Recensione di Marianna Di Felice
Autore: Donato Prencipe
Editore: Algra
Genere: Poliziesco
Pagine: 156
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Un bel giorno, il commissario Emilio Santi decide di scrivere una lettera di reclamo a Dio, mettendolo al corrente di come la vita sulla Terra non sia tutta rosa e fiori. Alla lettera, allega anche una serie di indagini poliziesche in cui si è imbattuto durante la sua carriera, in modo da fornirgli una finestra da cui osservare il mondo e la psicologia degli esseri umani, un vero e proprio labirinto tutto da scoprire. La città in cui si svolgono le indagini è Belizia. Nel corso della storia il commissario Santi mostrerà il suo carattere e il suo intuito naturale a smascherare gli artefici di piani orditi contro il prossimo.
So, so you think you can tell heaven from hell? Blue skies from pain? Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil? Do you think you can tell?…
Traducendo la famosa canzone dei Pink Floyd che fa da cornice alle storie del commissario Santi otteniamo quasi un rimprovero a Dio, nel contesto del libro, come un richiamo a quell’Onnipotente che forse non guarda bene a ciò che succede sulla terra.
Dunque pensi di saper distinguere il paradiso dall’inferno? Cieli azzurri dal dolore? Conosci la differenza tra un campo verde e un freddo binario d’acciaio? Un sorriso da un velo? Credi di saperli distinguerli?
Recensione
Un inizio diverso per un nuovo autore che ha tutte le qualità per andare avanti nella scrittura. Un poliziesco, perché ci sono dei delitti e si seguono le indagini che conduce il commissario Santi arrivando al disfacimento della trama, distante dai soliti polizieschi proprio per come inizia.
Il commissario Santi scrive una lettera a Dio per richiamare la sua attenzione su ciò che succede sulla terra, su quello che Santi deve vedere ogni giorno o ogni sera, sulle vite deviate per colpa degli atteggiamenti, delle influenze negative di altre persone. Mostri disumani che rapiscono ragazzine e che le trattano come se fossero oggetti, animati solo all’inizio quando si rendono conto di quello che sta per succedere perché poi diventano come delle bambole di pezza buttate come quelle vicino all’immondizia quando non servono più.
Bambole che devono lottare col dolore, con l’onta, con il disprezzo di se stesse, bambole che devono cercare di riprendere una forma umana. Non tutte ce la fanno. Dov’è Dio in questo momento? Perché le ragazzine devono subire quel dolore? Perché devono spezzarsi all’interno e poi cercare di recuperare tutti i pezzi e ricomporre il puzzle? Santi vede e sente tanto dolore essendo un commissario e soffre per come si evolvono le cose, soffre perché non è riuscito a salvare l’assassino che era anch’egli una vittima.
Lui stesso ha un profondo dolore dentro, la scomparsa della sua amatissima Anna, ma con alti e bassi va avanti pieno di suoi ricordi. Il lato pulito di un uomo che ha a che fare con il luridume di un mondo marcio, che ha a che fare con l’inferno perché è sulla terra e non sotto di essa!
Un commissario che deve combattere con un assassino dalla doppia personalità creatasi quando era un adolescente per difendersi dalle torture subite dal suo patrigno. Un ragazzo che rimane solo quando aveva bisogno di una guida, ma che al suo posto trova un carnefice. Donne che colpite nel vivo del loro orgoglio da mariti libertini, ordiscono la più terribile vendetta.
Dov’è Dio quando la corruzione invade i loro cervelli e smettono di ragionare lucidamente per far posto a una vendetta raccapricciante?
E dov’era quando un ragazzo che ha un leggero problema fisico viene preso in giro da tutti?
Perseguitato dalle prese in giro e relegato in un angolo perché etichettato come mostro!
Dov’è in quel momento per spiegare a chi bullizza che non è da umani farlo?
E dov’è quando avviene la trasformazione del dolore in sete di sangue?
O forse vuole vedere la restistenza di questi umani, forse li mette alla prova per vedere se cedono facilmente al lato oscuro?
Difficile non farlo quando, ad esempio, un padre tratta madre e figlia come schiave e la figlia poi si trasforma in puro orrore. Forse vuole mettere alla prova anche Santi che deve sostenere il peso delle sue indagini. Per nulla facile se si è empatici, come per nulla semplice è leggere questo poliziesco senza emozionarsi per la realtà delle storie. Sono inventate dalla penna dell’autore, ma purtroppo sono storie sentite e accadute nel mondo.
Il lettore, come il commissario, entra in empatia con le storie e ne rimane gelato davanti a tanta crudeltà! Ma è la vita purtroppo e l’inferno è proprio qui, per questo si sentono e continueranno a sentire storie del genere. L’autore ha una laurea in Scienze Infermieristiche, ma sembra immedesimarsi nel commissario Santi, sembra scriva come un commissario ferito da tanta violenza per questo il suo libro entra nel cuore del lettore.
Per la scrittura complessa e fluida, per le storie straordinariamente ordinarie, per il trasporto che si può leggere tra le righe, per l’inquietudine che le storie producono, per tutto questo la storia del commissario Santi deve essere letta!
Buona lettura!
Intervista
Da Scienze Infermieristiche a scrittore con un trasporto proprio di chi ha visto tanta violenza e chiede a Dio perché non fa qualcosa. Come è nata lvoglia di scrivere? Arriva da autori letti o forse da esperienze nel settore lavorativo? E perché hai iniziato il libro con quella lettera particolare?
Vi ringrazio innanzitutto per questa intervista, è sempre bello quando qualcuno si interessa a qualcosa che fai e che ti arreca tanto impegno, è gratificante. Per cui, spero di non avervi deluso con il mio libro. Quando si parla di voglia di scrivere o per lo meno di scrittura in generale mi piace prendere in prestito una citazione di Primo Levi, il quale diceva: “Scrivo per raccontare qualcosa che altrimenti non riuscirei a dire a voce.” La scrittura è una valvola di sfogo che ci permette di esprimere tutte quelle emozioni che di solito teniamo rinchiuse a doppia mandata nello scantinato della nostra anima. Credo che ognuno di noi sia il risultato delle esperienze vissute, degli autori letti, dei film visti e ancora delle persone incontrate nel suo percorso di vita. Tutto questo fa parte di noi e ne attingiamo, il più delle volte anche senza volerlo, quando ci apprestiamo a raccontare una storia, che sia esso un giallo o un semplice racconto di narrativa. La lettera, invece, può essere vista come una grande provocazione e forse a tratti lo è. Il protagonista, il commissario Emilio Santi, la scrive in un momento di profondo malessere, scaturito dalla scomparsa prematura della moglie Anna e in secondo luogo dal lavoro stesso che lo mette di fronte quotidianamente a situazioni difficili da affrontare, aspetti negativi della vita di tutti i giorni che molto spesso sfociano in azioni malsane, come può esserlo una violenza verbale, un’aggressione, uno stupro, o addirittura un omicidio. Tutto ciò lo porta a credere che la vita, forse, non è esattamente un dono come vogliono farci credere, ma è tutt’al più una grande, immensa, logorante partita: vieni mandato in campo allo sbaraglio, senza sapere contro chi giocherai, di chi ti potrai fidare, non saprai mai se starai giocando bene o male, l’unica cosa certa è che prima o poi la partita finirà, senza un quando o un come verrà decretata la fine. Quindi cosa fa? Si rivolge a Dio, ma è un modo per rivolgersi a tutti, una lettera in cui ognuno di noi può ritrovarsi, chiedendoli: come mai visto e considerato che sei definito il capo assoluto, il creatore del cielo e della Terra non poni un freno a questa triste esistenza. Perché non hai voglia? Non ne sei capace? O semplicemente perché non sai cosa accada oggi giorno sulla Terra (e qui c’è la provocazione di cui sopra), è come se tu ti fossi preso la briga di creare un mondo perfetto simile ad una bomboniera per poi lasciare che questi sprofondasse giù in un abisso dal quale non riesce più ad emergere. Dunque, lo mette al corrente del viaggio a cui è costretto l’essere umano, suo malgrado, da quando nasce a quando muore, prendendo in esame le tappe più importanti della nostra esistenza e quindi l’infanzia, l’età scolare, l’adolescenza, l’età adulta, fino ad arrivare alla vecchiaia.Nel proseguo del libro però si potrà notare che questa visione estrema della vita in senso negativo lascerà il posto alla speranza, forse l’unica cosa che molto spesso ci permette di credere che qualcosa di positivo possa sempre accadere. Di fatti lui nelle sue indagini non è solito soffermarsi sul semplice atto compiuto ma preferisce indagare a fondo tutti gli aspetti che hanno preceduto quell’orribile gesto e il perché sia stato compiuto. E tutto questo grazie al motore della speranza.
