Recensione di Cristina Bruno
Autore: Sandro Campani
Editore: Einaudi
Genere: narrativa contemporanea
Pagine: 248
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Alcuni uomini custodiscono segreti, altri invece sono fatti della stessa sostanza dei segreti. Sembrano non avere un passato, o averne troppo. Luchino è uno di questi: imprendibile, amato e odiato da chiunque, invidiato e disprezzato, lontano da ogni cosa eppure sempre così presente. Sono i giorni del taglio del bosco, un’occasione che riunisce gli abitanti di una piccola comunità dell’Appennino tosco-emiliano. Ognuno viene a dare una mano, curiosando o bevendo qualche bicchiere in compagnia. Ma non ci sono soltanto i boscaioli e le loro famiglie: le facce note e meno note sono tante. C’è la Betti, proprietaria dell’albergo diffuso, per cui quel taglio è simile a un dolore: il bosco apparteneva al suo Fausto, e da quando lui non c’è più l’edera e i rovi hanno preso il sopravvento. C’è Francesco, il notaio, che sta cercando quel delinquente di suo figlio. Ricomparirà forse anche Luchino; qualcuno in paese sussurra che è tornato, sebbene ancora nessuno l’abbia visto. Del resto Luchino è fatto così: tempo fa se n’è andato là fuori, chissà per quali avventure, e adesso si fa vivo quando più gli aggrada. Ciascuno dei personaggi pretende qualcosa da lui, ciascuno ha un rancore, un rimorso, una ferita, un conto da saldare, un affetto bisognoso di conferme. Tutti resteranno delusi. Perché da Luchino ognuno di loro ha provato a rubare – uno sguardo, una parola, un modo di stare al mondo -, ma nessuno è mai riuscito a diventare come lui. Anzi, chi lo imitava è finito in rovina.
Recensione
Ci troviamo in un piccolo paese dell’Appenino tosco-emiliano, dove la vita scorre sempre uguale, tutti si conoscono e tutti sono al corrente delle vicende di ciascuno.
Come tante voci di un coro i diversi protagonisti raccontano una storia, la stessa storia, narrata secondo il proprio particolare punto di vista. Ascoltiamo Francesco, il notaio e poi suo figlio Antonello, e ancora Oreste, Luisa, Emilia, Beniamino… e poi ci sono protagonisti solo evocati come Daniele o Fausto, morto in un incidente, ma soprattutto il fratello Luchino. È proprio attorno a Luchino che ruotano tutti gli avvenimenti.
C’è chi lo ama e chi lo odia, chi lo considera un mezzo delinquente e chi rimane soggiogato dal suo fascino. Scappa dal paese per poi ritornare e poi andarsene di nuovo lasciando una scia di domande sospese e di rimpianti.
E il bosco?
Il bosco è l’epicentro della narrazione, quello che ha visto nascere e morire storie d’amore, meta di passeggiate e avventure infantili. Un bosco dove si è reso necessario tagliare alcuni alberi per sfoltirlo ed eliminare le piante malate o che rischiano di cadere.
E qui si ritrova buona parte dei protagonisti, ognuno con il suo carico di risentimento e di ricordi, a lavorare in una breve convivenza allo stesso tempo voluta e forzata. Nei loro racconti emergono sempre gli stessi argomenti che li hanno visti coinvolti nel passare degli anni e che in qualche modo sempre hanno qualcosa a che fare con Luchino.
Il clima e il tema del racconto mi ha riportato alla memoria un vecchio libro di Cassola. Tempi diversi, ma identici luoghi, anche ne “Il taglio del bosco” ritroviamo infatti quello stesso Appennino tosco-emiliano e una serie di protagonisti riuniti per lavoro e in fase di bilancio della propria vita. Perché è questo, alla fine il senso del romanzo e di questo parlare sovrapposto e sfalsato dei personaggi che ripercorrono lunghi anni in poche parole e tentano di dare un senso al loro accaduto.
Amori mancati, figli che han deluso i genitori e genitori che han deluso i figli, in un intrecciarsi di vite, tutte diverse e tutte eguali, scandite dal bosco, dal fiume, dai ritmi di un mondo così lontano dalla città.
Ognuno offre la propria versione del passato, personale e parziale e solo mettendo assieme tutte le tessere possiamo ricomporre il mosaico di quel microcosmo, specchio del macrocosmo frammentato dell’intera società.
Il carico di domande che si affastellano l’una sull’altra, i perché senza risposta sul comportamento di amici e parenti, sulle occasioni perdute e quelle mancate, su una giovinezza che non tornerà e che forse è andata sprecata, consumata in fretta come una sigaretta.
Tra birre e chinotti, sentieri e bravate il bosco resta lì, come segnatempo immutabile di un’esistenza effimera come spettatore silenzioso di mille stagioni.
A cura di Cristina Bruno
Sandro Campani
Sandro Campani: vive e lavora in un paese dell’Appennino tosco-emiliano, dove è nato nel 1974. Ha pubblicato È dolcissimo non appartenerti piú (Playground 2005), Nel paese del Magnano (Italic Pequod 2010) e La terra nera (Rizzoli 2013). Per Einaudi ha pubblicato Il giro del miele (2017) e I passi nel bosco (2020).
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