Recensione di Chiara Forlani
Autore: Oek De Jong
Traduzione: Antonio De Sortis
Editore: Neri Pozza Edizioni
Genere: Narrativa contemporanea
Pagine: 512
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. Allo Stedelijk Museum di Amsterdam apre i battenti una grande retrospettiva del pittore Maris Coppoolse annunciata da settimane di intensa campagna pubblicitaria. Cinquantanove anni, l’accento che ne tradisce le origini zelandesi e la figura imponente, Maris espone in ben quindici sale il lavoro di mezza vita. In poco tempo accorre una gran folla e, di lì a poco, il pittore stesso con una troupe televisiva al seguito. Impossibile sottrarsi al rituale che vuole l’artista immortalato dinanzi ai quadri più importanti. Al cospetto di Drowning, un dipinto molto grande di un vivido blu, da cui spunta la figura di una giovane donna avvolta in una corda, Maris esita. Palesemente a disagio, si passa una mano sulla bocca, china il capo. Madido di sudore, si affretta a illustrare l’origine e la composizione del dipinto. Poi, mentre si sposta tamponandosi il viso con un fazzoletto, riconosce tra i presenti il giornalista di una nota rivista che sta scrivendo un articolo su di lui. Vede che lo sta osservando e si sbriga a distogliere lo sguardo. Qualche giorno dopo la rivista è in tutte le edicole. In copertina c’è Maris, ritratto nel suo atelier, con la camicia imbrattata di colore, e di traverso le seguenti parole: Maris Coppoolse: A vita. Non c’è bisogno di fare congetture sul contenuto del pezzo: la rivista ha finalmente trovato un motivo per mettere un pittore in copertina, e non certo per la sua opera. L’articolo è di otto pagine, ed è evidente che il giornalista ha rinunciato al suo proposito iniziale, quello del reportage, scrivendo invece un pezzo d’inchiesta che scava nel passato dell’artista e tira fuori “la storia di un’ossessione”. Una storia risalente a quarantacinque anni prima, accaduta su un’isola, quando Maris aveva solo quattordici anni. Una storia di cui lui non ha mai parlato: la tragica vicenda di una ragazzina trovata morta in un capanno di campagna, dopo che ci era andata con lui una domenica pomeriggio. Una storia capace di ridurre in cenere tutto ciò che Maris ha faticosamente costruito nel corso degli anni. Composto con l’inquietante precisione di un thriller e la delicatezza struggente di una storia intima, Il Capanno nero narra di una vita segnata per sempre da un singolo evento catastrofico, e del modo in cui, attraverso l’arte, sia possibile esorcizzare il dolore e convivere col proprio passato.
Recensione
Un pittore famoso, una mostra antologica che corona la sua carriera, un matrimonio in crisi, il dettaglio inquietante di un quadro, che viene dal passato… Fin dall’inizio del libro Oek De Jong riesce a far entrare il lettore in simbiosi con il suo personaggio, che ha le mani grandi e il corpo robusto della sua famiglia contadina e si è fatto da sé. L’autore descrive con minuziosi dettagli i pensieri del protagonista, i suoi gesti, le atmosfere che lo circondano. Grazie a una scrittura immersiva, il viaggio nella storia tormentata di questo artista ha inizio.
Maris, l’artista, ha accolto in casa i figli della moglie e li tiene in grande considerazione. Quando emerge l’oscuro episodio che viene dal passato, teme di perderli. La scrittura è lenta, la narrazione presenta con finezza di dettagli la ricaduta psicologica devastante dell’invasione mediatica sulla vita di un uomo di successo. I giornalisti si avventano come belve sul suo passato.
Il capanno nero sembra un libro d’altri tempi. L’azione è scarna, molto spazio viene lasciato alle descrizioni dei gesti e dei pensieri del protagonista e dei suoi familiari, che si trovano coinvolti nella bufera che ha scompigliato le carte sul tavolo dell’artista famoso all’apice della sua carriera. Se fosse un film, potrebbe essere una vecchia pellicola di Antonioni o di Wim Wenders, un’opera che arricchisce chi la guarda ma che al giorno d’oggi è difficile vedere, fatta di campi lunghi, di pause e di silenzi.
