Recensione di Marina Morassut
Autore: Marino Magliani
Editore: L’Orma
Genere: narrativa
Pagine: pagg. 296
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Estate 1800. Tre soldati napoleonici stanchi della guerra. Alle loro spalle la campagna d’Egitto e i suoi inferni, leniti appena dalla scoperta di una nuova, dolce droga: l’hascisc. Travolti dalla baraonda di Marengo – «la battaglia che alle cinque era persa e alle sette era vinta» –, disertano e si danno alla macchia. Sulle tracce dei tre si mettono gli emissari del dottor Zomer, un medico olandese che ha orchestrato un singolare «esperimento sanitario» per indagare gli effetti della nuova sostanza. Smarriti in un paesaggio ligure che pullula di spie e uniformi ormai tutte indistintamente nemiche, Lemoine, Dumont e Urruti – un capitano erudito, un tenente sognatore e un rude soldato basco – incontrano sulla propria strada amori difficili, illusioni perdute e la gioia del sole. Scopriranno così la libertà di scrollarsi di dosso la Storia per inseguire una vita fatta di attimi e di scelte. Forte di una prosa di precisa bellezza, Marino Magliani dirige una narrazione mossa e visionaria, alternando la velocità della grande avventura all’ampio respiro della pittura di paesaggio.
Recensione
Uno dei motivi per cui un libro viene a noi lettori è anche il titolo, o meglio, la scelta delle parole che lo compongono, che curiosamente nella carriera letteraria dello scrittore Marino Magliani è sempre un primo punto focale
Anche la motivazione con la quale il drammaturgo, poeta e critico letterario Giuseppe Conte l’ha proposto per il Premio Strega 2022 è senza dubbio particolare:
“Il romanzo di Magliani si configura come romanzo storico, narra infatti le vicende di tre disertori dell’armata napoleonica durante la campagna d’Egitto e il loro avventuroso ritorno in patria, con attenzione ai personaggi e alle vicende che si svolgono su diversi piani e con diversi linguaggi narrativi. Ma è anche un romanzo di paesaggi, e in particolare quelli liguri sono descritti magistralmente con un linguaggio che conserva echi boiniani e biamontiani, di grande suggestione. “
Il titolo in primis e la lettura a seguire fanno sicuramente de “Il cannocchiale del Tenete Dumont” un romanzo storico anomalo, come ha affermato del resto lo stesso Magliani, che ad inizio libro si perita di specificare che quella che va a seguire è “la cronaca di una diserzione. Ha inizio in Africa nel 1799 e termina alla fine del 1800, in Liguria”.
In definitiva un solo anno di vita quindi, che in Francia è stato molto determinante e che a distanza, partendo dall’Africa del 1799, ci farà seguire colui che è la voce narrante di questa cronaca in divenire, di questa avventura che non può avere via di sbocco, e che altri non è se uno dei tre fuggiaschi, il tenente Gerard Henri Dumont, disertore.
Ed oltre a lui, insieme a Lemoine, un capitano, e a Urruti, un soldato mezzo basco, intensissimo co-protagonista sarà il Dottor Zomer. Per mezzo delle sue lettere, dispacci, osservazioni e considerazioni, aiutato in questo dalla spia Pangloss, ci permetterà di seguire questi tre disertori, che si preparano ad attraversare i vari Regni che all’epoca governano l’Italia del nord, in un anno di fine secolo che li traghetta nel 1.800.
Va ricordato che la Repubblica Ligure, in taluni documenti citata come Repubblica democratica ligure, è il nome che ha connotato lo Stato ligure tra il 1797 e il 1805 durante il periodo napoleonico, comprendente il territorio della ex Repubblica di Genova, vale a dire la Liguria, l’Isola di Capraia, e la regione dell’Oltregiogo. Fu una delle cosiddette repubbliche sorelle o repubbliche giacobine (Wikipedia)
“Perché disertore non significa mica sbandato, uno sbanda e bene o male si risolve, ma disertare è qualcosa che non finisce, diventa una missione, una carriera. Un grado. A uno dovrebbero scriverlo sulla pietra. Gerard Henri Dumont. Disertore”.
Perché la diserzione non è un’idea cosciente che nasce e sedimenta fino alla decisione che viene unanimemente ritenuta ignobile. No, è piuttosto una tenda nera che all’improvviso cala davanti agli occhi del soldato, qualunque grado egli ricopra, e che ha visto orrori inenarrabili e che ad un certo punto dice inconsciamente “basta!”, si volta e se ne va.
Ma se superficialmente si ritiene vile il disertore che volta la schiena ad una guerra e di conseguenza ad uno schieramento, allora non resta che leggere il romanzo di Magliani, che insieme alle tribolazioni, all’ignoranza e alla miseria, ci racconta un’avventura, quella di tre uomini che dovranno guardarsi dai propri commilitoni, dai soldati di altri schieramenti, dalla popolazione e, in questo racconto, anche da chi li insegue perché mero esperimento medico scientifico collegato all’uso dell’hascisc.
