CICCIO E TORE




IL MISTERO DI GRAVINA


Sinossi. Francesco Pappalardi detto Ciccio, di tredici anni e suo fratello Salvatore detto Tore, due anni più piccolo, scompaiono la sera del 5 giugno 2006 dal centro di Gravina, borgo storico dell’alta Murgia. Per lungo tempo il destino dei due ragazzi rimane avvolto nel mistero fino a che, un anno e mezzo dopo, viene arrestato il padre dei due: Filippo. Secondo l’accusa è stato lui a uccidere i figli e a nasconderne i corpi. Sembra tutto risolto quando qualche mese dopo un ragazzino, coetaneo di Ciccio e Tore, cade in una cisterna scavata nel sottosuolo di un palazzo abbandonato nel centro cittadino e da tutti chiamato La casa delle Cento Stanze. I Vigili del Fuoco che soccorrono il ragazzo, rinvengono così i corpi di Ciccio e Tore, caduti anch’essi nello stesso luogo quella sera di due anni prima. Il ritrovamento consentirà la scarcerazione di Filippo, ingiustamente accusato, disegnando nuovi scenari sui fatti di quella sera. Luciano Garofano e Mauro Valentini ripercorrono questa clamorosa vicenda umana e giudiziaria attraverso documenti, testimonianze e avvalendosi anche della narrazione di Filippo, vittima di un errore giudiziario sventato per puro caso. Un libro che offre percorsi non solo narrativi ma anche indicazioni concrete da destinare agli inquirenti per una possibile riapertura delle indagini e per scoprire finalmente cosa è accaduto a Ciccio e Tore. Per scoprire la verità.

 Real stories 

di

Kate Ducci


GRAVINA (BARI) – IL CASOLARE – CASEGGIATO ABBANDONATO DOVE SONO STATI TROVATI I CORPI DEI FRATELLINI PAPPALARDI CICCIO E TORE

É il 25 febbraio 2008 quando un ragazzino sta giocando insieme a un gruppo di amici all’interno della “Casa delle cento stanze”, un grandissimo casolare in mattoni  che si trova nel pieno centro storico di Gravina di Puglia. 

Nell’Ottocento, la casa delle cento stanze era la residenza della famiglia di aristocratici modenesi Pellicciari, che avevano scelto di vivere in questa bella cittadina a poca distanza da Bari. Al tempo, l’edificio era imponente, sfarzoso, elegante, mentre adesso è un fabbricato abbandonato, in rovina, fatto di corridoi, stanze segrete, pozzi, scale, al punto da farlo sembrare un labirinto.

L’accesso allo stabile, in cui si respira un’aria di muffa, ma anche di un tempo andato, di antichi splendori, è vietato ai cittadini, ma è cosa risaputa che i ragazzini di Gravina, come tutti gli adolescenti di ogni parte di mondo, non abbiano paura di affrontare un divieto e si divertano da sempre a esplorare stanzebuie, a utilizzarle come teatro dei loro giochi e come luogo in cui dare libero sfogo a curiosità e spirito di avventura.

Quel 25 febbraio Michelino, un ragazzino di 12 anni, sta giocando insieme a una comitiva di amici, correndo nel l’oscurità di quelle stanze che hanno conosciuto tempi migliori. Sta solo giocando, come ha fatto molte altre volte, ed è inconsapevole non solo del pericolo che sta correndo, ma anche che quanto gli accadrà metterà la parola fine su un mistero che avvolge Gravina da anni. Un mistero fatto di silenzi, paure, segreti e il dolore di un padre che è stato vittima dell’accusa più infamante: quella di aver ucciso i propri figli e occultato i loro cadaveri.

Improvvisamente, Michelino sente mancare il terreno sotto i piedi, il fiato bloccarglisi in gola e precipita in un pozzo profondo decine di metri e che termina in una cisterna. Il suo corpo impauritosembra non toccare mai il fondo, fino a che, finalmente, sbatte contro la pietra alla base della cisterna. Michelino si fa molto male ma, per fortuna, le sue lesioni non sono mortali, è in grado di reagire e di rendersi conto di cosa gli sia accaduto, di non essere morto ma di essere vivo per miracolo.

