Alla scoperta dei segreti dei serial killer
Autore: John Douglas e Mark Olshaker
Editore: Harper Collins
Traduzione: Luigi Maria Sponzilli
Genere: Docuthriller – Saggio
Pagine: 432 p., R
Anno di pubblicazione: 2020
(Prima pubblicazione 2019, The Killer Across the Table)
Sinossi. Alla scoperta dei segreti dei serial killer con l’originale Mindhunter dell’FBI. John Douglas, leggendario profiler dell’FBI, ha contribuito a risolvere alcuni dei più difficili casi di omicidio della storia degli Stati Uniti. Pioniere del profiling investigativo e agente speciale che ha ispirato la fortunata serie Netflix Mindhunter, Douglas ha dedicato la maggior parte della sua vita a comprendere il funzionamento delle peggiori menti criminali. Ha studiato, intervistato e analizzato alcuni dei serial killer più feroci di tutti i tempi e ha insegnato ad agenti dell’FBI e investigatori di tutto il mondo come si costruisce un profilo psicologico e quali sono le tecniche di interrogatorio più efficaci con questi letali predatori. Ora, insieme a Mark Olshaker, Douglas analizza quattro dei più inquietanti killer che ha incontrato, e si sofferma anche su altre famose indagini a cui ha collaborato. Avvincente e al tempo stesso spaventoso, Faccia a faccia con l’assassino squarcia il velo di mistero che avvolge la figura di questi criminali e rivela i meccanismi psicologici e mentali che li hanno fatti sprofondare nelle tenebre.
Speciale di Loredana Cescutti
“I problema non è tanto stabilire chi l’ha fatto, ma perché.
Se poi, una volta capito perché, ci si chiede come, si arriva a scoprire chi. Per un semplice motivo: perché + come = chi…
… È una partita a scacchi che si gioca nella mente e con le parole…”
RECENSIONE
Nella sua carriera, John Douglas ha studiato assieme, fra gli altri, a Robert K. Ressler, tantissimi serial killer con attitudini diversissime fra l’uno e l’altro.
Questo, gli ha permesso di accumulare un bagaglio di informazioni importanti e fondamentali, necessarie per ampliare le sue conoscenze in materia di omicidi ma anche, per formare nuovi agenti ai quali, ha fornito gli strumenti per riconoscere i potenziali serial killer.
In “Faccia a faccia con l’assassino”, si è occupato di quattro persone, diverse fra loro per “carriera”omicida, già detenute in strutture penitenziarie speciali, che se non tenute segregate, avrebbero continuato a mietere vittime. In questo frangente, però, li ha conosciuti e studiati anni dopo che erano già stati catturati, in veste di consulente per l’eventuale libertà condizionata e per delle trasmissioni televisive che trattavano il tema dei crimini seriali più aberranti.
Qui, si parla di killer forse meno famosi, ma che hanno fatto molto parlare di sé: nell’ordine Joseph McGowan, Joseph Kondro, Donald Harvey e Todd Kohlhepp.
“… ho imparato a usare il modo di pensare di un criminale per aiutare le forze dell’ordine a catturarlo e a consegnarlo alla giustizia. Lì ha avuto inizio la mia carriera di profiler.”
Nella prima parte del libro, Douglas racconterà di un caso nel quale verrà coinvolto più di vent’anni dopo dell’avvenuto crimine. L’intento era farglivalutare la possibilità che Joseph McGowan potesse ottenere la libertà condizionata.
Ma il punto è, chi era veramente McGowan?
Ebbene, Joseph McGowan il 19 aprile 1973, Giovedì Santo, uccise in modo brutale Joan Angela D’Alessandro, una bambina di sette anni che viveva con la famiglia nel suo stesso quartiere e che, si era presentata alla sua porta per vendere i biscotti delle Girl Scout.
“Chi indaga su crimini violenti cerca di non farsi mai coinvolgere emotivamente, non solo per mantenersi lucido e obiettivo, ma anche per non impazzire… Ma… Si può cercare quanto si vuole di essere professionali… in una circostanza simile non si può rimanere impassibili… Che genere di uomo o di mostro, può fare spontaneamente una cosa così a una bambina di 7 anni?”
Per sua stessa ammissione, in seguito, affermerà che, come la vide sulla porta di casa, decise che l’avrebbe uccisa.
Fra l’incontro e l’efferato crimine, trascorsero meno di due ore.
