Il bambino che disegnava…




Il bambino che disegnava le ombre


Recensione di Loredana Cescutti


Autore: Oriana Ramunno

Editore: Rizzoli

Genere: Giallo storico

Pagine: 384 p., R

Anno di pubblicazione: 2021

 

 

 

 

 

Sinossi. Quando Hugo Fischer arriva ad Auschwitz è il 23 dicembre del 1943, nevica e il Blocco 10 appare più spettrale del solito. Lui è l’investigatore di punta della Kriminalpolizei e nasconde un segreto che lo rende dipendente dalla morfina. È stato chiamato nel campo per scoprire chi ha assassinato Sigismud Braun, un pediatra che lavorava a stretto contatto con Josef Mengele durante i suoi esperimenti con i gemelli, ma non ha idea di quello che sta per affrontare. A Berlino infatti si sa ben poco di quello che succede nei campi di concentramento e lui non è pronto a fare i conti con gli orrori che vengono perpetrati oltre il filo spinato. Dalla soluzione del caso dipende la sua carriera, forse anche la sua vita, e Fischer si ritroverà a vedersela con militari e medici nazisti, un’umanità crudele e deviata, ma anche con alcuni prigionieri che continuano a resistere. Tra loro c’è Gioele, un bambino ebreo dagli occhi così particolari da avere attirato l’attenzione di Mengele. È stato lui a trovare il cadavere del dottor Braun e a tratteggiare la scena del delitto grazie alle sue sorprendenti abilità nel disegno. Mentre tutto intorno diventa, ogni giorno di più, una discesa finale agli inferi, tra Gioele e Hugo Fischer nascerà una strana amicizia, un affetto insolito in quel luogo dell’orrore, e proprio per questo ancora più prezioso.

Ad Auschwitz c’era la neve

Il fumo saliva lento

Nel freddo giorno d’inverno

E adesso sono nel vento

Adesso sono nel vento

Ad Auschwitz tante persone

Ma un solo grande silenzio

È strano non riesco ancora

A sorridere qui nel vento

A sorridere qui nel vento…”

(Canzone del bambino nel vento – Francesco Guccini)

Recensione

“… si sedette davanti a lui a gambe incrociate, si leccò le labbra e poggiò sulle ginocchia il blocco da disegno. Anche se gli sembrava di buttare giù fuoco ogni volta che provava a deglutire, e a dispetto delle mani che tremavano, si mise a disegnare. Non poteva esistere un disegno più bello di quello di Herr Doktor Braun morto…”

L’inizio di questo romanzo appare un giallo storico come tanti, attrae perché c’è un bambino come protagonista, affascina perché c’è un profiler ombroso e misterioso ma, fosse solo per questo, potremmo dire che di libri così ne sono stati pubblicati tanti. Ed infatti, i motivi che mi hanno spinta a leggerlo non sono propriamente questi. O almeno, non solo.

Ho scelto questo libro, sì, perché la trama mi attirava.

Ho scelto questo libro perché mi pace collocare temporalmente storie e atmosfere.

Ma soprattutto, ho scelto questo libro perché nella sua durezza, sono consapevole che, talvolta, sia salvifico anche il non dimenticare.

Di rimando, il libro ha scelto me come testimone di un momento, di un luogo, di esseri umani che non possono più raccontarlo, ma che hanno il sacrosanto diritto di essere ricordati.

L’inizio è un violento stillicidio al cuore e, nel rincorrersi di queste pagine le cose non andranno migliorando perché qui, ci troviamo “nell’Anus Mundi”, ovvero il posto più osceno della terra.

Immaginatevi di ritrovarvi il 23 dicembre del 1943, periodo di preparativi natalizi, di voglia di amore e di bisogno di certezze, direttamente spediti all’inferno, nel campo di concentramento diAuschwitz, perché questo sarà ciò che accadrà a Hugo Fischer e la sua vita, già complicata prima, da ora, non potrà di sicuro, essere più la stessa.