Chiede aiuto Michelino, ha paura e la hanno anche i ragazzini che, fino a un minuto prima, stavano giocando insieme a lui. Hanno talmente paura che fuggono via, non vogliono avere qualcosa a che fare con le conseguenze di quell’incidente. Scappano tutti tranne uno, che corre a chiamare i soccorsi e fa sì che il ragazzino venga salvato, non senza difficoltà, e gli vengano riservate le cure di cui ha bisogno.

Serve l’intervento dei vigili del fuoco per riportare Michelino fuori da quel pozzo, mentre decine di curiosi accorrono intorno al rudere, assistendo alle manovre di emergenza.

Ma una volta portato Michelino in salvo e illuminato il luogo del ritrovamento, i vigili si accorgono di qualcosa: sul fondo del pozzo, il corpo del ragazzino ormai libero non era il solo a occupare quello spazio angusto e buio. Ci sono i corpi di altri due bambini, corpi ormai mummificati e posizionati a distanza l’uno dall’altro. Non è possibile stabilire da quanto si trovino lì, ma i loro abiti danno indicazioni ben precise e conducono a conclusioni difficili da credere e accettare.

É necessario fare un passo indietro, tornare a qualche anno prima, al fine di ricordare a chi legge cosa sia avvenuto prima di quel tragico ritrovamento. Perché tendiamo a ricordare sempre il finale di una storia, ma troppo spesso trascuriamo di richiamare a memoria gli eventi che lo hanno preceduto, a confondere la cronaca con la fantasia, a pensare che sparare a zero su qualcuno che occupa le cronache nazionali non equivalga a colpire una persona davvero esistente, ad assassinare emotivamente un potenziale innocente, qualcuno che sta soffrendo del più terribile dei dolori: perdere un figlio (in questo caso due) senza sapere cosa gli sia successo.

Ciccio e Tore vivono con il padre, la sua nuova compagna e i figli di lei da circa venti giorni. I genitori sono separati da tempo e, solo da poco, il Tribunale ha deciso di affidare i ragazzini al papà, Filippo Pappalardi, che è ben felice di inserire i suoi piccoli nella nuova famiglia che sta costruendo. Ha lottato per ottenere quell’affidamento e c’è riuscito. Filippo è un lavoratore instancabile, è un buon padre, severo quando serve, ma tanto affezionato ai suoi figli, al punto di combattere per averli con sé.

Il 5 giugno 2006, la scuola è quasi finita, a Gravina si respira l’inizio di un’estate che promette spensieratezza e divertimento. Ciccio e Tore escono per giocare. Sono felici, liberi dagli impegni scolastici, prossimi a poter gestire il loro tempo libero senza limiti o impegni. Ma Filippo Pappalardi ha una regola ferrea: i ragazzi devono rientrare per cena all’orario concordato e non sono previste eccezioni.

Quella sera, però, i suoi figli si fanno attendere. Filippo esce a cercarli, va a chiedere agli amici di sempre se li abbiano visti e, forte delle indicazioni da loro ricevute, si dirige dove sono stati visti l’ultima volta, si sposta nei dintorni, si allontana, mentre la sua preoccupazione cresce e prende il posto di quell’arrabbiatura che inizialmente lo aveva animato.

Quando la mezzanotte si avvicina, Filippo è ormai disperato e si reca al Commissariato di Gravina, ove denuncia la scomparsa dei suoi bambini. Le ricerche sono tardive, a Filippo viene chiesto di tornare in Commissariato il giorno successivo, perché le forze dell’ordine sono impegnate in un’operazione di polizia importante e non hanno tempo per cercare dei ragazzini che probabilmente si sono solo allontanati da casa volontariamente.

Le ricerche iniziano il giorno successivo, ma dei ragazzini sembra non esistere alcuna traccia. Coloro che hanno parlato con Filippo la sera della sparizione, adolescenti ma anche adulti, si rimangiano cosa hanno riferito al padre, negano di averci parlato, dichiarano di non aver mai visto Ciccio e Tore. I fratellini Pappalardi sembrano essere stati inghiottiti dal nulla.