Per inciso, quanti libri e film ci hanno fatto leggere e vedere questi uomini “vili” talvolta come traditori della patria, talvolta come vittime innocenti e molte volte giovanissime, in una guerra che invariabilmente presenta un conto sempre troppo alto di vittime.
Magliano in questo romanzo fa di più: né vittime, né vincitori, né traditori: “solo” tre uomini che disertando iniziano un’avventura epica e drammatica insieme, in un periodo difficile sotto tutti i punti di vista, presentandoceli appunto come uomini, senza falsi pietismi o sdolcinature.
Un’avventura, dicevamo, che dall’Egitto li riporta in Europa, inizialmente ancora facenti parte dell’esercito francese, ma non sapendo nemmeno se le nazioni che toccano nel rientro per mare, ad esempio la Corsica, siano ancora francesi o facenti parte di un altro Regno.
Via via che gli eventi entrano nel vivo, scopriamo che la fortuna di questi tre militari fuggiaschi, almeno per una certa parte della vicenda stessa, è che sono sotto la lente di ingrandimento di un esperimento di natura medica, che ha voluto fortemente il Dottor Zomer, che li ha fatti pedinare ancora quando i tre militari eranodi stanza in Egitto, perché interessato dal punto di vista medico e sociologico ai primi consumatori regolari di hascisc, prima che questa droga venisse definitivamente importata in Europa.
In questo romanzo storico e d’avventura così anomalo, ci saranno malattie infettive, incontri e scontri, fughe e sempre la tenace paura di essere presi e passati sotto le armi. E l’onnipresente ombra della morte, che si presenterà sotto la veste di quanto citato poc’anzi, ma anche della costante mancanza di cibo e della ostinata presenza in tutti i territori di soldati, sbandati, banditi e contadini, pronti a proteggere con la vita il poco che viene loro continuamente depredato.
E in tutto questo vagare per raggiungere Porto Maurizio per varcare il confine che li porterà in qualche lontano luogo esotico dove non saranno più dei disertori ma dei semplici uomini, regna incontrastata la natura e soprattutto il territorio ligure, di cui Magliani è fine conoscitore e cantore meraviglioso.
Una sorta di cantico della terra ligure, che potrebbe essere a ben vedere l’amore per la propria terra in qualunque parte d’Italia essa si trovi, un così detto on-the–road in cui a fare da contraltare alla natura e al territorio così magicamente descritti ed innervati nel romanzo stesso, troveremo quattro uomini di credo, indole, esperienza e personalità diverse, di cui alcune inaspettatamente epiche, con un epilogo che rende questo romanzo, quest’avventura circoscritta ad un solo anno di vita, un’elegia di tono meditativo e infine di compianto in senso lato per l’essere umano che trascende il vile tempo e la “piccineria” della vita fini a sé stessi.
INCISO STORICO – da Wikipedia:
Nel novembre 1799 la Francia soffriva dei rovesci militari subiti dalle spedizioni in Medio Oriente (Campagna d’Egitto). Il pericolo di un’invasione da parte della Seconda coalizione aveva provocato un certo fermento in Patria, mentre Napoleone era bloccato in Egitto.Originariamente il colpo di Stato non fu concepito da Napoleone tuttavia, dal momento del suo ritorno, egliprogettò di agire a proprio esclusivo vantaggio, in definitiva guadagnando il potere per sé. Forse i maggiori ostacoli potenziali erano dati dall’esercito: alcuni generali erano onestamente devoti alla Repubblica; altri invece si credevano capaci di governare la Francia in prima persona. Con estrema sottigliezza, Napoleone seppe avvantaggiarsi dei sentimenti di ognuno, mantenendo segrete le proprie vere intenzioni. Il piano prevedeva di costringere il Direttorio alle dimissioni e abrogare la Costituzione dell’anno III, quindi di far sì che il Consiglio degli Anziani e il Consiglio dei Cinquecento, le assemblee legislative, incaricassero un’apposita commissione di disegnare una nuova Costituzione secondo le indicazioni dei congiurati. Un fornitore dell’esercito anticipò due milioni di franchi per finanziare il progetto. Truppe furono dispiegate opportunamente intorno a Parigi.Sieyès, mente del tutto, utilizzò la facoltà concessa dalla Costituzione al Consiglio degli Anziani di designare il luogo di riunione delle assemblee legislative e, con il pretesto di una sollevazione popolare, esse si trasferirono a Saint-Cloud, lontano dalla protezione della popolazione parigina. Bonaparte assicurò il sostegno delle truppe di stanza nella capitale. Alla fine, Sieyès, Ducos e Barras diedero le dimissioni, e i due altri membri del Direttorio, Moulin e Gohier, furono messi sotto sorveglianza.Il Consolato era nato: un regime autoritario diretto da tre consoli, di cui solo il Primo, Napoleone, deteneva realmente il potere; la Francia entrava in una nuova fase della sua storia.
