La saga dei Florio
Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Stefania Auci
Editore: Nord
Pagine: 437
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Dal momento in cui sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra, nel 1799, Paolo e Ignazio Florio guardano avanti, irrequieti e ambiziosi, decisi ad arrivare più in alto di tutti. A essere i più ricchi, i più potenti. E ci riescono: in breve tempo, i fratelli rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dagli spiantati nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione… E quando Vincenzo, figlio di Paolo, prende in mano Casa Florio, lo slancio continua, inarrestabile: nelle cantine Florio, un vino da poveri – il marsala – viene trasformato in un nettare degno della tavola di un re; a Favignana, un metodo rivoluzionario per conservare il tonno – sott’olio e in lattina – ne rilancia il consumo… In tutto ciò, Palermo osserva con stupore l’espansione dei Florio, ma l’orgoglio si stempera nell’invidia e nel disprezzo: quegli uomini di successo rimangono comunque «stranieri», «facchini» il cui «sangue puzza di sudore». Non sa, Palermo, che proprio un bruciante desiderio di riscatto sociale sta alla base dell’ambizione dei Florio e segna nel bene e nel male la loro vita; che gli uomini della famiglia sono individui eccezionali ma anche fragili e – sebbene non lo possano ammettere – hanno bisogno di avere accanto donne altrettanto eccezionali: come Giuseppina, la moglie di Paolo, che sacrifica tutto – compreso l’amore – per la stabilità della famiglia, oppure Giulia, la giovane milanese che entra come un vortice nella vita di Vincenzo e ne diventa il porto sicuro, la roccia inattaccabile. Intrecciando il percorso dell’ascesa commerciale e sociale dei Florio con le loro tumultuose vicende private, sullo sfondo degli anni più inquieti della Storia italiana – dai moti del 1818 allo sbarco di Garibaldi in Sicilia –, Stefania Auci dipana una saga familiare d’incredibile forza, così viva e pulsante da sembrare contemporanea.
Recensione
Ho pensato a lungo a come iniziare questa recensione, allo spunto per dare avvio a un discorso, all’immagine o la parola da cui partire.
Non ho trovato soluzione, perché la frase che continua a suonarmi nella testa è una sola ed è alquanto lapidaria: i Florio mi mancheranno (almeno fino all’uscita del secondo capitolo di questa straordinaria saga familiare).
Da giorni vado ripetendomi “Questo i Florio lo sapevano già”, “Questa sarebbe stata una bella sfida per i Florio” e “Cosa farebbero Paolo, Ignazio e Vincenzo in questa situazione?
Cosa ne direbbe Giulia?”.
Sono diventati un punto di riferimento, una fonte inesauribile di scoperte e curiosità, un rilevante argomento di conversazione (chiedete ai miei interlocutori!), una pietra lavica (per restare in ambito siciliano) di paragone, ma soprattutto uno stimolo a fare, dare, provare e mettersi in gioco con una consapevolezza nuova e antica insieme e altri occhi. Leggere per credere: d’ora in poi guarderò in modo diverso anche una semplice scatoletta di tonno sott’olio.
I leoni di Sicilia di Stefania Auci ci tuffa letteralmente in quasi settant’anni di storia e di storie, nella vita di un paese, una città, un Paese in via di formazione e una famiglia che naviga con una bussola precisa e una mappa ben delineata il mare del destino.
Ma visione e decisione non vanno necessariamente a braccetto con facilità: a capacità imprenditoriali indiscutibili, lungimiranza e quel pizzico di propensione al rischio che i folli, gli artisti, i bambini e i gatti ben conoscono, si contrappongono l’altrui diffidenza, invidia e immobilità. È il verghiano ideale dell’ostrica che si contrappone a una forestiera voglia di rivalsa: i Florio, calabresi d’origine, sono pesci azzurri che guizzano, brillano e necessitano di spazio, creature agili che attraversano le reti e affrontano i flutti e le tempeste.
Bagnara è una madre accogliente, raccolta e senza tempo, Palermo è seduttrice e sedotta, compagna passionale e indomabile: è la meta colorata, variegata e sboccata dei fratelli Paolo e Ignazio, porto vivace e trafficato, terra fertile, ma pur sempre sconosciuta. I Florio, felini fiorenti e spregiudicati quando serve, resteranno sempre dei “facchini bagnaroti”, dotati di patrimonio, proprietà e influenza, ma mancanti di titolo nobiliare. Perché in quel mondo sempre uguale, anche se già profuma di cambiamento, di motori, di vapore, è ancora il sangue blu a fare la differenza, seppure fiaccato dalla staticità, dalla chiusura, dai debiti.
Con modalità differenti – furia, stoicismo, rancore che non si estingue – le generazioni dei Florio convivono con questa “verità” feudale e assurda, senza per questo rinunciare al progresso e alla scommessa, tessendo relazioni, rendendosi indispensabili all’aristocrazia, al popolo, ai rivoluzionari e anche ai re.
In fondo, i nostri eroi si sentono perennemente senza pace e senza casa, troppo avanti per la piccola (e sismica) Bagnara, troppo veri, con voglia di fare, mani callose e volti arsi dal sole e dal sale per la Sicilia dei principeschi palazzi decadenti… Tanto vale creare una casa tutta nuova, la più grande e potente di tutte. Una capacità camaleontica sotto un’unica bandiera: Casa Florio.
E le donne?
Non hanno certo un ruolo marginale, ma rivendicano spazio, voce e tempo con artigli di carattere, ferrea volontà e dolcezza. Se Vincenzo e gli altri sono leoni, le donne Florio – sia quelle nate tali, sia quelle che lo sono diventate attraverso matrimoni burrascosi – sono leonesse: sono loro a dare nutrimento, energia ed equilibrio al branco. A costo di sacrificare se stesse, diventando più dure degli scogli, più aspre del marsala, eterne, resistenti (e pazienti) come le Madonie.
Con uno stile che sa di terra e di onde, di vento, di strade affollate e polverose e di dimore d’oro e maiolica, Stefania Auci dipinge un affresco vivo che fa spalancare gli occhi, vibrare e pulsare il sangue.
Che dire?
Assabinirìca Florio, aspettamu u restu d’u cuntu!
A cura di Francesca Mogavero
Stefania Auci
Stefania Auci, trapanese di nascita e palermitana d’adozione, ha con Palermo un rapporto d’amore intenso e possessivo, che si rispecchia nelle appassionate ricerche da lei condotte per scrivere la storia dei Florio. Con determinazione e slancio, ha setacciato le biblioteche, ma anche le cronache giornalistiche dell’epoca, ha esplorato tutti i possedimenti dei Florio e ha raccolto con puntiglio i fili della Storia che si dipanano tra abiti, canzoni, lettere, bottiglie, gioielli, barche, statue… Il risultato è un racconto che disperde la nebbia del tempo e ridà – finalmente – ai Florio tutta la loro straordinaria, contraddittoria, trascinante vitalità.
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