Un requiem tedesco




Speciale di Salvatore Argiolas


Autore: Philip Kerr

Traduzione: Luca Merlini

Editore: Fazi

Pagine: 400

Pubblicazione: 2021

Sinossi. Dopo Violette di marzo e Il criminale pallido, il capitolo conclusivo della trilogia berlinese di Bernie Gunther, un grande classico del poliziesco che ha riconquistato tutti.

«Philip Kerr è il maestro contemporaneo del thriller con una complessità morale. Un requiem tedesco, ambientato principalmente nella Vienna del dopoguerra, ha un’affinità con Il terzo uomo di Graham Greene, ma – lo dico? – eguaglia o supera Greene (e il film di Carol Reed con Orson Welles) perché non rifugge dal substrato saturo di nazismo dell’ambiente viennese».The New York Observer

«La genialità di Kerr nel riprodurre umori, paure, viltà, miserie, sadismi, architetture, ruggine e fuliggine della Germania hitleriana rende Violette di marzo inquietante come una seduta spiritica. Un romanzo tragico, avvincente, bellissimo».Antonio D’Orrico, Sette – Corriere della Sera

«Un’opera grandiosa, debitrice a Chandler non meno che a Grosz e a Levi. Di Marlowe, Gunther ha il disincanto, il sarcasmo, l’ostinazione, la lingua lunga. Quanto al lascito di Levi, non c’è che da leggere le pagine sul lager e l’indicibilità dell’orrore per scorgerlo».Roberto Iasoni, La Lettura – Corriere della Sera

Nell’aspro inverno del 1947 la zona russa si chiude sempre più strettamente intorno a Berlino. Così, quando un enigmatico colonnello chiede a Bernie Gunther di andare a Vienna, dove il suo ex collega della Kripo, Emil Becker, è accusato di omicidio, Bernie non esita a lungo. Nonostante il passato sgradevole di Becker, Gunther è convinto che sparare a un cacciatore di nazisti americano non sia da lui. In mezzo alle rovine della città agonizzante, circondato da ex nazisti braccati, uomini capaci di vendere qualsiasi cosa e belle donne pronte a vendere se stesse, Bernie si troverà suo malgrado coinvolto nel gioco di spionaggio e controspionaggio fra le due grandi potenze.

Sono passati diversi anni da quella notte del 1938 passata alla storia come Notte dei cristallie Bernie Gunther dopo tante vicissitudini che l’hanno portato in guerra prima nelle SS e poi nel Dipartimento crimini di guerra,

Dopo il conflitto Gunther ritorna a fare il detective privato e come nei più celebri hard boiled trova un cliente che bussa alla porta ma stavolta in modo molto più dimesso: Grazie alla coperta imbottita che mi ero avvolto attorno alle gambe ero al caldo, e mi stavo giusto congratulando con me stesso per il fatto di riuscire a lavorare da casa. Il salotto fungeva anche da ufficio, quando bussarono a ciò che rimaneva della porta d’ingresso. Imprecai e mi alzai dal divano. Ci vorrà solo un minuto, urlai attraverso la porta, non se ne vada. Girai la chiave nella serratura, tirando la grossa maniglia di ottone. E’ meglio che spinga dalla sua parte, gridai ancora. Avvertii uno scalpiccio sul pianerottolo e poi una pressione sull’altro lato della porta. Finalmente, con un cigolio, si aprì.

I tempi sono cambiati per tutti, la guerra è finita da quasi due anni ma Berlino è ancora un immenso campo di macerie in cui rimanevano a malapena in piedi solo le facciate dei negozi e degli alberghi, come in un set cinematografico abbandonato.

Anche Bernie Gunther risente dei tempi plumbei che opprimono la Germania tanto che lavora anche  per un sacco di carbone, merce di estremo valore in un Paese dove manca tutto ma non gli intrighi.

Le Germania sconfitta è stata divisa in quattro settori tra i paesi vincitori del conflitto e il detective viene ingaggiato da un colonnello russo che vuole far scarcerare un suo informatore che è stato collega e commilitone di Gunther.

