Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Jessica Mitford
Editore: Rizzoli
Prefazione di Christopher Hitchens
Traduzione di Ada Arduini
Pagine: 384
Genere: Narrativa / Autobiografia
Anno di pubblicazione: 2020
Prima edizione: 2009
Sinossi. La storia travolgente di una ragazzina ribelle in una famiglia aristocratica e piuttosto stravagante: i Redensdale, leggendari Lord del Regno Unito. Cinque sorelle che invadono le pagine dei rotocalchi e due genitori eccentrici a cui sembra volgare che Nancy scriva romanzi e Diana sposi un miliardario come Guinness, ma non aprono bocca sulla passione di Unity per il nazismo. Jessica è la pecora nera della famiglia: socialista e appassionata, pagherà un prezzo molto alto al suo generoso idealismo. Figlie e ribelli è un ritratto di famiglia, un racconto d’avventura, uno spaccato sociale del periodo tra le due guerre e una miniera di aneddoti su Churchill, Hitler e altri personaggi della scena politica e mondana. Ma è soprattutto la storia di un amore che rompe le regole sociali, sfida le convenzioni, sa essere più forte di qualunque altro legame. Un gioiello della letteratura: raffinatissimo, toccante e pieno di ironia.
Recensione
Benvenuti a Swinbrook. E a Bayonne, a Bilbao, a zonzo per gli Stati Uniti. Benvenuti nella vita di Jessica Mitford.
Scrittrice, voce narrante e protagonista, assolutamente autentiche, sincere e coincidenti, ci spalancano le porte della loro esistenza – che fa rima con residenza – e non si preoccupano di nascondere la polvere sotto i tappeti: un privilegio non da poco.
Così possiamo sentirci a nostro agio, subito in confidenza, subito “amicissimi”, senza preoccuparci se il tuxedo ha una piega di troppo, se le scarpe non sono di un bianco immacolato e se portiamo sulla pelle, tra i capelli e sulle spalle qualche traccia polverosa del nostro viaggio. Ed è per questo che, quando quei cancelli vengono richiusi e voltiamo le spalle alla dimora dei Redensdale, al “salottino privato all’ultimo piano, detto T.P.P., o Tinello per il Pennello”, al monolocale ammobiliato o all’albergo di infima categoria, salutarsi è ancora più difficile.
Ascoltare – perché Decca fa sentire la sua voce eccome, non si limita a farsi leggere – i racconti di un’infanzia aristocratica nei ruggenti (ben poco, nelle camere dei Lord) anni Venti, gli esilaranti aneddoti e lessici familiari, il percorso di crescita, mentre la coscienza si delinea e le fratture si preannunciano inevitabili, i fatti che diventano Storia in modo così schietto ed effettivamente vissuto crea una suggestione particolare: c’è il fascino di un’epoca che appare sempre più sfumata, figlia dell’età vittoriana e del Liberty, ma l’immediatezza della presa diretta, della conversazione senza filtri, cancella qualsiasi distanza.
Così le nozioni, le date, gli eventi non sono semplici e un po’ asettiche righe su un libro di scuola, ma parti di un tutto sentito, provato, masticato da chi c’era allora e da chi può riviverlo e digerirlo adesso. Viene da chiedersi se sia possibile sentirsi così vicini pur senza la possibilità di potersi incontrare, almeno in questa dimensione.
Jessica non tralascia nulla, instilla dubbi – “Mentre quasi tutti […] parteciparono alla lotta per i motivi più nobili, e avrebbero affrontato i sacrifici personali più ardui per la loro causa, alcuni, come noi, avevano un certo numero di conti da regolare lungo il percorso.
Troppa sicurezza da bambini, abbinata a una disciplina eccessiva impostaci dall’alto con la forza o la minaccia della forza, aveva sviluppato in noi un alto grado di malvagità” – non indora la pillola e non cerca approvazione, il suo è un resoconto completo, a tuttotondo, che forse non necessita nemmeno di un giudizio, perché fin dal principio assolve il suo compito: raccontare, rendere partecipi, magari, inconsapevolmente, insegnare.
Spingere a trovare la propria strada, anche imboccando vicoli ciechi e inciampando qua e là, lasciandosi abbagliare dal brivido dell’azzardo e della scommessa, tornando indietro e ricominciando daccapo; esortare a credere, in un ideale che ci ha incantato fin da piccoli o in un futuro che si discosti dai disegni delle generazioni che ci hanno preceduto, in un progetto o in un amore che sia “tutto il mio mondo, il mio salvatore, il traduttore di tutti i miei sogni in realtà, l’affascinante compagno di tutta la mia vita adulta – già tre anni – e il centro di tutta la felicità”; tentare, provare, resistere, come in una versione adulta del “gioco Hon” “Ure, Are, Ure, Cominciare”.
Figlie e ribelli – originariamente Red Sheep e poi Hons and Rebels, titoli forse più evocativi e parlanti, ma respinti dagli editori e dalla madre dell’autrice – è un itinerario nello spazio e nel tempo, un tuffo nell’intimo e nell’universale, il diario e il manifesto della “Pecora Rossa” delle sorelle Mitford, sfavillante e fuori da ogni gregge.
A cura di Francesca Mogavero
Jessica Mitford
(1917-1996), giornalista e scrittrice, figlia di aristocratici inglesi, durante la guerra di Spagna partì per combattere a fianco dei partigiani. Trasferitasi in America, si fece promotrice di numerose battaglie per i diritti civili e divenne famosa con il libro-inchiesta The American Way ofDeath, pesante attacco al sistema funerario americano.
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