Recensione di Marina Morassut
Autore: William Faulkner
Traduzione: Emanuela Turchetti, Ottavio Fatica
Editore: La nave di Teseo
Genere: giallo
Pagine: 293
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. La contea di Yoknapatawpha, in Mississippi, è un piccolo universo che ha i tratti della leggenda: da queste parti la semplicità della vita quotidiana fa i conti con un passato glorioso e con un presente colmo di rancore. Ogni colpa, anche la più grave, diventa una medaglia da esibire sul petto o una speranza a cui aggrapparsi. Sui crimini di una comunità dove nessuno sembra innocente, indaga l’avvocato Gavin Stevens, una sorta di Sherlock Holmes del Sud: stessa saccenteria e narcisismo, una micidiale eloquenza e una naturale tolleranza per le stranezze dei suoi concittadini. Più che un legale, Stevens è il confessore e il redentore di questa dannata, misera, esaltata gente degli stati del Sud. Intorno a lui, e alla sua mente ordinatrice e geometrica, c’è un mondo che sta crollando: dal vecchio genitore carogna al piccolo idiota vittima della sopraffazione e assassino suo malgrado, ogni personaggio esprime tutta l’energia di chi cerca di non soccombere, di salvarsi qualunque sia il prezzo. William Faulkner, premio Nobel per la Letteratura 1949, congegna un giallo in sei atti che è un viaggio implacabile nel cuore di tenebra dell’America.
Recensione
Difficile non pensare immediatamente ad uno Sherlock Holmes, leggendo del Procuratore della Contea Gavin Stevens, abitante del Sud degli Stati Uniti e protagonista dotto di questi racconti, legati l’uno all’altro proprio da questo fine ragionatore e conoscitore degli abitanti di Yoknapatawpha, che significa terra spaccata e dietro cui si nasconde la contea di Lafayette Mississippi e sotto sotto Oxford, città in cui William Faulkner ha trascorso la sua infanzia, vicino ai nonni materni e paterni, tra cavalli e boschi del profondo Sud, che oltre a permettergli l’osservazione dell’emarginazione e discriminazione degli ex schiavi negri e dell‘impoverimento generale dovuto allo sfruttamento economico di quelle terre, gli ha permesso di apprezzarne i miti e le leggende.
E come non pensare a Sherlock Holmes, dicevamo, soprattutto quando Stevens si fa assistere dal giovane nipote, novello Watson, diventando, al contempo, Procuratore ma anche zio per antonomasia. Il semplicistico paragone però finisce qui.
Troppo diversi e a volte troppo cinematografici i suoi racconti: e del resto come potrebbe nonessere presa in considerazione questa parte del lavoro di Faulkner, che negli ultimi anni lo porterà a Hollywood a fare lo sceneggiatore e che sicuramente ha inciso nello sviluppo dei racconti e contemporaneamente, grazie ai suoi splendidi romanzi, ha segnato il grande romanzo moderno, motivazione per la quale gli è stato attribuito il Nobel per la Letteratura: “per il suo contributo forte e artisticamente unico al romanzo americano contemporaneo”.
Una presentazione forse non necessaria per questo grande autore americano, che ha saputo farsi apprezzare anche per i suoi romanzi polizieschi, ma che ci dà sicuramente un quadro più preciso per capire i sei racconti che fanno parte di questa raccolta, di cui soprattutto l’ultimo, molto lungo, colpisce per la particolarità di trama ed intenti, considerando che si basa sulla mossa in una fantomatica scacchiera nella quale i personaggi tutti si muovono: il Gambetto.
Titoli dei sei racconti: Fumo; Monk; Una mano sulle acque; Domani; Un errore di chimica; Gambetto di cavallo.
Tutti i racconti, come detto, vedono il Procuratore della contea Gavin Stevens protagonista assoluto. Ma non possiamo non considerare al contempo co-protagonisti, oltre alla città, anche i racconti (inclusi i diversi flash back) della terra dove vengono ambientati, il pionierismo che ci dice della povertà, la vita dura dei campi, l’amore morboso e vitale per la terra, unica e insostituibile fonte di ricchezza e di riscatto nei confronti dei vicini e della povertà stessa.