Quali emozioni hai provato nello scrivere le storie riportate nel libro? Sei entrato in empatia col personaggio del commissario Santi come se fosse un pezzo di te?
Tante, sono quelle stesse emozioni che danno vita alle storie e ai singoli personaggi. Sono convinto che se non si provasse qualche forma di emozione quando si scrive si dovrebbe smettere all’istante perché tutto ciò che sentiamo nel momento in cui raccontiamo la nostra storia lo trasmettiamo in molteplici forme al lettore, il quale è la persona emotiva più intelligente che possa esserci. Nessuno come lui può dirci se quella storia è valida oppure no. E se una storia che scriviamo non ci emoziona non possiamo pretendere che emozioni il lettore. A prescindere dal genere che può piacere o meno è l’evocazione che quella storia produce a fare la differenza. Sono dell’idea che lo scrittore diventi un tramite, per cui nel momento in cui un libro viene pubblicato smette di essere suo per diventare di tutti ed è giusto che ognuno ci ravvisi il suo significato, che può conciliare con quello di chi l’ha scritto o essere del tutto difforme.Il commissario Santi ha una sua storia personale molto forte, della quale ho voluto di proposito celare alcuni particolari perché l’intenzione è quella di farlo continuare a vivere nei prossimi libri, che sente il bisogno di gridare il suo malessere attraverso la scrittura di una lettera. Può essere facile empatizzare con lui ma può esserlo altrettanto degli altri personaggi che compaiono nel libro, anche i cosiddetti “carnefici”. In fin dei conti nel libro sono tutti delle vittime, e come reagiscono a fare la differenza.
Per avere una scrittura così densa e fluida al tempo stesso hai letto molto o è ciò che hai dentro che ti ispira?
Penso siano entrambe le cose. L’unione di due mondi diversi, quello immaginario, che scaturisce dal bagaglio di informazioni tratte dai libri letti e un altro reale, che sento difatti sulla mia pelle e che mi riempie l’anima, danno vita al fluire di parole che sgorgano fuori all’impazzata, salvo poi ordinarle con coscienza in un secondo momento. La prima stesura si butta giù col cuore, è selvaggia, senza freni inibitori, la seconda si riscrive con la testa.
Leggo tantissimo e mi piace alternare ogni volta genere anche perché ho un bruttissimo difetto che è quello di annoiarmi molto facilmente, pertanto se finisco di leggere un thriller, che rimane il mio genere preferito, passo a un classico, per poi leggere della narrativa contemporanea e poi ancora un giallo fino a uno storico. D’altronde se si vuole vivere raccontando storie è bene che si viaggi un po’ con la letteratura e con la stessa immaginazione. Come diceva Salgari “leggere è come viaggiare senza la scocciatura delle valigie.”Molto spesso si è soliti credere che uno autore scriva solamente perché dettato dall’ispirazione o dall’intuito, in realtà ci vuole costanza, impegno, dedizione, senza le quali non riusciresti a portare a termine un così lungo lavoro. Ci sono le volte in cui si scrive di getto solo perché spinti da una ispirazione profonda, ed è bellissimo e al tempo stesso sfiancante. Ma non funziona sempre così. Darsi delle regole è importante per organizzare tutto il lavoro che si andrà a fare e soprattutto per sopperire a quei momenti di magra in cui viene a mancare l’ispirazione, ecco, in quel preciso istante ciò che ti aiuta è proprio la tua disciplina.
Donato Prencipe
A cura di Marianna Di Felice
marisullealidellafantasia.blogspot.it
Donato Prencipe
Sono nato a Manfredonia (FG) nel 1985. Nel 2016 ho conseguito una laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Da sempre amante del cinema e della letteratura, mi sono dedicato anima e corpo all’attività di scrittore. L’8 luglio 2019 è stato pubblicato il mio primo libro, dal titolo: “Il commissario santi. Una lettera molto speciale”, edito da Algra Editore.
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