Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Andrew O’Hagan
Traduzione: Marco Drago
Editore: Bompiani
Pagine: 288
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. “Dicono che a diciotto anni non sai niente. Ma ci sono cose che sai a diciotto anni e che non saprai mai più.” Glasgow, estate 1986. Tra il carismatico Tully e il sensibile James, detto Noodles, c’è un legame fortissimo, un’amicizia fondata sulla musica, sui film, su un comune, luminoso spirito ribelle. Insieme agli amici Tibbs, Limbo e Hogg partono per un fine settimana destinato a non tradire le attese: andranno a Manchester, dove ci sono negozi di dischi, locali, un festival da leggenda, musica dappertutto (e alcol, e altro). Sono anni lividi, il grande sciopero dei minatori è un ricordo recente, vivere in provincia vuol dire rischiare di non andarsene mai. James, che ama i libri, e Tully, operaio saldatore, si promettono una cosa: che la loro vita sarà diversa. Trent’anni dopo squilla il telefono a casa di James. Tully deve parlargli. È malato, di una malattia inguaribile, chiede il suo aiuto per andarsene con dignità. Solo James può accompagnarlo lungo la strada più difficile. Un romanzo di memoria e verità, un tributo alla leggerezza dell’essere giovani e alla capacità di cambiare insieme, scoprendo le gioie e il prezzo dell’affetto quando è vero.
Recensione
In fin dei conti, è tutta questione di cosa sei disposto a fare per chi ami e per i suoi desideri, anche quando la sua volontà cozza contro la tua, come i Celtic con i Rangers.
Per Noodles, che ha “divorziato” dai propri genitori e ha trovato in Shakespeare e Šostakovič la salvezza, Tully rappresenta semplicemente tutto: la famiglia che ti scegli, l’amicizia senza imbarazzi, il mito, un weekend a Manchester di musica dal vivo al centro congressi G-Mex, dischi, speed e poco sonno entrato di diritto, da subito, nella leggenda. In una parola, la giovinezza, quella che, per certi versi, non finisce mai.
Ma non ha fatto i conti con il tempo e la natura, che procedono dritti e spietati, anzi, indifferenti, che è anche peggio, per la propria strada e forse senza progetto, come due sbandati con un discutibile senso dell’umorismo, nessun senso del ritmo e il talento per presentarsi alla porta al momento sbagliato. Però bisogna farci i conti, a costo di scatenare una rissa.
Oggi, a poco più di cinquant’anni, Tully ha un male incurabile e doloroso, che lo priva dell’appetito e che gli mangia dignità e vita mentre il cuore ancora batte – proprio non ce la fa ad aspettare ancora qualche mese per averlo tutto per sé nella fossa.
Per uno come lui, bello e libero, ironico, sensibile e geniale come Joe Strummer, la soluzione coincide con una meta: Svizzera.
E Noodles – Jimmy, James – deve fargli una promessa:
appoggiarlo e accompagnarlo, anche se Anna, la donna che Tully ama, non sa, perché se sapesse non vorrebbe ascoltare, risponderebbe con la carta tentatrice e tagliente della speranza, farebbe qualsiasi cosa per trattenerlo ancora qualche mese o una manciata di giorni – è una forma d’amore anche questa, forse, e ognuno crede di avere il “monopolio del dolore”
Come se fosse facile, dopo l’ebbrezza, i film, il calcio e gli Smiths, dopo tanta vita, mettere una pietra sopra, salutare e lasciar andare: perdere qualcuno è anche perdere un pezzo di sé, ammettere di essere diventati grandi e che la sensazione di essere eterni è un vizio che non ci si può permettere a lungo (“Mi sono concesso il lusso di dimenticarmi che è tutto effimero”). Ci sembra di morire un po’ anche noi, di accompagnare al patibolo quel nostro Io più giovane, ignaro delle preoccupazioni– ciò che eravamo in compagnia di chi ci sta dicendo addio.
O magari no, chi resta incamera e ha la missione di testimoniare, di sommare e intrecciare energia, passato e presente, per affrontare ciò che verrà con le spalle più forti, per godere e sperimentare con voglia e consapevolezza doppie.
La prima metà di Effimeri di Andrew O’Hagan è ambientata nel 1986, e in un certo senso tutto comincia e finisce lì: c’era il gruppo di amici al completo, c’erano un’insegnante appassionata e una madre che amava ballare, c’erano Tully e i suoi occhi verdi di fronte a una scelta che avrebbe cambiato ogni cosa, c’erano i semi, il potenziale, le avvisaglie del dopo. Ecco, solo in questo modo Noodle, forte di quelle ore, di quell’epoca indimenticabile, di quelle esperienze preziose, dei diciotto anni, riesce ad affrontare il 2017, le sue assenze e un futuro imminente e ancora più vuoto.
Ma una promessa è una promessa e amicizia è anche questo: ricambiare il dono di un’esistenza piena e affettuosa con la rassicurazione che sapremo cavarcela, un biglietto per un concerto memorabile con uno di sola andata verso uno spazio ignoto, ma in cui evidentemente c’è un gran bisogno di risate e bella gente. E Tully non deluderà di certo, perché se il Bardo invitava a
“indurre la morte a essere orgogliosa di ghermirci”,
è anche vero che ci vogliono fegato, cuore e una buona scorta di battute per andarle incontro sulle proprie gambe, investendola a tal punto di citazioni cinematografiche, di personali “Top Three” e sano punk e Brit Rock da sconquassarle le ossa e mandare tutto in burla. Rendendolo uno spettacolo.
Un romanzo musicale che ci riempie gli occhi di lacrime: per le risate, la commozione, la nostalgia, le sbornie insensate e necessarie, lo scintillio delle luci sul palco…
Che durano un tempo limitato –come la vita delle efemere – ma restano per sempre accese dentro di noi.
A cura di Francesca Mogavero
Andrew O’Hagan
è nato a Glasgow nel 1968 e vive a Londra. È stato tre volte finalista al BookerPrize. Collabora con la London Review of Books e la New York Review of Books. Nel 2010 è diventato membro della Royal Society of Literature. Libro dell’anno per il Guardian, lo Spectator, il SundayTimes, il Financial Times e l’Evening Standard, Effimeri ha vinto il premio Christopher Isherwood per la prosa autobiografica e il Waterstones Scottish Book Award. O’Hagan è anche l’autore del saggio La vita segreta. Tre storie vere dell’èra digitale (Adelphi).
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