Poco più di un anno dopo, nel novembre del 1974, dopo essersi dichiarato colpevole di assassinio di primo grado su suggerimento degli avvocati, fu condannato all’ergastolo con la possibilità di fare richiesta di libertà condizionata non prima di quattordici anni.
McGowan risultava come un ventisettenne intelligente e colto, laureato e con un master in chimica ma nonostante le sue potenzialità, viveva in uno scantinato con la mamma, una donna dal carattere prevaricante.
“… chi non ha tendenze innate all’impulsività, alla rabbia e/o a perversioni sadiche non diventerà mai un predatore a causa dell’educazione ricevuta; ma non ho dubbi che chi possiede quelle tendenze innate possa essere spinto a diventare un predatore da influenze negative subitenell’infanzia.”
A questo punto, anche dopo tanto tempo, per il profiler la domanda era sempre la stessa, ossia perché McGowan abbia compiuto un atto del genere.
Nell’analisi degli incartamenti sul caso, anche questa volta Douglas partì dal principio che, è ciò che ha sempre insegnato ai suoi allievi all’FBI: “il comportamento passato è il miglior indizio del comportamento futuro.”.
Stando a quanto affermavano due diverse perizie psichiatriche del passato, redatte da due diversi medici, le possibilità potevano essere due. La prima affermava che se liberato avrebbe potuto tornare ad agire cedendo ai suoi impulsi mentre l’altra, affermava in poche parole che questo era semplicemente un caso isolato che capita una volta nella vita e che, non sarebbe più accaduto.
A questo punto, solo dopo lo studio approfondito del caso, Douglas ha incontrato l’assassino il quale, una volta messo a suo agio ha iniziato a raccontare e la cosa che sbalordirà da subito il criminologo è che a distanza di tanti anni, lui rivivrà ancora le scene come in trance, beandosi di ciò che aveva fatto, invece di mostrare un qualche segno di pentimento. Il seguito del dialogo sarà ancora più determinante poiché, dimostrerà l’intenzionalità raccontando di come subito dopo si sia premurato di far sparire il corpo e ripulire tutto, come fosse una cosa normale.
Prima di concludere la parte dedicata alla morte di questa bambina, va ricordato che questa storia segnò inevitabilmente la famiglia. I genitori si divisero, i figli restarono con Rosemarie, la madre, la quale non si arrese e fondò un’associazione con il nome della figlia, e riuscì a far sì che il diritto alla libertà condizionale per persone di questo tipo non fosse più possibile. Purtroppo, però, questa legge non ebbe effetto retroattivo per cui, non avrebbe intaccato comunque l’esito della richiesta di McGowan.
Nonostante tutto, dopo una lunga diatriba, il 15 febbraio 2002 la corte decise di imporre un blocco di almeno trent’anni prima che McGowan potesse richiedere ancora la libertà condizionata.
“… la ricerca della verità non è una corsa al buonsenso. Bisogna attenersi ai fatti e alle prove.”
Su di lui, nel tempo, si sono poi aggiunti sospetti per altri casi analoghi nel corso degli anni precedenti.
La sua caratteristica principale, se vogliamo chiamarla così, era che lui “pescava” le sue vittime fra le figlie dei suoi amici e conoscenti.
Era l’amico di famiglia, lo zio Joe che le ragazzine trovavano simpatico e a cui davano fiducia.
In più di un’occasione, nel corso degli anni prima dell’arresto, c’era stato qualche sospetto, qualche passaparola ma, senza le prove non era stato possibile fare nulla.
Lui, addirittura, in un’occasione di scomparsa, dopo aver ucciso e nascosto il cadavere di una di queste bambine, si rese disponibile a mettere in moto le unità di ricerca, chiamando i conoscenti dapprima per verificare se avessero visto la bambina, allertando poi le forze dell’ordine per allestire una ricerca su più vasta scala e formando squadre di soccorso, oltre a consolare la madre.
Pur essendo ben consapevole che la bambina era già morta da un po’.
Il suo atteggiamento, in seguito, anche a detta dell’analisi di Douglas, non risultò quello di un folle solo perché a Kondro non faceva effetto il fatto di averle picchiate, stuprate brutalmente e uccise.Bensì, ebbe la netta sensazione di trovarsi davanti a degli atti di depravazione inconcepibile, per i quali Kondro non sentiva nulla. Non provava nulla.
