FINESTRA SUL VUOTO
Raymond Chandler
DETTAGLI:
Traduttore: Gianni Pannofino
Editore: Adelphi
Genere: Noir
Pagine: 268
Anno edizione: 2024
Sinossi. L’aria di Pasadena è «immobile, rovente e profumata» quando Marlowe, sigaretta spenta fra le labbra e cappello calcato sulla fronte, fa il suo ingresso nella sontuosa residenza di Mrs. Elizabeth Murdock. L’incarico che la donna gli prospetta dalla sua chaise-longue di vimini, mentre si scola un bicchiere di porto dopo l’altro, non si direbbe dei più difficili, né dei più pericolosi: ritrovare un’antica e rarissima moneta d’oro – il prezioso doblone Brasher – sottratta alla collezione del defunto marito, probabilmente dalla nuora scomparsa. Ma non appena Marlowe fiuta una pista promettente e sente a portata di mano la soluzione del caso, una serie di omicidi indecifrabili fa calare sull’indagine una fitta coltre di mistero. Per vederci chiaro dovrà spingersi a Bunker Hill – «città vecchia, perduta, fatiscente e piena di balordi» – e frugare palazzi popolati da inquilini sfuggenti, portieri che «sono sempre un po’ cani da guardia e un po’ ruffiani», «uomini anziani dai volti che sembrano battaglie perse». Niente, comunque, che un detective del suo calibro, armato come sempre di laconico cinismo e un’aria imperturbabile da eroe romantico, non possa affrontare, e come sempre nella sua inimitabile maniera, attraversando la nera notte di Los Angeles fra ricatti, night club, pinte di whisky e segreti celati dal tempo.
Recensione di Salvatore Argiolas
Raymond Chandler ha creato, assieme a Dashiell Hammett, l’archetipo dell’investigatore privato tutto cuore e pistola, che ebbe tanto successo da creare il genere “Hard boiled”, la scuola dei duri, che costeggia il noir ma che ha delle caratteristiche tutte sue, generate in gran parte dai romanzi con Philip Marlowe, un eroe sensibile e generoso, malinconico e dolente che secondo Chandler incarna il “principio di redenzione”.
Nel saggio “la semplice arte del delitto” scrive infatti Chandler
“Lungo la strada dei malviventi deve passare un uomo che non è un malvivente, che non è bacato e non ha paura. Nel giallo realistico quest’uomo dev’essere l’investigatore, E’ l’eroe, è tutto. Dev’essere un uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo che raramente s’incontra. Dev’essere, per usare una frase piuttosto trita, un uomo d’onore; per istinto, perché non ne può fare a meno.”
Questo è un perfetto identikit anche di Philip Marlowe, il detective che è stato l’ispiratore di tanti protagonisti di romanzi e di film difficilmente dimenticabili ma che ha una sua “purezza” originale e una forza carismatica veramente unica.
“Se essere in rivolta contro una società corrotta vuol dire essere immaturo, allora Marlowe è profondamente immaturo. Se vedere lo sporco dove c’è costituisce una inadeguatezza di di adattamento sociale, allora Marlowe soffre di una inadeguatezza di di adattamento sociale. Naturalmente Marlowe è un fallito e lo sa. E’ un fallito perché non ha denaro. Un uomo che, senza avere un handicap fisico, non guadagna abbastanza da potersi mantenere decentemente, è sempre un fallito, e di solito un fallito sul piano morale.”
scrive ancora Chandler.
“Intanto bisognava vivere nella violenza di un ambiente industriale e meccanico e darle un significato e una ragione d’essere nei nervi e nelle viscere dei giovani. Vivere e sperimentare qualcosa equivale a trasporre il suo impatto diretto in molte forme indirette di consapevolezza. Abbiamo offerto ai giovani una giungla d’asfalto rauca e stridula al cui confronto qualsiasi giungla tropicale era quieta e inoffensiva come una conigliera.”
affermò, riferendosi a quel periodo della storia americana, il celebre sociologo Marshall McLuhan nel suo saggio più noto, “Gli strumenti del comunicare” e Philip Marlowe percorre le strade di queste giungle d’asfalto mostrando tutto il marcio che esiste nella società americana, fondata sull’arricchimento rapido e mette in evidenza l’anima nera di un paese in balia della corruzione, che non si è reso ancora conto di aver perso l’innocenza.
Adelphi sta ripubblicando tutta la produzione di Raymond Chandler e dopo i due primi libri dell’epopea di Marlowe, “Il grande sonno” e “Addio, mia amata” e dopo “Il lungo addio”forse il punto più alto della sua narrativa, arriva in libreria “Finestra sul vuoto” con la nuova traduzione di Gianni Pannofino, in un edizione di rara eleganza, dove tutto contribuisce alla creazione di un volume impeccabile, a partire dall’evocativa copertina.
Philip Marlowe viene convocato da una ricca vedova che sospetta la nuora di aver rubato una preziosa moneta, il doblone Brasher, appartenuto al defunto marito incaricandolo di trovare le prove che incastrino l’odiata moglie del figlio.
Nella sua inchiesta il detective incontra avidità, egoismo, accidia e tutti i vizi privati di un mondo chiuso e dissoluto dove conta solo la distanza tra il vendersi e il comprare, indagando anche nel quartiere di Bunker Hill, che porta alla memoria i romanzi di John Fante, in particolare “Chiedi alla polvere”, ambientato proprio in qual periodo, “Bunker Hill è una città vecchia, perduta fatiscente e piena di balordi. Una volta, tanto tempo fa, era il quartiere residenziale più ambito della città”.
Chandler narra in prima persona le avventure di Marlowe e la sua scrittura è densa, ricca di battute scoppiettanti e dialoghi folgoranti;
“Il bello di questo posto è che tutto è davvero conforme allo stereotipo” ho detto. “lo sbirro al cancello, il negro alla porta, la venditrice di sigarette e la guardarobiera. L’ebreo ciccione, viscido lascivo con la showgirl alta, statuaria e annoiata.” (…)
“Ah, davvero?” ha detto risistemandosi la sigaretta tra le labbra e aspirando lentamente. “ e che mi dici del detective sarcastico con le sue battute dell’anno scorso e il sorriso ammiccante?”
Nello splendido finale, dopo aver sbrogliato l’intricata matassa Marlowe torna a casa e gioca a scacchi da solo: “Si era fatta sera. Sono tornato a casa e mi sono messo in libertà. Ho sistemato i pezzi sulla scacchiera, mi sono preparato un drink e ho giocato un’altra partita di Capablanca. Erano cinquantanove mosse. Gli scacchi, belli, gelidi, spietati, quasi inquietanti nella loro muta implacabilità.
Quando ho finito mi sono avvicinato alla finestra aperta per ascoltare e annusare la notte. Poi ho portato il bicchiere in cucina. L’ho lavato e l’ho riempito di acqua con ghiaccio, restando lì a bere e a guardare la mia faccia allo specchio.”
E’ questa la vera anima del “private eye”, umana e dolente, sensibile e generosa, sotto la scorza di un uomo duro, che attraversa ogni romanzo e racconto che lo vede protagonista, con un “sorriso ammiccante” e disilluso.
“Finestra sul vuoto” ha una trama complessa con inattesi e repentini cambi di rotta, intricati e aggrovigliati, anche perché, come l’autore scrisse in una lettera a Bernice Baungarten nel maggio 1942, “Non mi importava se l’enigma non sussisteva, mi importava della gente, di questo strano mondo corrotto in cui viviamo, e del fatto che ogni uomo cerchi di essere onesto appare in fondo o sentimentale o semplicemente sciocco” .
Parafrasando quello che scrisse di Dashiell Hammett in “La semplice arte del delitto” si può dire che Chandler ha dimostrato che il giallo può essere letteratura “importante” e Finestra sul vuoto” conferma in pieno questa asserzione.
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Raymond Chandler
è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense, nato a Chicago il 23 luglio 1888 e morto a La Jolla (California) il 26 marzo 1959. Chandler divenne uno degli autori più importanti del genere poliziesco, e il protagonista dei suoi romanzi, il detective Philip Marlowe, si è imposto tra i miti dell’immaginario del genere giallo. Chandler contribuì all’affermazione del noir anche al cinema grazie alla trasposizione cinematografica delle sue opere e alla stesura di varie sceneggiature. Le opere di Chandler ritraggono, con grande cura dei dettagli, il mondo corrotto delle metropoli statunitensi, “utilizzando un linguaggio crudo e realistico adatto a creare atmosfere cupe, torbide e angoscianti, in cui si muovono personaggi inquieti e ambigui.” La sua carriera di sceneggiatore cinematografico gli valse due nominations all’Oscar, una nel 1945 per La fiamma del peccato di Billy Wilder e l’altra nel 1947 per La dalia azzurra di George Marshall.
A otto anni Chandler si trasferì in Europa con la madre, di origini irlandesi. Dopo i primi studi, iniziò a lavorare a Londra come reporter e a pubblicare poesie e saggi su giornali e riviste. Dopo il ritorno negli Stati Uniti nel 1919 e superato un periodo di crisi esistenziale, Chandler conobbe la fortuna letteraria, iniziata negli anni Trenta con l’accettazione dei suoi racconti da parte della rivista pulp Black Mask e, poco dopo, con la pubblicazione dei suoi primi romanzi polizieschi, da “Il grande sonno” (1939) a “Addio, mia amata” (1940), seguiti poi da “Finestra sul vuoto (1942) e “La signora nel lago” (1943).
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