Nella storia principale si inserisce quella della figliastra di Maris, una ragazza coraggiosa che fa la fotografa in zone di guerra e ama il rischio.
“Quando una guerra finisce ci vogliono tre generazioni prima che finisca davvero.”
La ragazza è affascinata dallo spirito di sopravvivenza di quella gente, dalla loro capacità di cavarsela in situazioni estreme. Le disuguaglianze saltano agli occhi: da una parte il padre adottivo ricco e privilegiato, dall’altra i poveretti che faticano a sopravvivere.
“In natura c’è la catena alimentare, con gli animali più grandi e più forti alla fine. Nel contesto umano una piramide di sfruttamento, con i più forti e i più ricchi al vertice.”
Nella seconda parte del libro il protagonista torna all’isola natale, nei luoghi dove quando aveva quattordici anni è accaduta la tragedia che ha segnato tutta la sua vita. Dove ha trovato la morte la ragazzina e dove c’è la sua sepoltura:
“Lei non è qui, continuava a ripetersi, lei non è qui. Poi, però, si trovò davanti alla sua tomba. Subito si materializzò l’immagine che non aveva visto con i suoi occhi: il corteo funebre che attraversava il paese in un caldo giorno di agosto, passava davanti alla casa le cui finestre erano state sfondate e poi sprangate. Il prete in testa con i suoi chierichetti. I chierichetti con le tuniche bianche da cui sbucavano i pantaloni. Ragazzi che lui conosceva.”
Con gli occhi della mente rivolti al passato, l’uomo rivive la tragedia avvenuta quando era un ragazzino.
Il rapporto tra un artista all’apice della carriera e l’opinione pubblica, la stampa e i mezzi di comunicazione di massa: questo è uno dei filoni su cui l’autore ci spinge a riflettere. Quanto vale la maestria e la fama rispetto alla decostruzione del personaggio messo in atto da un giornalista senza scrupoli? Com’è possibile che dall’oggi al domani un artista acclamato dalla critica venga guardato con sospetto da tutti, anche dai suoi familiari?
E ancora, da cosa è provocato il blocco dell’artista? Solo dai traumi, dalle cose negative, o anche da quelle positive come un amore? Maris si innamora, vive una compenetrazione totale con l’oggetto del suo desiderio, ma poi avviene il distacco. E non riesce più a creare, né quando è travolto dall’amore né dopo.
La personalità complessa di Maris, l’artista protagonista del libro, viene indagata dall’autore in modo fin troppo minuzioso, della sua vita ci vengono narrati tutti i dettagli. Il capanno nero è un libro introspettivo, adatto a chi apprezza le narrazioni lente e approfondite, con pochi colpi di scena.
“Sopra i campi vedeva i corvi, stormi di corvi, stormi neri nel blu e sopra il giallo, corvi che si posavano sui campi, si rialzavano in volo, sbandando nel vento. Avrebbe voluto smettere di esistere, ma uno non smetteva di esistere così, di punto in bianco.”
Il rapporto del protagonista con le donne amate è ambiguo: ne ha viste troppe morire o ha fatto in modo che l’amore finisse. Queste morti sono davvero casuali o c’è qualcosa di diverso? Una violenza innata, nascosta nelle pieghe della sua personalità, o solo scelte sbagliate?
“Forse aveva ragione, lo aveva sondato con il suo intuito acuto, aveva visto in lui ciò che a lui era oscuro: il mostro. Non sarebbe mai riuscito a tenere a lungo una donna con sé. La sua vita sarebbe stata più dura di quanto avesse temuto. Solitudine sempre più profonda.”
In fondo Maris Coppoolse siamo un po’ tutti noi, con i lati oscuri e quelli luminosi della nostra personalità.
A cura di Chiara Forlani
Oek De Jong
è nato nel 1952 ed è ritenuto uno dei più importanti scrittori olandesi contemporanei. I suoi libri, tra i quali Opwaaiende zomerjurken, Cirkel in het gras, Hokwerda’s kind e Pier en oceaan, hanno ricevuto numerosi premi e sono stati nominati per il Dutch Libris Literature Prize e il Belgian Golden Book Owl.
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