Nel frattempo, i genitori cominciano ad accusarsi a vicenda, a sospettare l’uno dell’altro, a vagliare ipotesi che fanno leva su risentimenti e screzi.

I sospetti, così come le ricerche, non sembrano portare da qualche parte, ma iniziano a concentrarsi su Filippo, persona a cui i ragazzini erano stati affidati, che si era arrabbiato per il loro ritardo e che era uscito a cercarli, dichiarando di non averli mai trovati. Per l’opinione pubblica, probabilmente anche per gli inquirenti, il colpevole ideale è lui.

Finché ad agosto tre ragazzini si fanno avanti e dichiarano di aver giocato con Ciccio e Tore la sera della loro scomparsa. Il gioco consisteva nel lanciarsi dei palloncini pieni d’acqua nella piazza delle Quattro Fontane, nel centro storico di Gravina, tra le nove e le dieci di sera. Uno dei ragazzini racconta di aver visto Ciccio e Tore che salivano sull’auto del loro padre, dopo che lo stesso li aveva sgridati. Ma gli altri due amici, che si trovavano con lui, a pochi passi da lui, negano con insistenza di aver assistito a questo incontro, di aver visto i fratellini Pappalardi salire in una macchina, di aver assistito a un litigio con Filippo.

Nonostante ciò, la testimonianza viene presa per buona e i sospetti intorno a Filippo prendono quasi i contorni di una certezza. Viene interrogato, messo sotto torchio e, agli occhi di chi conduce le indagini, mancano solo i corpi di Ciccio e Tore per  confermare ciò che ormai appare una certezza: sono morti, per futili motivi, per mano del loro papà.

“Siamo arrivati alla conclusione che sono morti e, in base agli elementi che noi abbiamo, per mano del padre”. 

Queste sono le parole con cui il procuratore Marzano, nel novembre 2007, annuncia il tanto atteso arresto di FilippoPappalardi, con l’accusa di sequestro di persona, duplice omicidio volontario, aggravato dal vincolo di parentela e occultamento di cadavere. 

Ciccio e Tore avevano disobbedito al suo ordine di rientrare a casa all’orario indicato e lui, stanco della loro presenza all’interno della nuova famiglia che si era costruito (inutile il dettaglio che Filippo avesse lottato per ottenere la custodia dei suoi bambini), aveva deciso di liberarsene.

Filippo finisce in carcere tra l’acclamazione e il disgusto generale di tutto il paese e ci resterà fino al 4 aprile del 2008. Mesi trascorsi in carcere senza una parola di conforto, con l’accusa di essere un mostro incapace di prendersi cura delle sue creature, capace di mentire e di non ammettere le proprie colpe nemmeno sotto torchio, nemmeno con la consapevolezza che un’intera nazione lo disprezzasse e volesse che pagasse e che, almeno, concedesse a quei poveri bambini la possibilità di venire ritrovati e seppelliti.

Filippo non si arrende. Non ammette la propria colpevolezza, non cede, si sente morire e non tornerà mai più lo stesso (mai più), porterà per sempre addosso i segni di quell’infamia che non conosce consolazione, ma non si arrende. Sa che qualsiasi cosa sia successa a Ciccio e Tore non ha visto il suo coinvolgimento e pretende giustizia, pretende di sapere.

Torniamo a quel 25 febbraio 2006, quando Michelino viene salvato per miracolo e i vigili del fuoco fanno la macabra scoperta di due corpicini mummificati.

I loro abiti hanno già fornito la risposta che tutti temevano, ma i dubbi trovano presto conferma: si tratta dei corpi di Ciccio e Tore,emersi dalla profondità di quella cisterna abbandonata, dove probabilmente sarebbero rimasti per sempre, se il povero Michelino non fosse andato incontro a quella tremenda disavventura.

