Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Gianni Biondillo
Editore: Guanda
Genere: Poliziesco
Pagine: 400
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. In un bosco fuori città un furgone scarica un uomo imbavagliato. Due energumeni dal volto coperto riempiono di botte il malcapitato, poi lo legano a un albero. È chiaramente un’esecuzione. Ma il posto non è davvero isolato, stava passando di là, per caso, un cacciatore che riesce in qualche modo a far fuggire i criminali e a chiamare le forze dell’ordine. L’uomo che ha rischiato la morte è un pezzo grosso. Un imprenditore «etico», molto corteggiato dalla politica, che ha costruito la sua fortuna combattendo mafie e malaffare. Chi lo voleva uccidere? Il problema è che lui non lo sa. O forse non lo vuole dire. Con la solita accidia che lo contraddistingue, Ferraro – obbligato da Augusto Lanza, il suo stralunato superiore – si trova a indagare su un caso che lo condurrà nel ventre molle della Milano da bere, anche se è un altro il mistero che lo appassiona: una donna di origini sudamericane ha denunciato la scomparsa del figlio adolescente. Si sospettano affiliazioni a bande di latinos, gente che va in giro a marcare il territorio con la violenza, armata di machete. Ferraro seguirà così una doppia indagine, come sempre aiutato dai colleghi, vecchi e nuovi, e dai consigli della figlia Giulia, che gli fa da traghettatrice nel mondo disilluso dei ragazzi di questa generazione. Tutto ciò mentre un virus letale imperversa in Cina. Sembra una cosa lontana. Ma non lo è affatto.
Recensione
Con la serie dell’ispettore Michele Ferraro Gianni Biondillo compie un’attenta cartografia della realtà contemporanea e ci restituisce intatta la precisa percezione della vita milanese.
Cominciato nel 2004 con “Per cosa si uccide”, il ciclo è arrivato al nono libro con “I cani del barrio” e attraverso questi romanzi Biondillo mostra l’evoluzione di una città che non smette di cambiare pur restando sempre se stessa.
Dal punto di vista del quartiere di Quarto Oggiaro e con le sue competenze di architetto, Biondillo percorre vie e piazze meneghine con l’occhio sicuro del professionista e mette in risalto le pecche dello sviluppo slegato da ogni legame con il nostro passato.
“I cani del barrio” inizia con lo strano rapimento di un uomo importante che viene salvato dal casuale intervento di un cacciatore. Contemporaneamente Ferraro si interessa alla sparizione di un ragazzo di origini sudamericane, sospettato di essere un piccolo trafficante di droga.
Questi due casi, per contrapposizione evidenziano fenomeni sempre più presenti, le pandillas, bande di strada sudamericane che attraggono anche giovani italiani senza storia e senza futuro, e le “cene eleganti” della classe affluente di nuova e ambigua ricchezza, di cui si nutrono le riviste di gossip.
Ambientato nei giorni terribili dell’inizio della pandemia, il romanzo vede l’ispettore Ferraro preoccupato per la salute dei genitori e soprattutto per il volontario coinvolgimento della figlia Giulia nell’indagine che parte dalle strade e dai vicoli di una Milano lontana dei riflettori, per finire in uno degli attici più prestigiosi della metropoli scintillante e glamour, frequentato da attricette, modelle ed esponenti del jet set più trash.
Giulia è la vera protagonista del libro perché rappresenta una generazione scaltra e capace di muoversi con scioltezza in diversi ambienti cittadini, tra il barrio e l’alta società. Con l’aiuto dell’amica sex worker Sofia, Giulia mette il padre ispettore a conoscenza della faccia oscura della città, permettendogli di trovare una traccia, non solo bianca, che gli consente di capire molte cose di cui era ignaro.
Tramite un rompicapo tratto da “Morte dal cappello a cilindro”, uno straordinario giallo classico di Clayton Rawson del 1938, Ferraro riuscirà a trovare il bandolo della matassa arrivando ad una soluzione sorprendente ma pienamente logica e esemplificativa dei tempi confusi che stiamo vivendo.
