A cura di Raffaele Sari Bozzolo
Un uliveto nel velluto blu scuro della notte, il vento che scuote le fronde degli alberi che quasi sembrano cantare. È un canto triste, lamentoso, di un dolore profondo e ancestrale, sotto un cielo di stelle lontane e una luna timida e accennata. È forse lo stesso uliveto e lo stesso canto del Getsemani? Un soldato scrive ai suoi cari lontani come quelle stelle che lo vegliano e scrive celando un dolore profondo e privato che solo quegli alberi sembrano intuire e con lui condividere.
Gli ulivi cantano la notte racconta la storia, collettiva e privata al tempo stesso, composta da lacrime, attese, sorrisi, sogni, progetti realizzati, mete raggiunte, fallimenti, assenze, illusioni ingenue e disillusioni amare, titaniche volontà e resistenze, rinunce, rese.
Una storia che ha la trama degna del più complesso intrigo d’un giallo, come quando svela l’operazione Mincemeat e la beffa del maggiore Martin vissuto una volta sola ma morto due, una volta da anonimo clochard e una seconda volta per la salvezza della sua patria e del mondo intero dal trionfo delle forze del male; ha il ritmo del thriller, nei destini sospesi e a volte beffardi di civili e militari, di navi, sommergibili e aerei e dei loro equipaggi; il sapore forte e ferroso del sangue sotto le macerie dei bombardamenti, nelle profonde e tenebrose fenditure delle foibe, sui muri delle fucilazioni, l’efferatezza dei peggiori delitti che non risparmiano donne, bambini e s’accaniscono quasi come assassini seriali contro la gioventù; l’atmosfera cupa e il mistero del noir, nelle stragi dimenticate, di caduti scomparsi, quasi cancellati, di storie che riemergono improvvisamente dal passato.
Tutto questo non è però l’abile costrutto narrativo di uno scrittore, non è frutto della romanzata rielaborazione di spunti di cronaca nera, è la storia, la nostra storia in una ricostruzione meticolosa, scientifica, documentata.
Sono entrato nella quotidianità di una cittadina della provincia, su un’isola che molti hanno dipinto e raccontato ai margini del conflitto, negli album dei ricordi delle famiglie, cercando non tra gli scatti il volto famoso o lo scorcio da cartolina, ma il volto mancante, l’angolo buio. Ho cercato le memorie perdute delle famiglie, di una piccola città, per intessere la memoria storica di un’intera isola e con essa di un’intera nazione nel peggiore degli incubi, nella più ancestrale e violenta perversione umana, la guerra.
La storia e le storie degli algheresi durante il secondo conflitto mondiale sono la storia e le storie di tutti gli italiani. Hanno inizialmente l’odore del pane di casa, il profumo di rose della nonna e l’aroma della pipa del nonno, hanno i silenzi dei cimiteri di provincia e il vociare dei piccoli mercati, ma incappano in una improvvisa rottura dell’equilibrio, per l’Italia il 10 giugno del 1940, da qui trasformandosi in 1783 giorni di paura, sangue, confusione, terrore da cui nessuno poteva sentirsi al sicuro.
Storia e storie fatte di nomi e cognomi e di date conservati fra i documenti sperduti nelle anagrafi, negli archivi storici comunali e diocesani, non negli albi d’oro compilati per retoriche celebrazioni. Un’indagine che ricostruisce crudelmente il vero volto della guerra. Da questa emergono centinaia e centinaia di soldati e civili, fantasmi che fino ad oggi non avevano avuto neppure la dignità di un nome.
La guerra è paura, disperata paura. Violenza, disperata violenza. Un assassino oscuro che segue i passi di ognuno, silente e minaccioso, pronto a sferrare il colpo mortale nel sibilo di una bomba, nella scia di un missile subacqueo, nell’agguato di una mina, nella disumana logica di un eccidio. Gli ulivi cantano la notte un canto triste, lamentoso, di un dolore profondo e ancestrale, perché antichi come questa terra conoscono il peggiore volto dell’uomo.
Raffaele Sari Bozzolo