Quando a Kondro venne chiesto come mai sceglieva fra le figlie dei suoi amici, la risposta era stata che era il modo più semplice di trovare obiettivi facili.
“… i predatori possono anche sembrare come noi, spesso si comportano come noi, ma non pensano come noi.”
La tranquillità di Kondro è sempre stata data dal fatto che lui era consapevole, di come senza un cadavere non avrebbe mai potuto essere accusato di nulla, poiché nessuna prova avrebbe potuto incastrarlo.
Come molti sociopatici, naturalmente di fronte a domande sul perché, ha sempre dato la “colpa” alla sua infanzia sfortunata perché, persone di questo tipo tenderanno sempre a far ricadere le colpe su altri piuttosto che su sé stesse.
Kondro morì il 3 maggio 2002 in carcere, all’età di cinquantadue anni per cause naturali, dovute a un’epatite C.
“sono sempre al loro centro, e non riescono a capire che il mio grado empatia è identico a quello che loro hanno mostrato nei confronti delle vittime.”
Le sue vittime erano donne e uomini ricoverati in ospedale che non potevano difendersi e che spesso, a suo dire, lo tormentavano per cui meritavano di morire.
Venne soprannominato l’Angelo della morte.
L’assurdità più grande fu che, pur osservando un notevole numero di morti in certi reparti in determinati momenti, nessuno si prese la briga, o forse non volle farlo, di capire come mai.
Nel 1971, risulta il suo primo rapporto eterosessuale con una donna dalla quale ebbe un figlio, sul quale a più riprese ha ammesso o smentito la paternità.
In seguito, si arruolerà nell’aeronautica militare ma lì, dopo una breve relazione con un uomo che avrebbe voluto uccidere e dopo aver lui stesso tentato il suicidio, finendo così sotto l’attenzione del comando che entrò in possesso di informazioni preoccupanti su di lui, la sua carriera militare ebbe una battuta d’arresto veloce.
Attraversò un periodo burrascoso fra tentati suicidi, problemi familiari e ricoveri psichiatrici e alla fine del 1972 trovò di nuovo posto come infermiere part-time proseguendo, nel mentre, la terapia psichiatrica per i tentati suicidi.
Ebbe relazioni alternate con altri uomini.
Nel 1975 cambia di nuovo luogo di lavoro, sempre nell’ambito ospedaliero e inizia ad interessarsi di occultismo anche se i suoi omicidi non c’entravano nulla con l’occulto.
Nel1980 pare trovare una relazione stabile con un uomo ma, anche quella si rivelerà del tutto malata.
Nel 1985 viene perquisito all’uscita dall’ospedale nel quale lavorava e avendogli trovato addosso una pistola, oltre a siringhe, aghi, farmaci e addirittura un cucchiaino per l’eroina ma, avendo effettuato il tutto in modo arbitrario, non fu possibile perseguirlo e l’ospedale decise di non farne menzione per evitare cattiva pubblicità. Lui così fu licenziato e nel 1986, trovò lavoro in un altro ospedale in un’altra città senza che nessuno decidesse di prendere informazioni su di lui.
Ad incastrarlo, dopo tutti questi anni fu l’omicidio di un uomo finito in fin di vita all’ospedale per incidente stradale. La legge dello stato prevedeva l’autopsia per i morti di incidente e solo per questo motivo, venne rilevato del cianuro nel sondino gastrico che alimentava il paziente, già in coma da qualche giorno.
Harvy aveva una madre che era stata violentata a dodici anni e che, ancora adolescente, poi sposò il padre di Donald che di anni ne aveva ventinove. A lui toccò la stessa sorte quando uno zio di nove anni più grande di lui lo abusò oltre poi al vicino, che iniziò a tormentarlo addirittura quando Donald ne aveva cinque.
Nel tempo ci si è chiesti come abbia fatto a farla franca per tanto tempo e la risposta possibile era solo una: era diventato lui stesso un profiler, sapeva benissimo cosa osservare, su cosa focalizzarsi e in che modo agire.
Nel suo mondo, chiunque lo infastidiva, rischiava di morire.
Morì in carcere nel 2017, dopo due giorni di coma e dopo essere stato trovato in cella, con tutti i segnali di un pestaggio avvenuto all’interno della struttura.
“… gli assassini in genere sanno esattamente cosa stanno facendo.”
Avevano trovato Kala. Agganciata al muro da una catena, spaventata, sofferente per il trattamento subito, ma viva.