Unendo gli schemi tipici del migliore hard boiled agli stereotipi più attraenti dei romanzi di spionaggio Un requiem tedescoci porta in un periodo e un ambiente in cui niente è come sembra e qualsiasi errore può portare rapidamente alla morte.

Bernie Gunther segue degli indizi che lo porteranno a vivere il lato oscuro del primo dopoguerra dove inganni, sotterfugi, ambiguità e manipolazioni sono all’ordine del giorno in un quadro di mosse geopolitiche decise ai massimi livelli.

Il detective berlinese è consapevole di essere capitato in un complesso gioco di sponda tra ex nazisti e americani in funzione antisovietica con dei gerarchi creduti morti, come Arthur Nebe, che complottano per creare una rete di fuga per i commilitoni.

Philip Kerr conclude alla grande con Un requiem berlineseuna trilogia di altissimo livello che racconta perfettamente un periodo tragico della storia europea mettendone in luce alcuni aspetti cruciali come l’importanza del blocco industrial-militare nell’ascesa di Hitler al potere nel primo libro Violette di marzoe la decisiva influenza del nazismo magiconella costruzione del regime in Il criminale pallido. In questo ultimo atto viene evidenziato il tentativo di entrambe le forze impegnate nella cosiddetta guerra fredda di utilizzare i reduci del regime per ostacolare i piani del nemico usando tutti i trucchi più subdoli per riuscire nell’intento.

Il crollo della Germania nazista creò un vuoto enorme al centro dell’Europa e sin da Aristotele si sa che la natura aborre il vuoto. Ci fu un lungo, ostile e intenso braccio di ferro tra alleati e sovietici per contenere l’influenza geopolitica dell’avversario e in questo campo minato Bernie Gunther cerca di sopravvivere pur non cambiando il suo carattere schietto e onesto.

Ogni suo progresso nell’indagine è pericoloso perché sia sia gli americani che i russi cercano di manipolare e gestire i tanti gerarchi nazisti ancora in circolazione per poter avvantaggiarsi dei loro segreti.

Snodandosi da Berlino a Vienna l’indagine tocca diversi punti cruciali del dopoguerra e si conclude nella cripta dei cappuccini, resa famosa dal romanzo di Josep Roth, in un finale dove tutti i sotterfugi, i trucchi e le illusione verranno smascherate con lo scacco matto come in una partita di scacchi

Per mutuare un termine degli scacchi, è stato il mio gambetto viennese: a prima vista innocuo, ma il seguito è carico di trappole e possibili aggressioni. Tutto quello che ci vuole è un cavallo forte e coraggioso.


 

Le ambientazioni  


La Berlino teatro di “Un requiem tedesco”, ultimo atto della trilogia berlinese di Philip Kerr è molto diversa quella che abbiamo trovato nel romanzo precedente “Il criminale pallido” che terminava nel novembre del 1938, durante la cosiddetta “Notte dei cristalli” in cui si scatenarono violenti pogrom antiebraici che causarono la distruzione di tantissime attività e migliaia di morti.

L’anno successivo con l’invasione della Polonia il Terzo Reich entrava in guerra e dopo un iniziale serie di schiaccianti vittorie, l’estensione del conflitto all’Unione Sovietica e, in seguito, agli Stati Uniti portò al contenimento prima e poi a bloccare in modo netto l’avanzata nazista.

Dopo lo sbarco in Normandia del 1944 la Germania nazista si trovò intrappolata tra due forze ancora poderose, decise a dare il colpo finale al regime nazista.
In questo contesto nacque una competizione tra i suoi nemici che aveva come meta proprio la città di Berlino, capitale del Reich e simbolo della volontà di potenza hitleriana.

Furono i sovietici ad entrare per primi a Berlino, che fu ridotta a vaste distese di rovine come molte città tedesche, tanto per alcune come Dresda si utilizzarono i quadri dipinti da Bernardo Bellotto nel diciottesimo secolo come modello per la ricostruzione dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, tra cui quello ricordato da Kurt Vonnegut, che fu un testimone oculare, in “Mattatoio n°5”.

