a sua volta docente a New York (Il diritto di morire, A right to die), che Nero Wolfe riesce a risolvere il caso.
E così alla fine otterrà anche quello che voleva: la ricetta delle salsicce mezzanotte, che Berin gli riferirà solo a voce, da tenere a mente senza mai scriverla e impegnandosi a non riferirla neppure a Fritz Brenner, il cuoco di Wolf ( ma forse questo impegno sarà disatteso? Chissà!
D’altra parte nella mia edizione del 2000 la ricetta viene proprio svelata anche a noi, ma io mi guardo bene dal dirvela!).
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Rex Stout
Rex Stout (Noblesville, Indiana, 1886-1975), dopo una sfortunata esperienza nella letteratura d’avanguardia, nel 1934 creò la figura dell’investigatore-gourmet Nero Wolfe, protagonista di una trentina di romanzi di successo, da cui sono stati tratti anche numerosi film.