Recensione di Laura Salvadori
Autore: Christine Leunens
Traduzione: Maurizia Balmelli
Editore: Società Editrice Milanese
Genere: narrativa
Pagine: 408
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Nel 1938, anno dell’annessione austriaca al Reich, Johannes Betzler è un timido adolescente. Il ragazzo, dopo anni di propaganda a scuola, sedotto dal fascino del Führer, abbraccia l’ideale nazista. Diventa un membro della Gioventù hitleriana, ma a soli diciassette anni, sfigurato da un’esplosione, è costretto a ritirarsi. Nella sua grande casa a Vienna fa una scoperta devastante. I suoi genitori, fervidi antinazisti, nascondono dietro a un finto muro Elsa, una giovane donna ebrea. Johannes, feroce antisemita, comincia a spiarla, eccitato dall’idea di poter controllare il destino di chi ha imparato a odiare. Elsa, costretta nella soffitta, dipinge e sogna a occhi aperti guardando un angolo di cielo dalla finestra. Ben presto l’astio iniziale di Johannes si trasforma in interesse, poi amore e infine ossessione. Tra i due si instaura una sorta di “gioco amoroso”, fatto di brevi battute e lunghi silenzi, slanci d’affetto, dispetti e accese discussioni. Elsa è prigioniera del suo nascondiglio e delle attenzioni di lui, ma la sua mente è libera di viaggiare. Johannes, invece, per quanto libero, si scopre sempre più prigioniero dell’ossessione per lei. Improvvisamente la guerra finisce, Vienna si trasforma, e Johannes si accorge che, caduto il nazismo, Elsa non ha più motivo di rimanere lì. Così, per non perdere quella particolarissima relazione, che spazia tra passione e follia, dipendenza e indifferenza, decide di non farle scoprire la verità, manipolandola a suo favore.
Recensione
Il dono più potente e segreto non è la vita, ma la capacità di ritoccarla mentalmente, di portarla nel profondo del nostro cuore e di prenderci cura di ogni ramo e rametto che avrebbe dovuto svettare sotto la volta celeste e invece vive negli intagli del nostro desiderio, nelle incisioni della nostra anima. E’ lì che si nasconde l’albero della vita, innestato all’interno di ciascuno di noi.
Questo romanzo è il racconto sfacciato e senza filtri di una grande menzogna, che nasce quasi innocente e cresce come un’escrescenza malefica che inquinerà le esistenze di chi dovrà subirla. E’anche la storia di una segregazione, dapprima voluta, per difendere e salvare una vita innocente, successivamente imposta con la violenza di una cosa non detta. Una segregazione che finirà per incatenare sia il carceriere che la reclusa, imprigionati nei recessi di una grande casa viennese e vittime di due diverse follie: la follia nazista e quella, più personale, legata ad una ossessione.
L’ossessione di Johannes Betzler è Elsa, una giovane ebrea che vive nascosta nella sua casa a sua insaputa. Quando Johannes la scopre, la sua vita è ormai andata in frantumi. Dopo una brillante parentesi nella Gioventù Hitleriana, quando lui e gli altri giovani vivevano convinti di rappresentare il solo futuro della Germania, presi dai loro folli ideali e ottenebrati da essi fino al punto di inneggiare la violenza e la morte, Johannes si ferisce gravemente in Guerra.
La sua deformità lo priva improvvisamente dell’orgoglio di appartenere alla grande Germania di Hitler. Da un giorno all’altro Johannes diventa lo storpio da evitare, quel tipo di uomo inutile che è solo un peso per la società. La triste scoperta arriva repentina e crudele e lo spinge a rifugiarsi nelle stanze della casa patronale, a vivere gomito a gomito con l’ombra della sorella morta, con i genitori antinazisti che male dissimulano la loro repulsione verso gli ideali del figlio e la nonna, dolce e strampalata, che non gli nega mai un gesto o una parola gentile.
Elsa, la giovane ebrea spaventata che si nasconde in un antro minuscolo e che spera così di sopravvivere alla pulizia etnica di quegli anni, rappresenta subìto il nocciolo di quell’odio che Johannes si sente ancora in dovere di provare ma dal quale, in qualche modo, si rende conto di prendere sempre più le distanze.
Il giovane, vulnerabile perché privato del suo ideale di virilità, si sente sempre più attratto da Elsa.
La metamorfosi con cui l’odio si trasforma in amore ed ossessione è veloce ed inesorabile. Sembra quasi che Johannes non aspettasse altro che un pretesto per prendere le distanze dall’ideale nazistadal quale adesso si sente rifiutato perchè finisce per rammentargli, in ogni singolo momento, il suo fallimento e il suo stato di inabilità.
Elsa lo ossessionerà sempre di più. Inizierà a idealizzarla e a bramare un suo bacio, invano, perché Elsa lo respinge. La gabbia inizierà a prendere forma intorno a Elsa e Johannes ne sarà l’architetto perfetto. Persino la fine delle ostilità, che per Elsa potrebbe rappresentare la fine della sua prigionia, si vestirà di bugia.
Con la fine della guerra arriverà l’indigenza. La follia di Johannes sarà sempre più presente e non avrà altra scelta che sfociare nell’infelicità di entrambi. Impercettibilmente ci renderemo conto che il solo prigioniero è proprio Johannes, che non solo preclude ad Elsa l’agognata libertà, ma è esso stesso prigioniero dei suoi pregiudizi e della sua viltà. La viltà che gli fa preferire la menzogna alla verità. La prima, seppur subdola, è l’unica che può dargli la fedeltà di Elsa; la seconda, invece, la libererebbe in un attimo dalle spire della prigionia e lui la perderebbe per sempre.
L’autrice fa uno splendido lavoro nel dare la voce a Johannes. Egli parla in prima persona per tutto il romanzo, dando voce ai suoi pensieri più intimi e dissoluti, incurante di essere capito e compreso dal lettore. In realtà la sua confessione non tende all’empatia o addirittura ad una assoluzione.Vuole solo esser un’analisi dei suoi pensieri più intimi, senza filtri. Non può esserci empatia o condivisione nei confronti del protagonista, ma solo un malcelato dissenso. Il lettore non può in alcun modo assolvere Johannes; al contrario, assisterà passivo alla sua discesa negli inferi.
Dunque, troviamo nel romanzo la voglia di mettere a nudo l’animo di Johannes. Non vi è, mai, il desiderio di assolvere Johannes dai suoi peccati. L’intento principale dell’autrice è probabilmente quello di studiare le varie sfaccettature dell’animo umano e stabilire dove finisce la libertà e inizia la prigionia. Perché si può essere prigionieri pur senza avere sbarre avanti a sé, come si può essere liberi anche se si guarda il cielo da una gabbia.
So che da questo romanzo è stato tratto un film che è uscito da poco al cinema. Non l’ho visto ma dal trailer si intuisce una certa leggerezza e ironia nel trattare l’argomento e il delicato periodo storico. Ecco, questa leggerezza non la troverete leggendo il romanzo, poiché questo è cupo, malinconico e intriso di rassegnazione. Il romanzo ha un timbro molto serio e, specialmente nella seconda parte, mi è apparso un po’ pesante in diversi punti. La mia impressione è che l’autrice abbia sviluppato con troppa profusione di pagine la discesa nell’interiorità di Johannes, che poteva essere ugualmente incisiva anche se più breve.
Ultimo cenno, doveroso, all’ambientazione storica del romanzo, accuratissima e densa di atmosfere evocative.
Insomma, se vi sentite pronti a perdonare alcune lungaggini descrittive dell’autrice (io non ho avuto questa virtù!) allora questo romanzo farà breccia in voi sicuramente.
In caso contrario armatevi di pazienza!
Christine Leunens
Christine Leunens è nata nel Connecticut e da adolescente si è trasferita a Parigi; lì è diventata una modella internazionale. Durante questi anni in giro per il mondo ha coltivato lo studio e la scrittura. Il primo, acclamato, romanzo, Uomini da mangiare, è stato pubblicato nel 2003 da Meridiano Zero. Tra le altre sue pubblicazioni: Come semi d’autunno (Meridiano Zero 2005), Il cielo in gabbia (SEM 2019).
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