Berlino

Bernie Gunther, l’investigatore privato protagonista della trilogia, descrive così la metropoli che solo qualche anno prima era il luogo più effervescente e sfavillante d’Europa:

Alla fine del 1947, Berlino appariva ancora come una colossale acropoli di mattoni caduti e di edifici in rovina: un immenso, inequivocabile monumento allo scempio della guerra e al potere di 75.000 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale. La distruzione piovuta sulla capitale dell’ambizione hitleriana non aveva pari: una devastazione wagneriana con la chiusura del ciclo dell’anello, l’incendio finale di quel crepuscolo degli dei. In molte zone della città, una mappa stradale non sarebbe stata più utile di uno straccio per lavare i vetri. Le strade principali si snodavano come fiumi attorno a grandi cumuli di macerie.” e dove “continuavano a far saltare con la dinamite le rovine pericolanti.”

E sono soprattutto le “Trümmerfrauen, le “donne delle macerie” le vere artefici della ricostruzione:

E attraverso l’esempio di Berlino, portata alla rovina dalla vanità degli uomini, si sarebbe dovuta imparare la lezione che quando si è combattuta una guerra, quando i soldati sono morti e le mura crollate, una città si fonda sulle sue donne. Camminavo attraverso un canyon di macerie che ricordava una miniera scavata con scrupolo, dal quale emergeva un piccolo convoglio di camion carichi di mattoni, sotto la supervisione di un gruppo di donne. Sulla fiancata di uno dei camion c’era scritto col gesso: “NON C’E’ TEMPO PER L’AMORE”. Quel promemoria non serviva, considerate le loro facce ingrigite e i corpi da lottatori. Ma avevano un cuore grosso come i loro bicipiti.”

Nell’estate del 1947 Roberto Rossellini girò proprio nella Berlino occupata dagli alleati “Germania anno zero”, uno dei film più importanti del neorealismo italiano e quella che si vede è “un’immensa città semidistrutta in cui tre milioni e mezzo di persone trascinano un’esistenza spaventosa, disperata, quasi senza rendersene conto, vivono nella tragedia come nel loro elemento naturale” mostrando una desolazione assoluta con pochi edifici ancora in piedi e ancora lontanissima da qualsiasi accenno di ricostruzione.
Secondo la critica, “attraverso il protagonista, il ragazzo Edmund, Rossellini presagisce il senso della caduta di ogni speranza nazionale e internazionale: il nazismo sconfitto non è morto, continua a sopravvivere in modo diffuso, sia pure nelle forme degradate. Sulle macerie è impossibile ricostruire e tra le macerie non sembra nascere alcuna forma di solidarietà umana, di amore, né di speranza. Vigono solo le forme della pura sopravvivenza. (…) Con questo film Rossellini, pur negandolo ha realizzato il finale più disperato di tutto il cinema del dopoguerra. Sulla Germania il regista realizza un transfert del senso di un’angoscia generalizzata e priva di appigli e di speranza. (cfr Gian Piero Brunetta “Lo sguardo del neorealismo” in “Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”. Laterza).

Berlno

La conquista di Berlino da parte dei sovietici venne celebrata nella famosa foto della bandiera rossa che sventola sul tetto del palazzo del Reichstag il 2 maggio del 1945.
Nei pressi del palazzo in rovina, nel romanzo si tiene il mercato nero delle merci. “Di fronte al Reichstag annerito, in uno spazio dall’estensione di campo di calcio, un migliaio di persone si affollava in piccoli garbugli di cospirazione, tenendo in mano quello che avevano da vendere quello che avevano da vendere come il passaporto in una frontiera affollata. (…) Per lo studioso di economia classica, Berlino rappresentava un perfetto modello del ciclo economico determinato dall’avidità e dal bisogno.”
Nella storia della Germania il Reichstag assunse un ruolo decisivo il 27 febbraio del 1933 quando un incendio doloso lo distrusse e questo fatto viene considerato cruciale per l’affermazione del partito nazionalsocialista.

