Recensione di Claudia Cocuzza
Autore: John D. MacDonald
Editore: Mattioli 1885
Collana: Frontiere
Traduzione: Nicola Manuppelli
Genere: thriller
Pagine: 224
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Jerry Jamison non ne vuole più sapere: è stufo di un matrimonio trascurato, di un lavoro noioso e della vacua vita frenetica di periferia. Un tempo Jerry aveva una bellissima sposa e un buon stipendio presso la fortunata attività commerciale del suocero. Tutto ciò prima che sua moglie diventasse un’alcolista, prima che l’azienda iniziasse ad andare in pezzi, e prima di quel pigro pomeriggio in cui Vince Biskay, un vecchio compagno dell’esercito, suonasse il campanello di casa facendogli un’allettante proposta. Vince promette di portare denaro ed emozione nella vita di Jerry. Ma è un piano che lascerà dietro di sé solo una scia di morte e distruzione.
Recensione
John D. MacDonald è stato definito da Stephen King «grande intrattenitore della nostra epoca e un fantastico narratore».
Stephen King e Kurt Vonnegut lo hanno eletto loro maestro.
Detto questo, potrebbe mai la mia opinione essere discordante dalla loro?
Non lo è, e non perché, se per King e Vonnegut MacDonald era un grande, deve per forza esserlo anche per me.
Non lo è perché, dopo aver letto Facile preda, mi sono innamorata.
Il romanzo, da pochi giorni in libreria grazie al lavoro di riscoperta di Mattioli 1885 e a quello ‒ magistrale ‒ di traduzione di Nicola Manuppelli, è stato scritto nel 1958.
Leggere la descrizione delle scene è come guardare una pellicola americana di quegli anni:
dall’arredamento degli interni alla consuetudine, tutta stelle&strisce, del barbecue della domenica;dall’abbigliamento al modo di muoversi e di parlare dei personaggi; leggi e ti sembra di stare al cinema. Quasi quasi allunghi una mano cercando il sacchettino dei popcorn.
MacDonald è molto preciso nel tratteggio sia dei personaggi quanto dell’ambientazione.
Tutti i personaggi principali vengono presentati nel primo capitolo e a ognuno l’autore attribuisce subito delle caratteristiche, che poi richiamerà tutte le volte in cui compariranno sulla scena.
Questo li rende immediatamente identificabili per il lettore, oltre al fatto che ogni peculiarità fisica è tale da rievocare un corrispondente aspetto della loro personalità.
Così E.J., il suocero di Jerry Jamison, il protagonista, già lo vediamo con i suoi occhietti azzurri e le manine bianche e rosa e morbide, mentre sentiamo la risata della suocera, simile al nitrire di un cavallo, sempre uguale indipendentemente dalla circostanza.
Poi c’è Lorraine, la moglie di Jerry, bella come Liz Taylor ma niente più che una bambina egoista e viziata: l’ultima immagine che rimane impressa al marito, ma anche al lettore, è quella di lei alla guida della sua Porsche decappottabile color rame, i lunghi e setosi capelli neri scompigliati dal vento.
Potrei continuare perché davvero si ha l’impressione di aver visto tutti i personaggi in carne e ossa.
MacDonald non lesina sugli aggettivi nelle sue descrizioni: non lo fa se vuole farci vedere un personaggio, renderlo vivo, reale, ma neanche se si tratta di farci vivere uno stato d’animo, un’emozione.
Vi faccio un esempio.
Mi svegliai nel cuore della notte con un terribile mal di testa: sono sicura che, se questa frase l’avessi scritta io, oggi, nel mio romanzo, qualsiasi scrittore sarebbe inorridito perché “non devi dirmi che hai mal di testa, devi farmi sentire il mal di testa, le tempie che pulsano, la nausea, la pesantezza”.
Il famoso e temuto show, don’t tell.
Continuo?
Sì, continuo.
…sapendo che avrei sentito il lento battito del suo cuore. E invece sentii un silenzio mostruoso.