Subito disse che il suo fidanzato era morto e che a ucciderlo era stato Kohlhepp al termine di una crisi di rabbia.
Disse inoltre che il soggetto, aveva ammesso di essere colpevole di una strage occorsa in California qualche tempo prima. I morti, dopo una lunga indagine risultarono essere stati tredici.
Venne arrestato.
Il 26 maggio 2017, si dichiarò colpevole di sette omicidi (tra questi anche i morti di una strage al negozio di motori nel 2003), due sequestri di persona, violenza sessuale e possesso di armi durante l’esecuzione di un crimine violento. La condanna fu di sette ergastoli più sessant’anni di carcere.
Probabilmente, però, il numero di vittime a lui imputabili avrebbe potuto essere più alto.
Anche la sua infanzia risulta estremamente difficile, famiglia divisa e relazioni nuove per entrambi i genitori, che erano più concentrati su loro stessi che sul figlio e lui, già a nove anni venne rinchiuso per più di tre mesi in un istituto psichiatrico per curare le crisi di rabbia.
A quindici poi, prese la pistola del padre, dove si era trasferito per un po’ nel tentativo di riavvicinarsi a lui e sequestrò e violentò la vicina di casa adolescente.
Per questo reato fu condannato a quindici anni di carcere.
A differenza di altri serial killer, lui non andava a caccia di vittime e invece, erano loro che andavano direttamente a casa sua.
“Se riesci a ottenere che un serial killer o un predatore sia sincero con te, ti sentirai dire che non avrebbe mai smesso volontariamente di uccidere.”
Nel questionario che si offrì di compilare per Douglas anni dopo la sua carcerazione, apparve molto disponibile e anche incredibilmente sincero, cosa che per un serial killer solitamente non avviene.
Dall’analisi approfondita di tutto ciò che Kohlhepp scrisse, ne emerse che ogni volta che aveva ucciso, l’aveva fatto perché si era sentito in dovere di farlo, senza alternative.
Ammise altresì, che nonostante tutto, era sempre lui a decidere, giusto o sbagliato che fosse. Se avesse voluto, avrebbe potuto controllarsi e non commettere gli atti che poi ha compiuto.
Se avesse voluto.
“Gli individui di cui stiamo parlando volevano vivere, erano le vittime che dovevano morire.”
Alla fine della valutazione di Todd, Douglas, pur essendo molto rigido in tema di giustizia, si rese conto che nei confronti di Kohlhepp, forse si sarebbe potuto fare di meglio quando ancora era bambino.
Allo stesso modo, però, Douglas continua a sostenere con forza che indipendentemente dai vissuti passati di queste persone, è sempre una questione di scelte, giuste o sbagliate ma scelte.
Nulla può giustificare i loro atti.
“Non arriveremo mai a esaurire lo studio del comportamento umano, così come non riusciremo mai a eliminare il crimine. Non possiamo fare altro che continuare a studiare, cercando di ampliare le nostre conoscenze.”
Buona lettura!
Acquista su Amazon.it:
John Douglas, Mark Olshaker
John Douglas: (New York, 18 giugno 1945) è un ex investigatore statunitense, agente speciale del Federal Bureau of Investigation. È stato uno dei primi criminal profiler ed ha scritto numerosi libri di psicologia criminale. Jack Crawford, uno dei personaggi principali dei libri di Thomas Harris “RedDragon” e “Il Silenzio degli Innocenti” è direttamente basato sul vero Douglas. Crawford è stato interpretato da Dennis Farina nel film Manhunter, da Scott Glenn ne “Il silenzio degli innocenti”, da Harvey Keitel nel film del 2002 “Red Dragon”, e da Laurence Fishburne nella serie del 2013 dell’NBC “Hannibal”. Nel gennaio del 2015, i creatori della serie tv “Criminal Minds” confermarono che i personaggi dei profiler dell’FBI Jason Gideon e David Rossi erano basati su Douglas. Una serie tv ispirata dal libro “Mindhunter” è stata realizzata da Netflix. L’attore protagonista dell’omonima serie “Mindhunter”, Jonathan Groff, impersona l’agente speciale Holden Ford, personaggio basato su John Douglas
Mark Olshaker: è un autore americano di Washington, DC che collabora frequentemente con l’agente dell’FBI John E. Douglas nella stesura di libri sulla psicologia criminale e investigativa.