Dell’incendio fu accusato il giovane olandese Marinus Van der Lubbe ma rimangono ancora molti dubbi sul suo reale coinvolgimento nel rogo. In ogni caso l’attentato servì ai nazisti come pretesto per sospendere gran parte dei diritti civili garantiti dalla costituzione del 1919 tramite il “Decreto dell’incendio del Reichstag”.

La Berlino attraversata da Bernie Gunther è una città sfinita, depressa, divisa in quattro settori amministrati dai vincitori della guerra, francesi, britannici, americani e sovietici all’interno della zona di occupazione sovietica della Germania,

Vienna

Anche Vienna, dove si conclude il romanzo, è una città spettrale, dove la gente muore letteralmente di fame, separata in quattro zone secondo le risoluzioni della conferenza di Potsdam.
La capitale austriaca è un crocevia di spie dato che è già cominciata la cosiddetta “guerra fredda” preannunciata dal celebre discorso di Curchill a Fulton nel 1946 dove denunciava la presenza di “una cortina di ferro che va da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico. Dietro quella linea giacciono tutte le le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza Sovietica ma anche a un’altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca.”

Anche qui una suggestione cinematografica ci aiuta a capire lo spirito del tempo. Il film “Il terzo uomo” di Carol Reed, ritenuto dai critici uno dei migliori inglesi di sempre, fu infatti girato a Vienna proprio nel 1948 ed è tanto entrato nell’immaginario collettivo da avere un itinerario turistico dedicato ed addirittura un museo che ospita una vasta collezione di reperti originali del film e inoltre presenta un’ampia documentazione incentrata sul periodo storico della pellicola e del periodo dell’occupazione di Vienna (1945- 1955).
Il libro si conclude nella chiesa dei cappuccini, nella zona ovest del Neuer Markt, molto conosciuta anche per il romanzo “La cripta dei cappuccini” di Joseph Roth, il cantore del “Finis Austriae”, della dissoluzione dell’Impero Austro-ungarico.

Bernie Gunther giunge nella cripta per avere le risposte a tutti i suoi dubbi e per unire i fili pendenti di una ricerca che si è rivelata tanto complessa quanto pilotata e arriva in un ambiente dove “giacciono i resti e le auguste ossa di più di cento Asburgo, benché nella guida che mi ero portato dietro fosse scritto che i loro cuori sono conservati in urne poste sotto la cattedrale di Santo Stefano.

Si tratta di una testimonianza di lutto che non ha eguali in nessun altro luogo a nord del Cairo.” Dulcis in fundo, non si può parlare di Vienna senza pensare ai dolci e un personaggio del libro dice a Gunther:

Sei nella città più grande del mondo, per i dolci. Avresti dovuto essere qui prima della guerra: Gerstner, Lehmann. Heiner, Aida, Haag, Sluka, Bredendick…paste come non ne hai mai mangiate.” Ne prese un altro boccone. “Venire a Vienna senza amare i dolci? E’ come portare un cieco a fare un giro sulla ruota del Prater. Non sai cosa ti perdi.”

Philip Kerr


Nato a Edimburgo, ha vissuto tra Wimbledon e la Cornovaglia. Dopo la laurea in Legge, ha cambiato completamente ambito e ha lavorato per anni come copywriter in alcune delle più importanti agenzie pubblicitarie inglesi. Ha scritto numerosi romanzi, i più famosi dei quali compongono la serie noir in cui compare il detective Bernie Gunther, indimenticabile protagonista de La notte di Praga. Autore bestseller in Gran Bretagna e in Francia, Philip Kerr è stato amatissimo tanto dal pubblico quanto dalla critica, che gli ha tributato numerosi riconoscimenti, tra cui l’Ellis Peters Historical Award. Muore nel 2018 a seguito di un tumore.

 

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