Recensione di Ilaria Bagnati
Autore: Ariana Harwicz
Traduzione: Giulia Zavagna
Editore: Ponte alle Grazie
Genere: romanzo
Pagine: 168
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. In un angolo remoto della campagna francese una donna vive col marito, il figlio di sei mesi e la suocera da poco vedova: una vita coniugale e domestica apparentemente senza drammi; una vita normale. Ma niente inganna come la normalità. In un monologo denso e compatto, la protagonista senza nome racconta un anno e mezzo di lotta contro il demone delle costrizioni psicologiche e sociali, demolendole una ad una: maternità, amore, matrimonio, famiglia, tutti i gioghi cui una donna deve piegarsi per essere accettata. Poco importa se i vicini la chiamano strega, se il marito e la suocera si ostinano a fornirle tutto l’aiuto di cui credono abbia bisogno. La sua pazzia crescente è un eccesso di lucidità, un grido di dolore contro una vita che si ripete per schemi, un tentativo di superare il desiderio e la sopraffazione per ritrovare infine sé stessa. Il flusso di pensiero della protagonista avvolge il lettore, trascinandolo in un universo parallelo di violenze immaginarie e reali, in boschi dove una natura inquietante diventa il riflesso di un io dilaniato. Una tensione continua percorre questo libro: impossibile staccarsi dall’incantesimo di una scrittura sempre vibrante, che riesce come poche a dar conto della sofferenza e dell’alienazione.
Recensione
Con Ammazzati amore mio ci troviamo di fronte ad un libro che potremmo definire disturbante per la potenza delle immagini evocate e delle parole utilizzate.
La narrazione consiste nel flusso di pensiero continuo della protagonista che ci rende partecipi del suo dramma: quello di madre, moglie, nuora, vicina di casa, donna, essere umano. Sì perché alla protagonista senza nome, ogni ruolo sociale, ogni etichetta sta stretta, non se la sente addosso come dovrebbe. La donna vive isolata nella campagna francese insieme al marito, al figlioletto di pochi mesi e alla suocera vedova. E’ palese quanto il vivere isolati senza svaghi, con pochi vicini che ti additano come una strega sia deleterio per una donna che ha da poco partorito e che probabilmente soffre di depressione post-partum.
L’ho messo al mondo, ed è più che sufficiente. Sono una madre con il pilota automatico. Ora piagnucola ed è peggio del pianto vero e proprio. Lo sollevo, gli faccio un finto sorriso, stringo i denti. La mamma era felice prima del bebè. La mamma si alza tutti i giorni con una gran voglia di fuggire dal bebè e lui non fa che piangere e piangere.
La donna lo chiama bebè, non lo chiama per nome, è un essere vivente a sé stante, senza legami con lei, o meglio, senza legami da parte della madre. Si comporta come un automa, accudisce il figlio con il pilota automatico, si prende cura della casa, del marito perché sa che deve farlo e non perché è ciò che vorrebbe. Conosce le norme sociali e si comporta di conseguenza o almeno ci prova fino a che non ne può più, arriva il punto di rottura.
Chi riuscirebbe a vivere a lungo estraniata dai propri ruoli e da sè stessa? Ciò che la mantiene in vita sembra essere solo il bruciante desiderio sessuale che il marito si rifiuta di appagare e così la donna evade, cerca altri modi per soddisfare quel desiderio, si rifugia nella natura in cerca di conforto.
Non è sempre semplice seguire il dialogo intimo della protagonista perché a volte la realtà si modifica, appare attraversata da allucinazioni e tutto si confonde. Ammiro l’autrice per la sua capacità di creare un romanzo carico di tensione, disturbante e che fa riflettere sull’importanza di poter essere sè stessi. Di donne come la protagonista ce ne sono tante, donne che per essere accettate devono comportarsi come ci si aspetta da loro.
Sono madri, mogli e casalinghe?
Quindi ci si aspetta che rispettino i ruoli e che lo facciano con amore e dedizione ma se qualcosa si incrina e quei ruoli stanno stretti?
E’ giusto continuare a fingere e costringersi ad essere ciò che non si vuole o è meglio urlare il proprio dolore e la propria infelicità con la speranza che qualcuno li accolga?
Ammazzati amore mio come avrete capito non è un libro facile e credo meriti di essere letto con il giusto stato d’animo per comprenderlo e apprezzarlo.
A cura di Ilaria Bagnat
ilariaticonsigliaunlibro.blogspot.com
Ariana Harwicz
Ariana Harwicz (Buenos Aires, 1977) è scrittrice, sceneggiatrice e documentarista. Dopo gli studi a Parigi si è trasferita definitivamente in Francia. Ammazzati amore mio (2012, candidato al Booker Prize), il suo primo romanzo, è tradotto con grande successo in oltre dieci lingue. Ponte alle Grazie pubblicherà anche i due libri che completano la sua Trilogia della passione: La débil mental (2014) e Precoz (2015).