Recensione di Manuela Fontenova
Autore: Silvia Avallone
Editore: Rizzoli
Pagine: 384
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2017
Adele ha 17 anni e la sua famiglia è composta da una madre arrabbiata e schiaffeggiata dalla vita, da una sorella più piccola e da un padre fantasma, forse in carcere, forse chissà dove.
C’è Manuel, suo coetaneo, con una madre che cerca di passare inosservata ed un padre tossicodipendente. Manuel che è bello come quei tronisti di “Uomini e donne”, che vorrebbe studiare, distinguersi, ma sul suo piatto della bilancia pesa sempre di più la soluzione facile e sbagliata.
C’è Zeno, quasi maggiorenne che invece riesce per qualche ora al giorno a lasciare la sua spoglia vita, frequenta il liceo classico in città, ma i suoi compagni di classe non sanno che a casa ha solo una madre da accudire e nessuno che si curi di lui.
Tre povere anime confinate in un periferico e desolato quartiere nella periferia di Bologna, Il Villaggio Labriola, un luogo di finzione ma con tanta realtà nella descrizione dei casermoni in cui si svolgono le vite di quelli che non hanno futuro, non hanno la possibilità nemmeno di crederci in un futuro diverso, con l’asfalto che scotta, le panchine arrugginite.
Sono figli, sono futuri genitori: c’è Adele che è incinta di Manuel, che il padre però non lo sa fare, mentre Zeno che vede nella ragazza un’isola di pace, vorrebbe avere abbastanza forza per lei e per la sua pancia.
Come sarebbero stati questi ragazzi se fossero cresciuti a soli cinquanta minuti di macchina da lì?
Se avessero avuto delle famiglie “sane”?
“E’ che se da bambino non sei amato, poi non esisti”
Cinquanta minuti di macchina per raggiungere la città, l’appartamento perfettamente arredato di Fabio e Dora, che invece hanno tutto tranne l’unica cosa che vorrebbero davvero: un figlio. Dora che infierisce sul suo corpo con le terapie per riempire quella pancia che non ne vuol sapere di crescere, e Fabio che la sua rivincita l’ha avuta ma il vuoto in fondo allo stomaco non lo abbandonerà mai. Serena, che invece sta per diventare mamma ed Emma che di figli ne ha due. Questa spudorata ostentazione di maternità gettata in faccia a Dora, un dolore insopportabile, un affronto imperdonaile.
Quante vite, quanti legami e quanti dolori nelle pagine della Avallone. In molti parlano di questo libro, come del romanzo sulla maternità. Sono in parte d’accordo ma io l’ho letto come una storia di amori viscerali, di sentimenti pretesi, stracciati o rifiutati.
Di legami tra figli e genitori. Di uomini che vorrebbero essere padri, di padri che vorrebbero solo essere uomini. Di donne che non possono essere le madri che vorrebbero e di altre che non possono mettere al mondo una nuova vita.
C’è una bellissima citazione di Elizabeth Stone che dice:
“Decidere di avere un figlio è una scelta radicale. È decidere di avere per sempre il proprio cuore che cammina per il mondo, fuori dal proprio corpo”
Ma chi si curerà di questi cuori?
E’ sorprendente come l’autrice riesca a mettere così a nudo i sentimenti, a non usare filtri nel raccontarci quello che agita gli animi dei suoi protagonisti. Se c’è una lite, c’è cattiveria, c’è durezza, c’è vendetta, perché questi personaggi non hanno mezze misure, non sono fatti per essere felici, o forse la felicità non ha ancora trovato la via per raggiungerli.
Un romanzo di vite, carico di significato e di amore, in cui la genitorialità e l’essere figli sono i cardini attorno a cui si sviluppa una toccante storia “corale”.
Complimenti a Silvia Avallone, mi ha fatto emozionare e commuovere. Ha saputo dosare sensibilità e forza in uno stile diretto, prepotente, che fa riflettere e stupisce per la carica emotiva che si trascina dietro.
Silvia Avallone
è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo.Per Rizzoli ha pubblicato Acciaio (2010, da cui è stato tratto l’omonimo film), Marina Bellezza (2013) e Da dove la vita è perfetta (2017), e in Francia, nel 2012, Le lynx. Scrive per il “Corriere della Sera” “Sette” e “La Lettura”.
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