I ragazzi di sessant’anni




I RAGAZZI DI SESSANT’ANNI

di Romolo Bugaro

Einaudi 2023

narrativa, pag.144

Sinossi. I ragazzi di sessant’anni sono i protagonisti, anzi il protagonista di questo romanzo, dato che nel libro «I ragazzi di sessant’anni» è un nome proprio, quello del marito di Stefania: un plurale singolare di grande potenza simbolica. I ragazzi di sessant’anni hanno una moglie, due figli, un buon lavoro e sempre meno amici. Hanno vecchi, inquieti amori che non smettono di parlargli in testa. Vestono marchi per giovani, si tengono in forma con una palestrina casalinga e litigano con i ragazzi di ottant’anni, che non mollano e «scartavetrano e martellano e raschiano e grattano e scrostano e trapanano e stuccano». Piú che la morte, temono, forse, i ragazzi di quattordici anni e la loro pazza elettricità. Intorno la città è cambiata, il mondo è cambiato, ma i ragazzi di sessant’anni continuano a essere ostinatamente se stessi. Non sono né depressi né inossidabili: sorridono. Hanno desideri, e paure. E un vicino di casa insopportabile che un po’ li intenerisce un po’ li infiamma. Insieme alla loro, seguiamo le vite di altri: ragazzine che vagano nella notte rischiando di perdersi per sempre, donne che sembrano destinate al fallimento e invece si rivelano grandi imprenditrici, notai che hanno compiuto un passo falso – tutti vicini e lontanissimi nella luce radente del tempo.

 Recensione di Sara Zanferrari

I ragazzi di sessant’anni: plurale singolare. È lui, il protagonista, l’autore, che parla. In prima persona ma plurale. Un plurale ironico, divertente, anche se, almeno per me, al tempo stesso spaesante:

ma di chi starà parlando?”

mi sono chiesta spesso leggendo.

“Ah sì, di sé stesso”.

Tuttavia, questo spaesamento ha un suo perché, non foss’altro per la sua funzione iconica: siamo tutti ragazzi di sessant’anni. In verità io ne ho (pochi) di meno, ma mi ritrovo pressoché in ogni riga, descrizione, definizione. Le nostre vite, di gente nata negli anni ’60 o giù di lì, che ha vissuto gli anni di piombo, il boom economico, e poi a seguire tutto il resto.

E poi la mia città. Fra le pagine e l’ironia, ritrovo Padova, la sua e la mia Padova, la città degli spritz, delle vie del centro, di Prato della Valle e di Piazza Garibaldi, di Abano e dei colli, del notaio, degli avvocati, degli anni 80, di oggi, dello scooter, del tempo che pensiamo non debba finire mai. Noi non ci ammaliamo, noi siamo eterni, invincibili, le cose succedono sempre agli altri. O forse no.

Chi sono, chi siamo, chi siamo stati. A sessant’anni conta tutto e niente, il tempo trascorre con una sua lentezza e sicurezza ormai nota. Forse. 

C’è di che riflettere, sulla vita, sui desideri e le aspettative che abbiamo avuto, sul tempo che passa, ché ne abbiamo di più dietro di noi che davanti (anche se non vorremmo). 

E questa latente immortalità che ci ha pervaso in questi ultimi decenni del ‘900, e che sta invece cominciando a sgretolarsi ultimamente, a partire dalla pandemia, ça va sans dire. 

“Vorrebbero dirgli: Senti, Giorgio, io non posso ammalarmi né morire perché sono troppo dentro me stesso, magari gli altri sisì,ossono ammalarsi e morire, ma io no.”

Ma soprattutto si sgretola con i primi dolorini che non vanno via, i controlli da fare, la pelle che si raggrinzisce senza pietà, e gli anni che continuano a passare mentre paiamo non accorgercene, facendo più o meno sempre le stesse cose, con una certa qual ostinazione.

I ragazzi di sessant’anni vivono, lavorano, parlano, escono, bevono, guardano con un certo distacco (e superiorità) le altre generazioni, i più giovani e i più vecchi, li prendono un po’ in giro, ne prendono le distanze, come a dire “noi non siamo così, non siamo stati così, non saremo così”, ben sapendo che siamo tutti figli dello stesso universo.

Ma è tenera questa ostinazione che li caratterizza, quasi da adolescenti, mentre cercano di leggere senza mettere gli occhiali o vanno in scooter in pieno inverno, cercando di non farsi prendere da rimpianti (per il passato) e paure (per il futuro). 

Perché il rimpianto c’è e un po’ si sente, e la paura degli 80 anni che incombono anche, ma loro non si faranno sconfiggere, perché l’ironia li (ci) salverà.

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Romolo Bugaro


(classe 1961), avvocato, vive e lavora a Padova. Esordisce nel 1987 sull’antologia di racconti Belli & perversi, curata da Pier Vittorio Tondelli per il progetto “Under 25”, con Studiando i codici e Select. Pubblica nel 1993 una raccolta di racconti, Indianapolis. Nel 1998 esce il suo primo romanzo, La buona e brava gente della nazione, finalista del Premio Campiello nello stesso anno. Nel 2000 passa con la casa editrice Rizzoli e pubblica i romanzi Il venditore di libri usati di fantascienza (2000), Dalla parte del fuoco (2003), che ottiene il Premio Bergamo e Il labirinto delle passioni perdute (2006). Con quest’ultima opera viene selezionato per la seconda volta tra i finalisti del premio Campiello, nel 2007. Nel 2010 pubblica Ragazze del nordest con Marco Franzoso per Marsilio Editori e Bea vita! Crudo Nordest per Laterza. Nel 2015 con Einaudi pubblica Effetto Domino.

A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress