Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Christophe Palomar
Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 312
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. La Frieda che dà il titolo a questo sorprendente romanzo è Frieda von Richthofen, figlia di un alto ufficiale tedesco, cugina del Barone Rosso e musa di D.H. Lawrence, il chiacchierato e geniale autore dell’Amante di Lady Chatterley. Donna dalla personalità eccezionale, è lei la grande fonte d’ispirazione e di passione del protagonista e voce narrante del romanzo, Joachim von Tilly. Questi, rampollo di una famiglia di conti tedeschi, sembra destinato a seguire le orme paterne a capo delle acciaierie di famiglia. Nella bellezza della Capri del primo Novecento, Joachim avverte tuttavia la possibilità di un’altra vita. Inizia allora per lui una fuga senza fine, costellata d’incontri, amori, speranze e tradimenti. Una fuga che lo porta da Vienna e Berlino fino a Buenos Aires, dove lo attendono le risposte alle tante domande lasciate in sospeso. Attraverso le vicende di Joachim, Palomar ci consegna un ampio e originale affresco ambientato tra il declino della Belle Époque, i vorticosi anni Venti e il crollo del nazifascismo. Pubblicato in poche copie nel 2015 da un piccolo libraio-editore milanese e ora presentato in una versione largamente rivisitata, questo grande romanzo, classico e modernissimo al contempo, rivela finalmente a un pubblico vasto uno dei nuovi autori più promettenti di questo scorcio di secolo.
Recensione
Un libro suscita domande fin dalla copertina: perché quell’immagine, perché quel titolo?
Pagina dopo pagina gli interrogativi si moltiplicano, mutano, alcuni trovano subito una risposta, altri ci lasciano in attesa: com’è nata la storia?
Quali sono le intenzioni dell’autore e della voce narrante? Ma perché, di nuovo, proprio quel titolo?
Frieda è un romanzo di doppia formazione, ed è naturale che stimoli la curiosità, la voglia di andare a fondo, di chiedere “perché”: gli occhi dei lettori si spalancano assieme a quelli del protagonista, che scopre il proprio mondo, che impara, sperimenta, s’interroga, cresce. E noi con lui, accumulando nozioni e notizie, lasciandoci attraversare dal flusso della trama, del suo tempo.
Di fronte a un nuovo libro siamo tutti un po’ bambini – nelle prime righe sperduti come quelli di Peter Pan, dobbiamo ancora orientarci, afferrare il capo e tenerci saldi, poi via via più espansivi, indiscreti, golosi – al cospetto di un Bildungsroman lo siamo a maggior ragione.
Ma ho parlato addirittura di “doppia” (se non tripla, se includiamo noi lettori) formazione: del narratore, il nobile Joachim von Tilly, e dell’opera stessa.
Il libro di Christophe Palomar, infatti, era in origine un racconto di duemila parole, scritto in due settimane per un concorso letterario; ma c’era altro da dire, altro da aggiungere, così il numero di pagine è cresciuto, i personaggi hanno parlato, svelato e raccontato ancora, e il risultato è stato un manoscritto, accolto e pubblicato con gioia e coraggio, binomio perfetto, da un noto libraio-neoeditore milanese; e non è finita, perché Frieda ha continuato a correre, a definire la sua forma, fino ad approdare a Ponte alle Grazie, dimostrando, ancora una volta, che l’editoria è davvero artigianato e che una buona storia può avere più vite dei gatti e farne vivere altrettante a chi incontra lungo la strada.
Ma perché quel titolo, Frieda?
Il dubbio ci attanaglia un capitolo dopo l’altro: il protagonista, l’eroe “senza qualità” (ma questo è tutto da vedere), è Joachim, filtro e specchio della sua epoca, dell’esistenza che ci viene descritta con minuzia e senza pudore, Frieda von Richthofen è solo un sogno giovanile, un desiderio sospeso su una stella non ancora caduta… O forse no?
Alcune conoscenze, coltivate negli anni o bruciate in un estate, sono fatidiche, volute dal destino, e rivestono il ruolo dell’ago e del filo, perché mettono punti resistenti, uniscono lembi, danno un senso a tutto, anche alle scelte prese apparentemente con leggerezza, ai capricci e ai rovesci, ai bivi e alle fughe, e la nostalgia è ben più di un crogiolarsi nei “se” e nei “chissà”, diventa il motore di un viaggio che trascende il singolo e salva dall’orrore.
A cura di Francesca Mogavero
Christophe Palomar
nato in Alsazia (Francia) da padre italiano e madre spagnola, cresce a Tunisi. Studia alla HEC di Parigi e alla Bocconi e intraprende una carriera di manager che lo porta a viaggiare di continuo e a scrivere quasi sempre di notte. Dal 2017 divide il suo tempo fra la consulenza per le aziende e la letteratura. Prima di tornare in libreria con Frieda, ha pubblicato Lasciare Trieste (Pendragon, 2017) e partecipato al libro collettivo Occhi mediterranei (Pendragon, 2019).
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