L’autopsia conferma che i ragazzini non hanno subito alcun maltrattamento e sono morti di senti nella cisterna in cui sono precipitati, forse per uno scherzo finito male, forse a seguito di un gioco imprudente. Ciccio è morto dopo poche ore, a causa di una grave emorragia dovuta alla caduta, mentre Tore è purtroppo sopravvissuto per parecchie ore. Purtroppo perché quelle ore di agonia sono servite a niente, solo ad amplificare la sua sofferenza, la sua paura, le sue inutili speranze, mentre si rendeva conto di essere rimasto solo, al buio, in compagnia del fratellino ormai deceduto. Tore è morto nel sonno per fame, freddo e per l’emorragia causata dalle ferite.

Tore è morto da solo, ma in quel luogo non si era recato da solo.In quel luogo tenebroso quanto affascinante, i ragazzini andavano a giocare in gruppo, ciascuno con la propria compagnia, come dimostra la vicenda di Michelino, caduto a seguito di un incidente, mentre chi si trovava insieme a lui (tutti tranne uno) fuggiva lasciandolo andare incontro a un destino che, vengono i brividi solo a ipotizzarlo, poteva essere identico a quello del povero Tore, morto dopo ore di inutile speranza e tremenda agonia.

Filippo Pappalardi viene scagionato da ogni accusa e l’inchiesta viene archiviata come tragico incidente nel 2016. 

Ma si è trattato solo di questo? Di un tragico incidente che non prevede altri colpevoli che non siano il caso?

Mauro Valentini e Luciano Garofano, con la capacità e la sensibilità che da sempre li contraddistingue, ripercorrono le ultime ore di vita di Ciccio e Tore, nonché gli eventi dei giorni e dei mesi successivi, recandosi sul posto, interrogando chiunque possa aver visto o saputo, rileggendo gli atti, per ricostruire una verità che i fatti ci restituiscono.

Valentini e Garofano non cercano un colpevole, qualcuno che abbia volutamente spinto Ciccio e Tore in quel pozzo allo scopo di ucciderli, ma dei complici del Caso che, per una reticenza e un’educazione al silenzio e all’omertà, hanno preferito lasciar morire due bambini, piuttosto che parlare.

E riescono anche a individuare in retaggi culturali da superare e in una tragica mancanza di empatia alcuni di quei complici di cui vanno a caccia. Perché se pensiamo che questa storia non ci riguardi, di non aver partecipato in alcun modo alla tremenda fine di due bambini che potevano e dovevano essere salvati, commettiamo un errore gravissimo. La morte di Ciccio e Tore non è stata una disgrazia, la disgrazia è solo legata alla loro caduta. Tutto ciò che è venuto dopo, compreso il silenzio di chi, per gli anni a venire, ha continuato ad aggirarsi intorno a quel casolare che ha custodito tanti segreti (l’ultimo dei quali inconfessabile) è stata una scelta.

E nemmeno un padre innocente e disperato in carcere è servito a far emergere la verità, a spingere qualcuno a parlare. Nessun senso di colpa è stato abbastanza forte da rompere la barriera di una tutela personale che passa sopra qualsiasi cosa, compresa la morte di due bambini.

Valentini e Garofano fanno una profonda analisi sociologica troppo dolorosa da leggere e affrontare, ma è doveroso farlo, perché solo rendendosi conto che quello di cui sono stati vittime Ciccio e Tore è un omicidio, il cui colpevole è un Silenzio tenuto per scelta, possiamo fare in modo che eventi come questo non accadano mai più.

Ma gli autori sono anche due professionisti ammirevoli, capaci di arrivare laddove gli inquirenti non sono arrivati o non sono voluti arrivare e sanno indicarci le piste che andavano percorse, le persone che andavano incalzate, facendo ben comprendere che, se chi ha indagato avesse lavorato come sarebbe stato doveroso fare, Filippo non avrebbe certo riabbracciato i suoi bambini, ma avrebbe avuto in mano una verità e, forse, delle scuse. Tardive, inutili, probabilmente inaccettabili, ma che avrebbero fatto bene più a tutti noi che a lui, ci avrebbero richiamati a un’umanità che sembra essere andata perduta.

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