Valentina D’Urbano
Editore: Mondadori
Genere: Narrativa
Pagine: 312
Anno edizione: 2024
Sinossi. È il 1974, Hira ha tredici anni ed è appena rimasta orfana. Deve lasciare la sua città, Tirana, e la casa in cui è cresciuta per raggiungere gli unici parenti disposti ad accoglierla. La famiglia dello zio Ben vive in un villaggio sui monti nel Nord del paese, una piccola comunità di pastori che sembra cristallizzata nel tempo, dimenticata persino dal regime comunista che da trent’anni tiene in scacco l’Albania. Lassù si vive ancora secondo i dettami del Kanun, il codice tradizionale della montagna. Piano piano Hira si adatta alla sua nuova vita: dalla cugina Danja impara a fare il bucato al fiume e a occuparsi degli animali, dal cugino Astrit a orientarsi nel bosco e a camminare in silenzio per ore. Astrit ha smesso di parlare quand’era bambino, da allora si esprime a gesti e ogni tanto sale sulle montagne e sparisce per giorni. Per questo al villaggio lo considerano strano, una specie di animale selvatico. Crescendo, Hira e Astrit trovano una lingua tutta loro per capirsi, fatta di sguardi, carezze e morsi che a volte sembrano baci. Quando a Hira viene imposto un matrimonio combinato, sceglie l’unica via di fuga ammessa dalla legge della montagna: rinunciare alla propria femminilità e diventare una burrnesh, una vergine giurata. E così a vent’anni prende il nome di Mael: si veste come un uomo, lavora come un uomo, beve e fuma come un uomo. L’intero villaggio la tratta – e la rispetta – come un maschio. Diversamente dai maschi, però, deve rimanere sola e casta. Eppure sotto la pelle di Mael talvolta riaffiorano, ribelli e vitali, i desideri e le emozioni di Hira. A quanta parte di ciò che siamo possiamo rinunciare per inseguire una vita che ci appare più libera? E di cosa è fatta quella libertà se non possiamo essere noi stessi alla luce del sole?
Recensione di Paola Iannelli
La rinuncia è motivo di sofferenza, si sa, eppure Hira non cede ai dettami di un patriarcato ottuso e retrograde, pur di non andare in sposa giura fedeltà a un’antica usanza che vige nel suo paese: divenire un maschio.
La perdita della madre, causata da un incidente domestico, la derivante solitudine unita alla cieca sorte che investe gli orfani in Albania negli anni ’70, provoca nella giovane la rapida crescita emotiva.
Il cuore di Hira si indurirà fino a ghiacciare ogni tipo di sentimento, ma la granitica corazza in cui si è rifugiata di frantuma quando, nella casa adottiva degli zii incontra Astrid.
Sebbene lo zio Ben e sua moglie si dimostrino disponibili verso la fanciulla, non le risparmiano fatica e lacrime. L’unico membro della famiglia che le concede uno scampolo di libertà è Astrid, un ragazzo dall’aspetto e dai modi rudi, amante della montagna, vittima di un trauma infantile che gli ha tolto l’uso della parola.
Sarà lui che le insegnerà ogni segreto della montagna, trasferendole il senso della selvaggia anima che risiede tra le pareti all’apparenza fredde e statiche di quei luoghi, dove l’uomo deve imparare a difendersi come può, per non soccombere alle antiche leggi che governano la montagna.
Hira subisce il fascino di Astrid, centellinando i momenti condivisi nell’angusto spazio a loro concesso e se ne innamorerà. La decisione dello zio Ben la coglie impreparata, un matrimonio combinato non è un futuro che lei vuole concedersi, dona così la sua verginità e cambia adottando le sembianze e le abitudini maschili, divine Mael.
Il destino dei due giovani è segnato, Astrid va in sposo a una creatura fragile remissiva, cerca suo malgrado di adempiere ai doveri coniugali, mentre Hira/Mael continua a vivere un’esistenza sterile, in cui rifugia tutto l’angoscia e la malinconica frustrazione di non sapere più chi è.
Accadono eventi che non si possono controllare, tali da provocare un’eruzione emotiva così devastante da cambiare per sempre i contorni di una storia.
Astrid e Hira vivranno senza respiro, in totale apnea fino a quando l’alta marea li ricondurrà a riva, dove i loro corpi non saranno più in grado di fingere.
La fusione delle loro anime costruirà un presente privo di costrizioni. Un nuovo sentiero sarà la strada indicata verso l’ignota follia del vivere.
Valentina D’Urbano non cede alle lusinghe dei finali belli e decisi, ovvero ci trasporta in una terra dove l’esistenza umana attraversa vicissitudini aspre e contrastanti.
Lo stile della sua scrittura riflette a pieno l’altalenarsi di sentimenti policromatici, combinati secondo un ritmo sincopato, fonte di gioia e delusione, amarezza e piacere, cardini di una battaglia in nome della libertà.
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Valentina D’Urbano
è una scrittrice e illustratrice per l’infanzia. Si è diplomata allo IED in illustrazione e animazione multimediale. Nel 2010 vince la prima edizione del torneo letterario IoScrittore organizzato dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Longanesi ha pubblicato i suoi romanzi Il rumore dei tuoi passi (2012); Acquanera (2013); Quella vita che ci manca (2014, con cui vince il premio Rapallo Carige nel 2015), Non aspettare la notte (2016) e Isola di neve (2018). Tea si è successivamente dedicata alla ripubblicazione in formato tascabile delle sue opere e, nel 2015, alla pubblicazione di Alfredo. Editi da Mondadori sono invece Tre gocce d’acqua (2022) e Figlia del temporale (2024).
A cura di Paola Iannelli