Recensione di Sara Pisaneschi
Autore: Arturo Belluardo
Casa Editrice: Nutrimenti
Genere: Narrativa
Pagine: 208
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Calafiore è un archivista bancario quarantanovenne. Obeso dai tempi dell’università e insoddisfatto del suo lavoro, trascorre l’esistenza accettando passivamente gli eventi finché un giorno, da vittima predestinata, perde tutto: la sua compagna, la figlia, la casa, il lavoro. Quello che dava un senso alla sua vita. E così si abbandona ossessivamente a ciò che gli rimane, un’incontenibile fame. La sua, poi, non è neanche fame: è un atroce desiderio di sapore, manifestazione primaria della sua totale incapacità di saziare altri vuoti, ben diversi da quelli gastrici. ‘Mangia per non essere mangiato’ dunque, un mantra condiviso anche da Marta e Federico, fidanzati poco più che ventenni, diventati cannibali quasi per caso e, da quel momento, socialmente impegnati a scalare la piramide alimentare per rovesciarne il sistema di potere. L’ambizioso progetto però è destinato a vacillare quando Calafiore, rapito dai due ragazzi, decide coraggiosamente di raccontare la sua storia appena prima che questi comincino a banchettare con il suo adipe. In una sequela di episodi esilaranti e di patetici tentativi di dimagrire, il tragico si fonde con il comico, il pulp fa la sua parte, e tutto l’insieme invita a riflettere sul nostro difficile rapporto con il cibo in una parodia più che verosimile del gigantesco ingranaggio finanziario che trasforma, a loro volta, i consumatori in un enorme pasto.
Recensione
Libro particolare. Libro spiazzante. Libro interessante. Libro che va digerito e, considerando l’argomento, non poteva essere altrimenti. Mi aveva subito colpito la descrizione che di sé dava il protagonista:
“Mi chiamo Calafiore e ho fame. Io ho fame, ho sempre fame. Ho sempre avuto fame. Come Galactus, che divorava pianeti a pranzo e lune a colazione; gli anelli di Saturno se li mangiava per aperitivo, come fossero anelli di calamaro o di cipolla fritti, di quelli che fanno da Burger King, che ti ci vogliono due giorni per digerirli e hai un alito che ti riconoscono a cinque metri di distanza.”
Pino Calafiore ha bisogno di riempire dei vuoti che si porta dietro dall’infanzia, delle vere e proprie voragini che si fanno sempre più grandi e che non riesce mai a colmare. Cerca di farlo con il cibo. Perché la vita per quelli come lui è difficile. Viene deriso, offeso, schernito.
Da sempre. È diventato un maestro nell’arte del mangiare di nascosto e senza fare rumore. Non da fastidio a nessuno, è la sua mole ad essere ingombrante e a destare l’attenzione. Ma come tutti i buoni arriva il momento di puntare i piedi e lo fa in modo oltremodo bizzarro.
Lo fa di fronte ai suoi carnefici, due giovani che hanno trovato nel cannibalismo la risposta ai mali del mondo. Lo fa raccontando la sua storia, una storia fatta principalmente di umiliazioni, di privazioni, alla continua ricerca di un qualche riscatto. In fondo la vita non è in parte anche questo?
Riempire dei vuoti. I dolori che ci investono, le perdite, le ingiustizie, formano dei baratri su cui va messa una pezza per sopravvivere. E ognuno lo fa a modo suo, giusto o sbagliato che sia. Calafiore lo sa bene, lui che riesce a perdere tutto e tutti e va forte a sbattere contro la realtà.
In questo libro l’autore ci mette di fronte a casi estremi, improbabili, destabilizzanti, e in un vortice di ironia e splatter, di tenerezza e ferocia, mette in piazza delle grandi e innegabili verità. Mangiamo per non essere mangiati. La nostra società non funziona così? C’è il rischio, però, di rimanere un guscio vuoto, alla fine. Quello non deve accadere.
“… la corazza a noi serve, ci serve per nasconderci, per non far capire che, in fondo, siamo senza pelle. Noi, che le emozioni le viviamo più degli altri, che se un vecchietto ci guarda di traverso per strada pensiamo che ce l’abbia con noi, senza accorgerci che il suo sguardo è gelato dalla cataratta. Che se due persone litigano, crediamo che sia sempre per colpa nostra, così distinto, senza motivo. Che se tuo padre e tua si lasciano. Noi siamo così.”
Arturo Belluardo
Arturo Belluardo è nato nel 1962 a Siracusa e vive a Roma. Lavora alla Direzione Crediti del Banco Popolare. Il suo romanzo Il ballo del debuttante è stato segnalato al Premio Calvino 2016, suoi racconti sono stati pubblicati su «Lo Straniero», «Buduàr», «Succedeoggi» e «Mag O» e in antologie edite da Nottetempo e dal Goethe Institut. Nel 2015 il suo Scatola a sorpresa è stato portato in scena al Teatro Biondo di Palermo. Sempre a Palermo, è stato rappresentato il monologo La volta che mio padre m’imparò a volare.
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