Un’indagine di Arthur Jelling
Recensione di Marina Morassut
Autore: Giorgio Scerbanenco
Editore: La Nave di Teseo
Genere: Narrativa gialla
Pagine: 216
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Deve essere difficile per il vero colpevole sfuggire alle vostre investigazioni. Può non aver lasciato alcuna traccia materiale, ma voi cercate invece quelle morali e finite per trovarlo.” La frenata improvvisa di un treno. Uno sparo dal nulla. Un cadavere che chiede giustizia. La versione di Scerbanenco della più classica delle situazioni del mistero è un giallo dall’esito imprevedibile che esalta il talento psicologico dell’archivista della polizia di Boston Arthur Jelling. Chi ha sparato? I passeggeri del treno appartengono al mondo dell’editoria: sono giornalisti, scrittori, critici letterari, in competizione l’uno con l’altro e ora si ritrovano tutti sospettati e testimoni al tempo stesso.
Recensione
Quinto romanzo (1942) con protagonista il timido ispettore Arthur Jelling, è il classico caso di un delitto che avviene su un treno, contesto in cui qualsiasi scrittore di gialli, noir o polizieschi, prima o poi deciderà di cimentarsi. Siamo nell’East Coast statunitense ed un gruppo di colleghi, diventati per forza di cose anche “amici”, vista l’assidua frequentazione, sta rientrando a Boston dopo un weekend trascorso come ospiti nella villa di tale Marino Grant, uno degli direttori del quotidiano “Nuova Stampa”.
Questo gruppo, che diventerà al contempo testimone e sospettato di un omicidio, è composto dal poeta Aroldo Banner, la vittima, dal redattore della pagina letteraria del quotidiano Nuova Stampa, Dady Dadies (che si porta sempre dietro il bellissimo cane lupo Ciannel), dall’Editore Tom Fharanda, dal poco prolifico scrittore Carlo Svedensson ed infine dalla scrittrice Fiorella Garrett.
L’arresto improvviso del treno a nemmeno mezz’ora dalla partenza, proprio di fronte all’altura dove sorge la villa di Marino Grant – causata del freno d’emergenza manovrato in uno scompartimento vuoto da qualcuno – ed all’improvviso dalla boscaglia di fronte al treno, il rumore come di due strani scoppi, come se qualcuno avesse sturato un paio di bottiglie di spumante e il poeta Aroldo Banner si accascia all’indietro, morendo tra le braccia dei suoi compagni.
Nessuno sembra aver tirato il freno di emergenza. Il treno viene fatto proseguire fino alla successiva cittadina, senza che nessuno dei passeggeri possa, naturalmente, scendere.
Il capitano Merulay della Polizia di Corsey, uomo d’azione, piuttosto brusco, manesco e spiccio nei modi, decide di trattenere in arresto il gruppetto, nonostante le proteste e la levatura sociale di alcuni dei personaggi. In serata invia il suo rapporto alla Polizia di Boston, che decide di inviare il timido ed impacciato Ispettore Arthur Jelling sul posto, per iniziare ad indagare.
Le prove contro il direttore Marino Grant sono tante: possibilità, orario, movente. E purtroppo anche le pallottole del fucile sono le stesse che hanno colpito il povero poeta. Ma… non saranno proprio tante le prove che lo incastrano…? E del resto, se non lui che stava proprio andando a caccia nello stesso orario in cui il treno si fermava di fronte alla boscaglia vicino alla sua villa… chi?
Ottimo giallo, costruito con una perizia di particolari che si incastrano alla perfezione e che danno vita a più d’un sorprendente capovolgimento di situazioni tra persone colpevoli, persone innocenti, malavitosi che si inseriscono nel racconto in modo lineare, divenendo poi uno dei più bei camei di cattivoni designati dalla sorte ma profondamente innocenti nella loro vita balorda.
