Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Witold Gombrowicz
Traduzione: Irene Salvatori e Michele Mari
Editore: Il Saggiatore
Genere: Narrativa straniera
Pagine: 336
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Il trentenne Giuso, perditempo e lavoratore occasionale, si sveglia e scopre di essere tornato adolescente. Il suo aspetto non è cambiato, eppure… Alla porta di casa bussa un arcigno professore: entra, lo interroga, gli rifila voti bassi e lo rispedisce a scuola. È l’inizio di una delle storie più folgoranti della letteratura europea, un lampo di allucinazione che il genio di Witold Gombrowicz ha sublimato nella più discussa e celebre delle sue opere. Giuso è la proiezione dell’individuo odierno, un neghittoso mammone confinato nell’immagine di un adulto. La scuola pullula di imborotalcati come lui: uomini senza qualità, inetti piegati all’eccitazione e al godimento puerile, umanità irrisolte che il loro tempo ha esiliato in un limbo di eterna fanciullezza. Salvo cercare in questa fanciullezza farsesca la propria innocenza. Ferdydurke spalanca, attraverso una lingua formidabile, fatta di nonsense, bagliori e richiami, una voragine nella coscienza dei suoi – e dei nostri – contemporanei. Un’indagine narrativa, quella di Gombrowicz, che origina dai primi decenni del Novecento per estendersi fino ai nostri giorni, e che nell’ambiguità della forma – nella sua drammatica inconciliabilità con gli spiriti che riveste – trova il suo mezzo paradossale; nella beffa dell’infantilismo, il suo trauma archetipico.
«Considero Ferdydurke uno dei tre o quattro più grandi romanzi scritti dopo la morte di Proust.»
Milan Kundera
Recensione
“Ferdydurke”, scritto nel 1938 è il primo romanzo di Witold Gombrowicz e già nel titolo rende manifesta la novità della sua narrativa. Infatti Ferdydurke non ha nessuno significato in polacco ma è un segnale della grande simpatia di Gombrowicz per i giochi di parole e per i suoni senza senso, come accadrà anche in “Cosmo” sua ultima opera narrativa del 1965.
Questi due romanzi alfa e omega della sua produzione narrativa, definiscono per contrasto tutta la densità dei suoi scritti. Se “Ferdydurke è uno studio sull’immaturità e sull’infantilismo, “Cosmo” invece è un delirio semiologico e un romanzo sulla formazione della realtà dove come in Kafka l’assurdo ed il grottesco irrompono nella vita reale ed allora è giusto lasciarsi andare e leggere le stravaganti avventure di due malnati che vinti dalla noia si aggirano in una Polonia assolata e atemporale accasandosi in una famiglia di sciroccati.
Per lo scrittore polacco, le cui opere non vennero pubblicate in patria durante il periodo comunista, la forma è un modo per disegnare la realtà; “La Forma va intesa nel suo duplice significato, sia come maschera che gli altri ci impongono e che dobbiamo mantenere sia come comportamento al quale ci conformiamo da soli per essere accettati”.
L’incipit “Martedì mi svegliai a quell’ora esanime e labile in cui la notte è già finita e però l’alba non è ancora incominciata davvero” ricorda in modo netto gli incipit più folgoranti delle opere di Kafka, “Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo.” da “La metamorfosi” e “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato.” da “Il processo”.
Qui è la notte che compie la cesura tra un prima e un dopo che si rivela tragico e fatale mentre Giuso, il protagonista di “Ferdydurke”, appena sveglio ha un soprassalto di vigore per poi rendersi conto di non avere niente da fare e si “contorce nel desiderio che non accadesse nulla, niente cambiasse, niente sostituisse nulla e qualsiasi intenzione di fare qualcosa non portasse se non a nulla di nulla.” Giuso ha trent’anni ed è l’idealtipo dell’immaturità assurgendo a metafora del secolo e della Polonia che un anno dopo la stesura del libro verrà invasa dai nazisti.
“Nel mezzo di cammin della mia vita”, dice Giuso citando Dante, “mi ritrovai per una selva oscura. E il peggio era che quella selva era verde.” e verde è il simbolo della puerilità che incontra nella sua famiglia e nella scuola dove viene trascinato forse perché sopravvalutava “l’adultità degli adulti”.
Scritto in modo scoppiettante ma con intenti sulfurei e la cui traduzione, in questa edizione del Saggiatore curata ottimamente da Irene Salvatori e Michele Mari, dev’essere stata davvero faticosa per il gran numero di neologismi e di aggettivazioni che presenta, “Ferdidurke” è un fuoco d’artificio di trovate e una fonte di divertimento per le tragicomiche avventure di questo uomo affetto da una “verditudine” che riflette la “verditudine” della società in cui è immerso.
“La normalità è solo una corda tesa sopra l’abisso dell’anormalità”
dice Giuso mettendo bene in luce il significato più profondo del romanzo che, una volta superata l’iniziale difficoltà a recepire il ritmo adeguato, trascina in un sorprendente palinsesto dai molteplici livelli di lettura e dalle mille sfaccettature, che potrebbe esser stato scritto anche da un Kafka allegro (sembra strano ma secondo gli amici il buon Franz si divertiva un mondo quando leggeva loro i racconti che ci sembrano così cupi e privi di speranza).
Strutturato in tre parti con due intermezzi filosofici e di intonazione satirica, colpisce duro soprattutto nell’ultima parte, ambientata in un castello nobiliare dove la critica di Gombrowicz all’ambiente sociale è particolarmente sferzante:
“Il signore, cui la Storia nella sua marcia inesorabile toglieva la terra e il potere, rimaneva comunque di razza nell’anima e nel corpo, soprattutto nel corpo”.
Poteva sopportare la riforma agraria e in generale gli adeguamenti giuridico- politici, ma gli ribolliva il sangue al pensiero di un’uguaglianza fisica e corporea, di un personale affra..tellamento…”.
E’ difficile rendere al meglio la tessitura così moderna e intrigante del romanzo di Gombrowicz ma vi assicuro che se lo leggerete rimarrete “intrappolati come una mosca nella ragnatela”, indissolubilmente ed eternamente gombrowiczati.
Witold Gombrowicz
Scrittore polacco, appartenente all’aristocrazia rurale di origine lituana. È da tempo considerato uno dei maggiori scrittori polacchi del ventesimo secolo, e fu attivo dal 1930 fino alla sua morte. Sorpreso dalla guerra in Argentina, dove si era recato in crociera, vi rimase fino al 1963. Tornato in Europa, visse un anno a Berlino, poi a Parigi e dalla fine del 1964 si stabilì a Vence. La sua vena satirica si traduce spesso sul piano linguistico in una feroce parodia delle convenzioni letterarie. Gran parte della sua opera narrativa ruota attorno tema dell’immaturità: la giovinezza viene da Gombrowicz contrapposta alla maturità e alla vecchiaia, ma il conflitto fra le due umane condizioni è espresso nella tensione costante fra caos e forma. Il romanzo nel quale l’autore arriva a mettere meglio a fuoco questa “guerra” è forse il suo capolavoro, Ferdydurke (1938). Della sua produzione fanno parte anche i racconti di esordio, Memorie del periodo della maturazione (1933), Trans-Atlantico (1953), Pornografia (1960); Cosmo (1966). In traduzione italiana sono apparsi anche i suoi diari (pubblicati nella collana “Le comete” Feltrinelli) e alcune opere teatrali.
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