Recensione di Laura Salvadori
Autore: Giuseppe Di Piazza
Editore: HarpersCollins
Genere: noir
Pagine: 285
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Due innamorati divisi, come Romeo e Giulietta. Una ragazza belga, stupenda e malinconica, che nasconde un terribile segreto. Un medico per bene con simpatie fasciste. Un malacarne buono a nulla che rapisce i suoi tre figli. Un “ladro onesto”, fratello di un mercante di uova di tonno alla Vuccirìa. Queste le persone che popolano le giornate di Leo Salinas, detto “occhi di sonno”, un giovane cronista di nera che ogni sera torna a casa con le scarpe sporche di sangue umano. E tanta voglia di vita e bellezza. Perché è Palermo, sono gli anni Ottanta, la giovinezza in una città sconvolta dalle guerre di mafia. Ma anche un luogo unico, di profumi, di chiese, cibo e mare. E donne bellissime, che come sirene promettono meraviglia e possono portare salvezza o perdizione. “I quattro canti” è il nome con cui gli abitanti della città chiamano la piazza che nasce dall’incrocio delle due strade principali, perché ogni suo angolo apre su uno dei quattro quartieri storici. Qui, riproponendo una versione riveduta, ampliata e corretta del suo libro di esordio, Giuseppe Di Piazza compone un quinto canto, inaspettato e fondamentale, “un canto impercettibile alla vista, il più visibile per chi è andato via da Palermo: il canto dell’assenza”. E così facendo regala al lettore un libro eccezionale, una “commedia umana” siciliana e noir che è tante cose insieme: cinque storie diverse che però sono una storia sola, il racconto della passione e del delitto, della speranza e della disperazione, una denuncia durissima contro la mafia da parte di un autore che, come il protagonista, ha vissuto quegli anni terribili e sanguinosi in prima persona. E, ovviamente, un infinito atto di amore nei confronti di una città. Come solo i grandi scrittori sanno fare, Di Piazza trasporta il lettore in un mondo lontano e vicino, esotico e normale, in cui ogni personaggio colpisce al cuore.
Recensione
Questo è un romanzo che tutti dovrebbero leggere.
Perché descrive un pezzo della storia italiana, senza remore, senza fronzoli, senza inutili luoghi comuni. Un pezzo di storia insanguinata e feroce, che noi tutti conosciamo ma la cui memoria probabilmente è scivolata lontano dalle nostre coscienze.
Perché è cronaca, memoria, verità.
Perché incarna la cultura, la storia, il midollo della terra di Sicilia, luogo magico, profumato, incantevole, fatto di paesaggi meravigliosi, di profumi sensuali, di antiche tradizioni, esotico e nostrale al tempo stesso, musicale, con una sua identità ben distinta.
Perché la “sicilianità” non è un concetto astratto. E’ una storia a sé, che non vuole commistioni con la storia peninsulare.
Negli anni ottanta Palermo sta conducendo la sua guerra. La Mafia sta suonando i suoi acuti, con suoni che echeggiano nel mondo intero, a scrivere una storia che per anni rimarrà impressa nella testa e sulla pelle di chi anche solamente da lontano l’ha vissuta e si è immerso in quella musica crudele, sanguinaria, intessuta di cadaveri illustri e anonimi, straziati dal tritolo e dai Kalashnikov.
La guerra è guerra e non disdegna colpi bassi. Vivere a Palermo, in quegli anni, significa convivere con l’orrore quotidiano. Leo Salinas è un giovane reporter ma sa già che deve farsi le ossa in un mondo in cui ogni azione prevede una reazione. A volte a morire è un “picciotto”, altre è un Carabiniere o un Giudice. Leo comprende perfettamente quel meccanismo e seppure stanco di calpestare sangue umano, è giovane e volenteroso e riesce a non affondare in quel mare di morti ammazzati. Sa che il segreto per sopravvivere, l’unico modo per non essere sopraffatti è quello di tenere separato l’uomo dal cronista. Sa che in fondo Palermo non ha niente di straordinario, perché quelli sono tempi in cui si muore e non c’è difesa se non quella di trovarsi un angolo di pace per nascondersi dalla realtà. Sa di essere in balia di Palermo e sente le unghie della morte conficcarsi sempre di più nella sua vita.
Eppure, annaspando per non affogare nel sangue e in quella particolare filosofia che vede l’onore comandare su ogni altro sentimento, ha in sé la voglia di cercare la verità, pur nella consapevolezza che quella verità non potrà salvare nessuno dal suo destino. Leo Salinas ci racconta delle storie dentro alle quale non è difficile riconoscere le vere vicende di quegli anni. Ripercorrerle con lui è un viaggio straordinario fatto di grande lucidità ma è al tempo stesso un viaggio intimo, di crescita, di lotta, di consapevolezza e di voglia di cambiare.
Il romanzo è una ricostruzione storica fedele di quel periodo. Tra le vicende che l’autore sapientemente narra troviamo anche sprazzi di vita vissuta, di storia contemporanea.
E troviamo, soprattutto, l’anima della Mafia così come non l’abbiamo mai letta. Un racconto disilluso della lotta tra le cosche più potenti, un viaggio nel modo di pensare, di essere siciliano e di essere mafioso, in un modo che sa intrecciare questi due status pur evitando di confonderli.
Leo Salinas emerge prepotentemente da questo terreno paludoso e infido. Perfettamente integrato nella sua Palermo, alla quale non lesina di concedere bellezza struggente, poesia e perfezione, intreccio di culture millenarie e inconfondibile miscuglio di sapori affascinati e ipnotici, è tuttavia un baluardo, un punto fermo che non fa fatica a prendere le distanze dalla Mafia, a narrarne gli orrori, a circuirne il virus e il suo contagio.
“era terribile vivere in quella città; era terribile, e tragicamente normale, morirvi. Noi non capivamo niente. Eravamo trascinati da un’inerzia nera, che ci portava in giro da un set di morte all’altro. In quegli anno cominciai a credere che la bellezza fosse un antidoto contro il veleno della vita: ne ho sempre preso fori dosi, ho amato donne bellissime, conservato di loro il ricordo che mi conforta nelle notti di cuore sospeso”.
Una lettura necessaria e dolorosa. Complimenti vivissimi all’autore che a distanza di diversi anni ha riproposto al pubblico questa sua opera prima, potente e prepotente, arricchita da un canto in più, quello dell’assenza. Una lettura da affrontare e da vivere, consigliata a tutti.
Giuseppe Di Piazza
Responsabile dell’edizione romana del Corriere della Sera, è stato a capo di Sette, Corriere della Sera Magazine e Max. Comincia la carriera giornalistica nel 1979 a L’Ora di Palermo. Dal 1986 al 2000 è al Messaggero, dove è capocronista, editorialista, caporedattore centrale. Dalla fine del 2000 approda a Milano, in Rcs. Ha pubblicato quattro romanzi e fatto diverse mostre fotografiche. Con HarperCollins ha pubblicato Malanottata, che ha vinto il Premio Cortina d’Ampezzo 2018, e Il movente della vittima.
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