INTERVISTA
Buongiorno Sig. Magliani
Ci sembra di capire che i suoi romanzi abbiano tutti una forte connotazione territoriale, pur avendo un respiro internazionale: pensiamo a questo suo romanzo candidato al Premio Strega e che fa partire la vicenda dall’Africa per arrivare in Italia tra basso Piemonte e la sua Liguria, ma anche a “Quattro giorni per non morire” del 2006 e ambientato tra il Sud America e la Liguria, “Il collezionista di tempo” che narra dell’esilio di uno scrittore nei Paesi Bassi (del 2007)… E ancora “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi”
Il paesaggio dunque, inteso però come territorio, come Paese di appartenenza, è esso stesso protagonista indiscusso, insieme agli attori umani.
Ci chiedevamo quindi quanta importanza riveste per Lei il territorio, il proprio Paese, per farne la trama delle sue opere.
Il mio Paese no, anzi, secondo me ci gioca un po’ del mio sentirmi un disertore, ma il territorio sì, soprattutto il paesaggio, non intendo un panorama, una cartolina, ma una specie di io dentro quel paesaggio.
E tra il tema dell’esilio di alcuni suoi libri e la diserzione dei tre militari ne “Il cannocchiale del tenete Dumont” ci possono essere similitudini? E’ comunque un viaggio continuo, con la malinconia nell’anima e una meta che fatica a farsi chiara e che pare sempre irraggiungibile?
Credo sia legato a una sequenzialità, prima del sentirmi disertore mi sentivo esule, o forse non accettavo l’estremità della condizione di disertore. Quanto alla meta credo di no, è ben chiara, confuso e frammentario, malinconico si fa il percorso.
Non possiamo poi scordarci o tralasciare di parlare dell’elemento liquido, inteso come mare che bagna sia la Liguria che l’Olanda e che è il miraggio desiato dai tre protagonisti della diserzione, elemento tanto cercato, di cui si sa per certo dell’esistenza, ma che sembra non essere mai visibile. Cosa rappresenta, la fine del viaggio? La meta agognata che permette la visione di un futuro che diventa una certezza di vita? E per Lei che significato riveste?
Considerato che sembrerebbe aver lasciato un Paese bagnato dal mare, per sceglierne un altro del tutto similare da questo punto di vista.
Secondo me i disertori vedono il Mare Ligure come un contraltare, un continuo riferimento da tenere là, come una notizia, una possibilità.
E ora, dopo averli chiamati in causa, vuole parlarci dei tre protagonisti? il capitano Lemoine, il tenente Dumont e il soldato Urruti?
Il capitano Lemoine è un militare senza passione, colto, avventuriero, con un mistero che lo lega a Porto Maurizio, è malato e cerca di raggiungere una donna o forse i misteri e i segreti che si porta dietro sono ancora altri? Urruti è poveraccio, una vittima della guerra e un carnefice, con la missione di obbedire al capitano. Dumont è il vero protagonista, sognatore e artista.
Tre origini e infanzie diverse, tre destini uniti casualmente e che però ad un certo punto prendono strade necessariamente diverse. Per Lei sono sinonimo di qualcosa di personale, oppure li ha creati per un mero scopo narrativo?
Sono, nel mio immaginario, diventati cosa piano piano. Lentamente hanno definito i loro caratteri e il loro destino.
In generale c’è sempre qualcosa di autobiografico nei suoi romanzi, oppure sono temi universali e quindi trame che partono dal Suo vissuto ma che poi si sviluppano indipendentemente dalle Sue esperienze?
Sì, in definitiva racconto me stesso anche se scrivo un romanzo storico ambientato nell’ottocento.
E forse, fra tutti, il medico Johan Cornelius Zomer, di origini fiamminghe, che sembrerebbe essere il burattinaio che muove i fili delle spie e che, di più, in un paio di occasioni spia da vicino egli stesso i tre militari, è il personaggio più misterioso e commovente, soprattutto via via che la vicenda prosegue. Ci può parlare di questa figura e raccontarci cosa rappresenta per Lei e cosa dovrebbe/potrebbe significare per il lettore?
Sono d’accordo, Zomer è un burattinaio, da lui ci si attende la gestione dei destini, ha un desiderio, procurarsi una gloria, ad ogni costo, elemento che potrebbe renderlo odioso, ma non è così, non credo almeno: Zomer ci appare così umano e moderno.
A cura di Marina Morassut
Marino Magliani
Marino Magliani (Dolcedo, 30 luglio 1960) è uno scrittore e traduttore italiano. Vive sulla costa olandese. Tra le sue prime opere pubblicate: Quattro giorni per non morire (Sironi, 2006); Il collezionista di tempo (Sironi 2007). In seguito, ha pubblicato per l’editore Longanesi Quella notte a Dolcedo (2008) e La tana degli Alberibelli (2009). Nel 2011 esce per Instar Libri il romanzo La spiaggia dei cani romantici.E ancora: L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exòrma 2017) e Prima che te lo dicano altri (Chiarelettere 2018). Al romanzo Il cannocchiale del tenente Dumont ha lavorato per vent’anni.
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