Fichi di marzo
Autore: Kristine Maria Rapino
Editore: Sperling & Kupfer
Genere: Narrativa
Pagine: 326
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. «Non c’è luogo più dolce e terribile, un infernale paradiso dal quale è impossibile fuggire, della famiglia. Con una scrittura lieve e delicata, sempre dolente e appassionata, Kristine Maria Rapino dipinge personaggi e situazioni con l’insolita imprevista dolcezza dei fichi di marzo.»
Maurizio De Giovanni
Per la famiglia Guerrieri, la pasta non era mai stata solo un piatto di pasta. Era un’occasione per ritrovarsi intorno al tavolo, un ricordo di infanzia, un credo tramandato di padre in figlio; il sogno di generazioni di uomini e donne, impiegate davanti alle impastatrici di quell’antico mulino, ai piedi della Majella, diventato, nel 1907, il Pastificio Guerrieri. Nella cascina di Roccasinara in cui abitavano da sempre, Giordano Guerrieri aveva provato a trasmettere quella passione ai suoi tre figli, ma Arturo, il maggiore, era diventato uno zoologo più che meticoloso, mentre Eva aveva lasciato il nido per fare carriera a Bologna. Solo Diamante, ventisettenne troppo ribelle e studentessa fuoricorso, era stata impiegata nello spaccio del pastificio. La morte improvvisa di Giordano, però, riporterà tutti a casa, e davanti a un piatto di pasta ciascuno dovrà fare i conti con quello che l’uomo ha lasciato dietro di sé, strascichi di un’esistenza di menzogne e continue prevaricazioni nei confronti della moglie Gemma e dei figli. Il loro destino si intreccerà a quello della giovane Anila, di origini albanesi, senza una casa né un posto dove andare, con una bambina in grembo che non vuole e un segreto che toccherà la famiglia molto da vicino. Finché la vita troverà un modo per sorprendere tutti, come un albero capace di dare i fichi a marzo.
Recensione di Laura Bambini
“Entrambi erano aggrappati a un’idea di felicità incapace di concretizzarsi dentro la carne di qualcuno, ma solo dentro qualcosa.”
Una saga familiare basata su un pastificio ha per forza di cose un sapore tutto italiano. Come il genere prevede, le vicende ruotano intorno a una famiglia la cui routine viene sconvolta dalla morte del capo, Giordano. Per quanto la definizione di “capofamiglia” mi susciti l’orticaria, è purtroppo azzeccata, sia per la mentalità del luogo della storia, Roccasinara, sia per il carattere del personaggio, sia per il pastificio di cui era titolare e che è il cuore della storia.
Intorno all’impresa gravitano Gemma, moglie di Giordano, che ha sempre messo la testa sotto la sabbia e ha accettato di ricoprire un ruolo marginale, al punto da ignorare l’amore per Guido, migliore amico del marito e suo primo fidanzato.
Troviamo poi Eva, la primogenita, che è scappata da Roccasinara in gioventù per farsi una vita sua a Bologna, lontana dalle prevaricazioni paterne e dal suo desiderio di mandare avanti l’azienda (cosa che poi le impone, sia mai che una possa avere volontà propria); Arturo, il figlio di mezzo, un genietto che tuttavia non spicca; Diamante, l’ultima figlia, che odia la madre, la incolpa di tutto, odia pure la sorella perché almeno lei se n’è andata e idolatra il padre, ma non vuole comunqueoccuparsi del pastificio.
Insomma, l’impresa sta stretta a tutti, tuttavia appena sentono puzza di fallimento tutti i personaggi si attivano per salvarla, cosa che ho trovato poco credibile, specie per il personaggio di Eva, la cui velocità nel passare da “torno oggi e riparto domani” a “ci penso io” è stata davvero breve e inframmezzata da riflessioni e flashback che non hanno aggiunto nulla alla narrazione. Anche Guido, che vediamo innamorato di Gemma da pagina 1, al momento clou se ne lava le mani. Diamante, invece, che conosciamo come una ragazzina viziata, accetta una condizione di vita senza confort dall’oggi al domani.
È come se ci fosse qualcosa di incompiuto che ha velocizzato i punti salienti e rallentato quelli già distensivi, spezzando il ritmo più volte. Il narratore segue i punti di vista di tutti i personaggi, con il risultato di sottotrame traballanti (come quella di Guido e Gemma, o di Anila che non si capisce bene perché passa da un luogo all’altro), e digressioni lunghe che non mandano avanti la storia.
Molto gradevoli, invece, le descrizioni del pastificio e della lavorazione della pasta, dalla sua fondazione ai giorni nostri, così com’è scritta molto bene e in maniera delicata una storia d’amore inaspettata nella storia.
Insomma, una saga familiare che con qualche ingrediente in più o in meno avrebbe spiccato il volo.
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Kristine Maria Rapino
Kristine Maria Rapino è nata nel 1982 e vive a Chieti, dove lavora nel sociale. È editor e docente di scrittura creativa alla Scuola Macondo. Ha studiato recitazione e sceneggiatura e ha lavorato per il teatro e a Cinecittà. È stata finalista al Premio Letterario Rai La Giara e concorrente del talent letterario di Rai 3 Masterpiece. Nel 2014 ha vinto il Premio Letterario Sándor Márai ed è stata finalista al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como.
A cura di Laura Bambini