Negli ultimi tre anni, da quando collaborava con la Kriminalpolizei, aveva visto di tutto: corpi mutilati, donne stuprate e uccise, uomini strangolati… non era incline alle emozioni facili…Eppure, sentiva che stava per assistere a qualcosa per cui non era pronto.”

Investigatore di punta, ma anche l’antitesi dell’ariano perfetto. Fisicamente l’esempio di militare tedesco del Reich: alto, occhi grigi e freddi, lineamenti regolari, espressione gelida, all’occorrenza. Dentro, però, una vertigine continua, per il suo segreto inconfessabile e ora, per il luogo in cui sarà costretto ad operare.

“E’ proprio bizzarro, non trova?

Cosa?

Che un uomo sia punito ad Auschwitz per aver commesso un omicidio.”

Chapeaux a Ramunno per come ha descritto ogni cosa con un trasporto delicato e brutale assieme. Di fatto, tolto Fischer (e magari qualcuno come lui non è escluso che sia esistito veramente) ciò che si racconta, è la verità.

La nebbiolina e la cenere che avvolge ogni cosa, che si posa su ogni cosa, che investe ogni cosa, che cerca di coprire ogni cosa.

Un cadavere è come la neve: a volte sembra che sopra sia tutto a posto, perfetto e candido. Invece, è sotto che si nascondono le cose più torbide.”

I forni, le pire, gli esperimenti, l’annullamento e l’annientamento psicologico e fisico degli “ospiti”, la pseudo normalità di una fabbrica di morte che fa crollare ogni speranza e ogni certezza sul prossimo.

Ma, dal buio del fuoco e dalla cenere, due occhi pieni di speranza, ricchi di aspettative, che trasmettono gioia e che ancora si permettono di sognare, quelli di Gioele, arrivato al campo assieme al suo fratello gemello Gabriele e ai suoi genitori, da Bologna.

Intelligente, ma pur sempre un bambino, ancora inconsapevole, di ciò a cui andrà incontro.

E così l’uomo, assieme al bambino, come Sherlock e Watson, cercheranno di arrivare a capo di questo omicidio in un modo tutto loro, e dando vita ad un legame più forte di ciò che dovrebbe essere.

Oriana Ramunno è riuscita a raccontare la follia più inspiegabile della storia, pur mantenendo, però, un’umanità che va a perforare le pagine di questo suo romanzo giallo, bello ma estremamente potente e straziante.

Un libro che trasmette impotenza per ciò che è stato e affronta il tema del compromesso, che fa male ma che appare, come l’unica opzione possibile.

Una scrittura, che però cerca anche di accarezzarti con dolcezza, nonostante il luogo in cui il libro è stato collocato e, prova a congedarsi da te, trasmettendoti un barlume, seppur flebile, di speranza nei confronti di un futuro, ancora estremamente incerto.

Non lo nego, è un libro che ti si attacca come la cenere sui vestiti, non riesci a lasciarlo subito, avverti il pianto, le grida d’aiuto, l’attesa della morte, la rassegnazione e anche e soprattutto, l’indicibile freddezza, la più totale assenza di empatia e pur sapendo che è tutto vero, che è accaduto, non riesci, ancora oggi, a capacitartene.

È un romanzo che ti apre una voragine nel cuore ma forse, l’intento dell’autrice era proprio questo, non far calare il sipario per riportare, ancora una volta, all’attenzione questo pezzo di storia.

Io chiedo come può un uomo

Uccidere un suo fratello

Eppure siamo a milioni

In polvere qui nel vento

In polvere qui nel vento

Io chiedo quando sarà

Che l’uomo potrà imparare

A vivere senza ammazzare

E il vento si poserà

E il vento si poserà

(Canzone del bambino nel vento – Francesco Guccini)

Buona lettura!

L’autrice

 

 

 

Oriana Ramunno


Oriana Ramunno: è nata a Rionero in Vulture ma vive a Berlino. Questo è il suo primo romanzo, che verrà pubblicato anche da HarperCollins UK.

 

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