Boccanera




Michèle Pedinielli


Traduttore: Luca Bondioli

Editore: Fandango Libri

Pagine: 216

Anno edizione: 2025


Sinossi. Nizza, si sa, non è come il resto della Francia: a Nizza c’è il sole, il mare, i turisti, i vecchi e i fascisti. Ma non solo. C’è anche Ghjulia Boccanera, detta “Diou”, cinquantenne divorziata dal poliziotto Jo, senza figli e con un coinquilino, insonne bevitrice di caffè, spericolata detective privata in Dr. Martens, eroina generosa e semplice. Un giorno un giovane dal volto d’angelo le chiede di indagare sull’efferato assassinio del suo ricco e raffinato compagno, prima di essere lui stesso ucciso. È morto per i suoi soldi, per la sua fama nel mondo dell’arte o per il suo orientamento? Diou, incosciente di fronte al pericolo, attraversa la città per trovare il colpevole, si spinge nei quartieri più estremi e porta il lettore, attraverso una serie di colpi di scena, a un finale spiazzante. La storia è ispirata a un fatto di cronaca. Michèle Pedinielli scrive come parla e come vive, senza ritegno, con tanto umorismo, e ha scelto un modo tutto suo per raccontare storie di mafia, d’imbrogli politici, la situazione dei rifugiati, il mondo del lavoro in tutta la sua crudezza, per denunciare, insomma, le infamie dei potenti nei confronti dei deboli o dei discriminati. Ecco il primo volume della serie noir che ha fatto impazzire la stampa e i librai francesi.

 Recensione

di

Sabrina De Bastiani


“ (…) vorrei sapere come si pronuncia il suo nome… È Ghjulia:”

“No. Dgiulia”

“E… particolare.”

“No, è corso.”

Boccanera si presenta così ai lettori italiani, con il suo nome e con la sua voce.

E si capirà presto come ciò sia una dichiarazione di intenti, indizio forte e chiaro della sua essenza, quella  di dare il loro nome alle cose, pane al pane, anche e soprattutto se il pane è duro da buttar giù.

Non si può non rimanere immediatamente affascinati e conquistati da questa investigatrice privata corso-italiana, dalla sua ironia pungente, dalla sua complessità emotiva eppure vitale, dalla Nizza malandrina e fascinosa che restituisce percorrendola a piedi  e permettendo così di respirarla.

“Sono a casa sua, è stato assassinato.”

“Arrivo.” Metto giù, inebetita, comincio a vestirmi e mi rendo conto che non ho un mezzo di trasporto. (…) Telefono, chiavi, giacca col cappuccio, scendo le scale quattro a quattro. Di sotto mi sforzo di calmare il cuore, che è impazzito quando ha sentito la voce di Jo. Respiro calma, una volta, due. Il ritmo scende. Così va bene. Parto a piccole falcate attraverso le strade sonnolente. È tanto che non corro. Tanto che non gusto la meccanica del respiro, il movimento del corpo, la cadenza delle suole. Ritrovo tutto in fretta. (…) Imbocco Martin-Seytour, ripasso da Place du Pin con i festaioli che escono dai locali e mi avvio su per Auguste-Gal. Sto andando piuttosto bene, accelero progressivamente. Mi concentro sulla cadenza e sul respiro per non pensare a quello che mi aspetta. Sbocco in Place Auguste-Blanqui, con i lavoratori del mattino che vanno verso la stazione a prendere il primo treno per Monaco. Attacco la salita di Boulevard du Mont-Boron. Vedo le luci blu dei lampeggianti delle auto della polizia a una ventina di metri. Rallento per ritrovare un ritmo cardiaco normale e tiro fuori il telefono.

“Sono qui. Fammi entrare.”

E allo stesso modo   non si può non rimanere avvinghiati alla storia noir che l’Autrice confeziona e sviluppa in queste pagine  toccando a prezzo pieno, interpretando il genere   con lucidità e potenza espressiva,   A fronte di tematiche difficili, calde, divisive quali  l’ omofobia, l’immigrazione, la corruzione, la sicurezza sul  lavoro, le speculazioni immobiliari.

“Ascolta, sto indagando su due omicidi: uno era un ingegnere della Rafaelo, l’altro il suo compagno. L’unico elemento minimamente tangibile è una mail anonima che mi consiglia di interessarmi al cantiere.”

Tanti e importanti, dunque, i temi, così come le morti violente che insanguinano le pagine, eppure Pedinielli, magistralmente,  riesce nella difficile impresa di scrivere una storia agile senza essere superficiale, riuscendo a veicolare concetti profondi coniugandoli a un racconto  intrigante, che stimola alla scoperta del colpevole e al voler conoscere il privato di questa investigatrice che indossa Dr Martens come fossero uno scudo tra il cristallo della sua emotività e la durezza con la quale sa proporsi la vita.

Non è sola, Ghjulia, Diou per gli amici. 

Diou quindi senz’altro per il suo coinquilino Dan,   è il fratello che mi sono scelta, e mi fido più di lui che di me stessa.

Ci armonizziamo senza assomigliarci in niente. E la roccia che mi ha permesso di non annegare e che continua periodicamente a mantenermi al di sopra della linea di galleggiamento.

Diou per   Joseph Santucci, l’uomo della mia vita, insomma di una gran parte della mia vita. Bello, intelligente, premuroso.

Per la maggior parte delle persone un orso che sembra in guerra costante con il resto del mondo. lo so che è spiritoso. Un corso con il senso dell’umorismo, è abbastanza raro da tenerselo stretto. E so anche che lo ha ereditato da Léonie, la sua nonna ivoriana. L’ho conosciuta un po’ Prima della sua morte. Mi ricordo di come ruggiva ridendo. Mi sono sempre detta che doveva avere un gran bel senso dell’umorismo, una donna nera, per sopravvivere all’Alta Rocca corsa del dopoguerra. Suo nipote è diventato un motociclista tranquillo, suonatore di banjo, bevitore di bianco secco. E comandante della polizia. Quando stavamo insieme non stavamo bene, di più. Ma alla fine niente ha preso la piega prevista. Perché non ci aspettavamo la stessa piega.

Non si aspettavano la stessa piega, eppure da quella piega non sono ancora usciti … 

“(…)mi chiami solo se hai bisogno di me.”

Non è falso. Ma non è neanche vero. Non posso dirgli quante volte non l’ho chiamato mentre avevo bisogno di lui. Nel bel mezzo della giornata, della notte, di un caffè, di una frase. Il silenzio dura qualche secondo.

Chiamata a indagare sul truculento omicidio di un ingegnere italiano, proprio dal compagno dello stesso, il quale sarà assassinato analogamente poco dopo, Diou non può non rivolgersi a Santucci.

Conosco il suo talento di investigatore. Conosco quella sua particolare percezione che gli fa mettere in dubbio le cose più evidenti. Una cosa che abbiamo in comune. Che non ci lascia cullare nelle nostre illusioni e non ci fa mentire con noi stessi. Quella sensibilità che comporta una lucidità troppo tagliente quando si tratta di vivere insieme.

Quella sensibilità che comporta una lucidità così tagliente da permettere di arrivare insieme alla verità.

Quella sensibilità che comporta una lucidità che si perde, quando a rischiare la vita è l’una. Quando a rischiare la vita è l’altro.

A pancia in giù, col naso attaccato al pavimento, respiro. Ingoio, inghiotto ossigeno. Aspiro tutto, aria e polvere, con la bocca, con il naso. Una volta, due volte, dieci volte. Respiro per oggi, per domani, per tutti i giorni. Mai più. Mai più. Bisogna respirare. E vivere.

Più si è vicini a farsi male, più la verità, quell’anguilla sfuggente e multiforme, è vicina.

 Si corre per raggiungerla, in queste pagine che sanno essere dure, toccanti, ironiche, vere.

E poi si corre per lasciarsela alle spalle.

Corro. Dimentico la morte e l’odio. Mi riempio di blu e di sole.

E di mare.

Perché nonostante  il tempo, i cambiamenti e i piani di espansione, questo porto è il più bel posto del mondo. E mi appartiene. Questo porto è casa mia. Mentre sorvolo di corsa il bordo della banchina, dove le pietre piatte sono lisce, usate da generazioni di pescatori che si sono seduti qui, il fantasma di mio nonno mi accompagna. Cappellino piantato in testa, bocchino della sigaretta tra le labbra (una Gauloises senza filtro tagliata ogni giorno in quattro, e quei pezzetti ficcati in quell’affare di bachelite) bastone di

bambù sottobraccio.

“Siediti qui, accanto a me, e sta a

guardare. Innanzitutto, vedi, li attiriamo col pane raffermo (sploch, il pane a mollo tra le chiglie di due barche). Poi mettiamo l’esca (un grumo fatto di pane e formaggino spalmabile) all’amo, attenta alle dita, e adesso lanci. E aspetti”. I grandi professionisti della pesca, seduti a bordo banchina, schiena dritta e canna fiera (con esche preparate scientificamente) aspettavano allora il passaggio del ghiozzo, la sola specie che riesce a vivere in mezzo ai reflussi di benzina del porto. I più grossi erano lunghi anche sette o otto centimetri… Erano il mio trofeo, la mia ricompensa per quell’attesa. Gli sfilavamo l’amo delicatamente e li metrevamo nel secchio rosso pieno di acqua di mare. Così, per continuare a vederli che nuotavano. Quando la pesca era finita (a volte ne prendevamo anche cinque!), rovesciavo il secchio in mare e li guardavo allontanarsi. Mio nonno smontava le canne, prendeva il secchio da una parte, la mia mano dall’altra e ci allontanavamo come due eroi nel tramonto. E al calar della notte non c’era niente di più bello dello spettacolo dei neon dei ristoranti che si riflettevano sull’acqua. Blu, viola, verdi, deformati da incessanti increspature che danzavano al suono di una musica acquatica.

Áncora adesso non c’è niente di più bello.

Quando oltrepasso Quai d’Entrecasteaux, vedo la sua sagoma esile che passeggia tranquilla, con le mani incrociate dietro la schiena, cappellino e bocchino. Il nonno è sempre qui.

E di amore.

Alla prossima, presto, Madame Boccanera.

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Michèle Pedinielli


è nata  a Nizza, da padre corso e madre francese di origine italiana da parte di padre. Dopo aver studiato giornalismo e aver trascorso circa quindici anni in questa professione, è diventata redattrice web, in particolare per RetroNews, il sito di notizie storiche della Biblioteca Nazionale di Francia (BNF). Dopo il suo primo racconto, Celle que l’on ne voit pas nel 2015, si è dedicata interamente alla scrittura di romanzi polizieschi, con Boccanera, pubblicato nel 2018, a cui ha dato diversi seguiti. Michèle Pedinielli vive attualmente a Nizza, dove è tornata a scrivere dopo aver trascorso ventidue anni a Parigi.