I cani del titolo non sono solo i membri delle pandillas “Ragazzini sudamericani pieni di tatuaggi su tutto il corpo che pisciavano agli angoli del barrio per marcare il territorio. Ti sto parlando di tredici, quattordici, quindici anni. Non avevano neppure la barba. Iniziati da quelli più grandi, venuti qui a cercare fortuna, o fuggiti da guerre tra bande nei loro paesi d’origine” ma anche coloro che si accucciano ai piedi dei nuovi idoli del mondo della notte e infine i cani metaforicamente evocati da un personaggio per spiegare le dinamiche sociali
“Ci pensi, guardi quanti cani. Grandi, piccoli, di razze differenti, pure o meticce. Tutti qui e tutti uguali, che giocano, che si rincorrono. Nessuna differenza. Certo, c’è quello che fa la voce grossa, c’è il timido. Ma alla fine trovano un equilibrio e convivono tutti assieme. E’ politica applicata al quotidiano. (…) Magari qualcuno si butta a terra a zampe spalancate come segno di sottomissione e qualcun altro sebra che voglia mordere al collo, ma è tutta una messa in scena”.
Ne “I cani del barrio” Gianni Biondillo intreccia con la consueta bravura un plot giallo non particolarmente cruento ma ricco di ironia, con un’approfondita indagine sociologica su quella “bottiglia di orzata dove galleggia Milano” rendendo plasticamente il polso di un quartiere e di una città molto vitale:
“Via Padova non era più quella che aveva conosciuto Ferraro, quando s’era trasferito un decennio prima. Per i quotidiani milanesi una specie di inferno in terra dove la gente si sparava per strada, gli italiani fuggivano e gli stranieri la facevano da padroni (non era esattamente così, ovvio, ma si sa, anche i giornalisti devono mangiare). I nervi scoperti, le contraddizioni, le frizioni sociali non mancavano ma i piccoli borghesi italiani la stavano riscoprendo. Un po’ perchè ancora comunque poco cara, o per la sua aria sbarazzina, poco ingessata, rustica, pericolosa il giusto.”
Nel romanzo, che ha come nei titoli rievoca famosi film come per esempio “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, ça va sans dire , emergono stili di vita, tendenze e intuizioni (“Fontana non mi è mai piaciuto, Ferraro. Ha sempre avuto un profilo poco chiaro. I suoi rapporti con la Russia, soprattutto. Ufficialmente fa i soldi come ti ho detto. Vorrei capire se tutti quelli che ha fatto sono onesti, o frutto, di affari, come dire, “ufficiosi”) che lo rendono adattissimo ad una lettura articolata su più livelli, tutti estremamente intriganti.
Gianni Biondillo
Architetto e saggista scrive per il cinema e per la televisione. Fa parte della redazione di Nazione Indiana. Ha pubblicato per l’Universale di Architettura diretta da Bruno Zevi, Carlo Levi e Elio Vittorini. Scritti di architettura (1997) e Giovanni Michelucci. Brani di città aperti a tutti (1999). Nel 2001 ha pubblicato, per Unicopli: Pasolini. Il corpo della città, con un’introduzione di Vincenzo Consolo. Il suo primo romanzo, nel 2004 per i tipi di Guanda, è Per cosa si uccide, “un tributo di riconoscenza dello scrittore verso la propria città, che viene descritta in tutte le sue molteplici sfaccettature”. Sempre per Guanda sono usciti Con la morte nel cuore (2005), Per sempre giovane (2006), Il giovane sbirro (2007) e nel 2008 la raccolta di saggi Metropoli per principianti, il saggio Manuale di sopravvivenza del padre contemporaneo, scritto a quattro mani con Severino Colombo, oltre all’antologia di racconti erotici al maschile da lui curata, Pene d’amore. Del 2014 il racconto lungo Nelle mani di Dio. Un’indagine dell’ispettore Ferraro Guanda). Nel 2015 ha pubblicato L’incanto delle sirene. Un’indagine dell’ispettore Ferraro, nel 2016 Il giovane sbirro e Come sugli alberi le foglie, e nel 2018 Il sapore del sangue sempre con Guanda.
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