Uno spaccato di una metropoli, di un corpo di Polizia e di malavitosi balordi che non ha nulla da invidiare ai romanzi hard-boiled più famosi, con l’aggiunta di un protagonista fuori dagli schemi, forse anche uno tra i più sottovalutati ispettori dei gialli del secolo scorso, nonostante la sua levatura morale e la bravura investigativa, risultato di deduzione e attenzione ai particolari, oltre ad una propensione a trovarsi in Polizia per caso e a dover gestire situazioni delittuose scabrose quasi suo malgrado.
Un carattere insicuro, gentile, rispettoso; una persona però brillante che desidera conoscere le persone coinvolte nei drammi in cui si trova coinvolto e da questa conoscenza, unitamente allo studio dell’omicidio e di come si è svolto lo stesso, le intuizioni brillanti che lo portano alla risoluzione dei casi.
In questo romanzo ante-guerra, scritto nel 1942, ci sono in nuce i primi germogli che porteranno il prolifico Scerbanenco a creare un altro grande dei romanzi gialli, Duca Lamberti (degli anni Sessanta), e a parlarci della mala (di Boston), che qui è già accennata con “descrittività” magistrale grazie al personaggio di Francesco Haller, chiamato Fancio il Breve, che dà il là a Scerbanenco/Jelling di evidenziare la levatura morale del poliziotto, tanto da tentare di salvare il piccolo ma violento delinquente da un destino che il fato gli ha porto come unica possibilità di vita, rendendolo così innocente per una scelta non decisa ma obbligata e contestualizzata dalla sorte che Scerbanenco gli regala a fine romanzo.
A cura di Marina Morassut
Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco, nato Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko; Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969), è stato uno scrittore, giornalista e saggista italiano di origine ucraina.Nato a Kiev, nell’allora Russia imperiale, da padre ucraino, che era venuto in Italia per studi, e madre italiana, Scerbanenco all’età di sei mesi si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano al seguito della madre. Il padre, professore di latino e greco, fu ucciso durante la rivoluzione russa, la madre morì pochi anni più tardi. Fu costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi e non completò nemmeno le elementari. La scrittura fu da subito una passione. Scerbanenco praticò molti mestieri prima di arrivare al mondo dell’editoria. Dopo un periodo alla Rizzoli come redattore, nel 1937 assunse l’incarico di caporedattore dei periodici Mondadori, incarico che mantenne fino al 1939. Su Grazia teneva la rubrica della “posta del cuore” con lo pseudonimo di Luciano. Per Mondadori pubblicò anche la serie di romanzi di Arthur Jelling. In questo periodo collaborò anche con importanti quotidiani. Nel settembre 1943 fuggì in Svizzera, insieme a buona parte della redazione del Corriere della Sera, dove rimase fino alla fine della guerra.Tornato in Italia, Scerbanenco rientrò alla Rizzoli come direttore del periodico letterario femminile “Novella”, su cui curò una rubrica di “posta del cuore”. Sempre per Rizzoli fondò la rivista Bella, su cui teneva la rubrica “La posta di Valentino”. Ma la rubrica più famosa fu quella per Annabella, intitolata “La posta di Adrian”. Leggendo la posta diretta a tutte queste rubriche, in cui le lettrici raccontavano i propri casi personali e spesso difficili, Scerbanenco venne a contatto con le angosce e le rabbie della gente comune. Questa esperienza di storie vissute e dolorose ha avuto una importanza decisiva nella maturazione dello stile noir di Scerbanenco, particolarmente crudo e amaro.Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Lignano Sabbiadoro (UD), dove scrisse e ambientò alcuni romanzi (La sabbia non ricorda, Al mare con la ragazza) e moltissimi racconti. La figlia Cecilia ha donato alla biblioteca comunale della città friulana l’archivio dello scrittore. Morì nell’ottobre del 1969, all’apice del suo successo, in seguito ad un arresto cardiaco. Nel 2018 viene pubblicato L’isola degli idealisti, per l’editore La nave di Teseo, scritto in gioventù e conservato per cinquant’anni dalla moglie Teresa Bandini. Alla sua memoria è dedicato il più importante premio italiano per la letteratura poliziesca e noir: il premio Scerbanenco.
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