Silenzio. Mostruoso.
Nessuna perifrasi per descrivere il vuoto assordante, lo sgomento.
Solo due parole, le più scontate.
E quel “silenzio mostruoso” lo senti.
Ecco, mi sorge un dubbio.
Non è che, a furia di limare, perfezionare, “mostrare piuttosto che dire”, ci stiamo un attimo appiattendo? Scriviamo tutti così bene che sembriamo usare la stessa penna?
Pensiamoci; magari giusto un po’.
Ritorniamo al romanzo.
La narrazione è affidata al protagonista, Jerry, con una prima persona al passato remoto.
All’inizio il ritmo è lento, quasi noioso: come ho già detto, il primo capitolo presenta tutti i personaggi principali e racchiude anche due flashback abbastanza lunghi, che consentono al narratore di far conoscere l’antefatto.
Difficoltosa può anche risultare la lettura delle parti in cui l’autore dà sfoggio della propria competenza nel campo dell’economia, ma è davvero poca cosa rispetto alla maestria di cui è capace.
L’arrivo di Vince è il punto di rottura, l’evento che rivoluziona la vita del protagonista e, a catena, di tutti i personaggi.
Jerry incontra Vince: gli basterebbe dire di no alla sua proposta e tutto rimarrebbe com’è.
In fondo Jerry è un bravo ragazzo.
E invece no.
La decisione presa da Jerry scatena un effetto domino inarrestabile, a cui lui per primo non è in grado di opporsi, e il ritmo della narrazione segue l’evoluzione tragica della vicenda, diventando incalzante, quasi claustrofobico.
Il finale è sconvolgente e mette il lettore di fronte a un quesito di ordine morale: sei proprio sicuro di essere una persona perbene? Hai la certezza che nessuna tentazione sia in grado di deviare il tuo percorso dai binari che pensi siano stati tracciati per te?
Jerry lo era, ma poi…
Prima di scardinare le serrature ero un certo tipo di uomo.
Dopo aver guardato quei soldi, ero diventato qualcun altro.
E sapevo in qualche modo folle che non sarei mai potuto tornare a essere la stessa persona che aveva fatto leva con il cric sulle serrature, per quanto avessi potuto sforzarmi.
Se non conoscete MacDonald, è un grande grande peccato e dovete correre a rimediare.
A cura di Claudia Cocuzza
www.facebook.com/duelettricisottountetto/
John D. MacDonald
Nato a Sharon nella Contea di Mercer in Pennsylvania, MacDonald si iscrisse alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania e si laureò con lode, ma ottenne solo un umile posto di lavoro nella città di New York. Mentre frequentava la Syracuse University incontrò Dorothy Prentiss, che sposò nel 1937. MacDonald fu poi in grado di fare buon uso della sua formazione in economia e commercio incorporando imprese ed elaborando truffe in un buon numero dei suoi romanzi. Nel 1940 MacDonald entrò nell’esercito negli Ordnance Corps, in Estremo Oriente durante la seconda guerra mondiale. Mentre ancora in campo militare, la sua carriera letteraria prese inizio quando accidentalmente scrisse un breve racconto nel 1945 e lo inviò a casa per il divertimento di sua moglie. Lei lo presentò alla rivista Story, senza che il marito lo sapesse, e venne accettato. Nei primi quattro mesi dopo il suo ritorno dalla guerra, si concentrò completamente nella scrittura di racconti brevi, generando circa 800.000 parole e ideando 20 romanzi nel corso di diverse settimane, sette giorni su sette, quattordici ore al giorno. La rivista Dime Detective accettò alcuni racconti a pagamento. Iniziò da quel momento un fenomeno che portò lo scrittore sulla cresta dell’onda. I suoi romanzi vendettero diversi milioni di copie e MacDonald finì col diventare uno scrittore di professione. Fra e sue opere più premiate e vendute si ricordano Astounding (1948), The Brass Cupcake (1950), Wine of the Dreamers (1951) e Ballroom of the Skies (1952).
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