Ed insieme a queste tematiche in un andirivieni di presente e di passato familiare, anche il tratteggio di amori sbagliati o dimenticati, deus ex-machina di alcune situazioni che esploderanno a distanza e che necessiteranno dell’intervento risolutore del Procuratore.
Ed allora, eccoci in “Fumo”, con un padre che non si augurerebbe al peggior nemico, con la terra avita che conta più dei due figli, di cui uno buono e l’altro cattivo, anche se forse non tanto quanto il padre. E alla morte del padre, un testamento ingiusto che porterà alla morte di altre persone e che verrà risolto da Stevens per un particolare che nessuno aveva notato.
O nel racconto “Monk”, dove un minorato buono viene ritratto in modo superbo e al contempo poetico, tanto che Stevens riesce ad ottenere per lui la grazia – salvo poi maledire la sorte per un omicidio che lo porterà sulla forca.
Non elencheremo tutti i racconti, per dare la possibilità ai lettori di assaporarli per la prima volta con il dovuto entusiasmo ed una sorpresa ragionata che si respira ad ogni caso risolto.
Citeremo però l’ultimo e lungo racconto, “Gambetto di Cavallo”, perché qui, oltre ad una saga familiare con un Otello geloso, cavalli, segreti, vecchi e millantati amori, avremo anche la particolarità di un ingresso straniero e quindi politico, in un certo senso. Ma ciò che resterà in mente, oltre alla mossa degli scacchi che permea tutto il racconto fino al finale a sorpresa, è l’affresco della natura umana in tutti i risvolti della vita.
I lettori non potranno scordare facilmente Gavin Stevens, di cui di proposito ho evitato di evidenziare dettagli e particolarità: quarantenne fumatore di pipa, astuto giocatore di scacchi, zio, fine pensatore ed osservatore dei dettagli più minuti ed incredibili, ma al contempo uomo e procuratore che somministra la giustizia con passione ed estrema compassione per una condizione umana difficile, aspra ed amara in un mondo ancora per poco contadino, che inizia a fare i conti con un futuro prossimo tecnologico, che sembra tradire gli abitanti del Sud degli Stati Uniti, rubando loro i silenzi nostalgici e la poetica della vita rurale.
A cura di Marina Morassut
William Faulkner
William Cuthbert Faulkner, nato Falkner (New Albany, Mississippi 25 settembre 1897 – Byhalia, 6 luglio 1962), è stato uno scrittore, sceneggiatore, poeta e drammaturgo statunitense, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1949 e considerato uno dei più importanti romanzieri statunitensi, autore di opere spesso provocatorie e complesse. Tra i suoi romanzi più famosi, ricordiamo “L’urlo e il furore” (1929), “Mentre morivo” (1930), “Luce d’agosto” (1932), “Gli invitti” (1938) e “Assalonne, Assalonne!” (1936). Faulkner fu anche uno scrittore prolifico di romanzi brevi: la sua prima raccolta, “Queste 13” (1931), comprende alcune delle sue storie più conosciute. Durante gli anni ’30, nel tentativo di guadagnare qualche soldo, Faulkner ebbe l’idea di “Santuario”, un romanzo che oggi verrebbe definito “pulp” (pubblicato per la prima volta nel 1931). Faulkner ricevette il Premio Pulitzer per “Una favola”, e vinse il National Book Award (postumo) per la sua “The collected stories”. Faulkner è stato anche un apprezzato autore di romanzi polizieschi. Nei suoi ultimi anni Faulkner si trasferì a Hollywood per lavorare come scenografo (suoi sono i copioni de “Il Grande Sonno” di Raymond Chandler e di “Avere e non Avere” di Ernest Hemingway, entrambi diretti da Howard Hawks). L’ultima parte della sua vita fu purtroppo segnata da un grave problema di alcolismo. Questo non gli impedì tuttavia di presenziare all’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura e di pronunciare uno dei discorsi più significativi mai ascoltati in tale occasione. Faulkner decise di devolvere il proprio premio per la costituzione di un fondo che avesse come scopo quello di aiutare ed incoraggiare nuovi talenti letterari.
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