Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Stefano De Bellis e Edgardo Fiorillo
Editore: Einaudi
Genere: Thriller storico
Pagine: 736
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. 80 a. C. L’Urbe è una metropoli violenta, dove denaro, vizio e politica si intrecciano senza sosta. Avvolti nelle tenebre della Suburra, quattro sicari irrompono in un lupanare dove si sta svolgendo un festino. La strage si consuma in pochi minuti: tra i morti c’è un aspirante senatore. Chi ha ordinato il massacro al Fodero del gladio, un nuovo bordello di lusso nel cuore malfamato di Roma? Il principale sospettato è Marco Garrulo, detto Mezzo Asse – unico superstite alla carneficina e proprietario del locale – che però è scomparso. A dargli la caccia sono in molti: fra questi, per incarico del futuro triumviro Marco Licinio Crasso, che ha iniziato la sua scalata sociale, il veterano Tito Annio, aiutato da un gallo romano enorme, con il cuore d’oro, e da un vecchio commilitone consumato dai ricordi e dal vino. Negli stessi giorni Cecilia Metella, influente matrona, chiede al giovane Cicerone di difendere un suo protetto, Sesto Roscio, dall’accusa di parricidio. Una causa delicata non solo per la gravità dell’imputazione, ma per gli interessi e le lotte di potere che si nascondono nelle pieghe del caso. Su entrambe le vicende, che si riveleranno legate, incombe l’ombra di Silla, il Dictator, i cui nemici sono sempre piú inquieti. E se per arrivare alla verità Tito dovrà affrontare risse, agguati, complicazioni sentimentali, donne determinate e memorabili sbronze, Cicerone scoprirà invece che in gioco, nel foro, non c’è soltanto il destino di Sesto, ma anche il suo. E forse la sopravvivenza della Repubblica.
Recensione
Una delle armi più potenti e affilate nell’arsenale dell’investigatore è senza dubbio il “cui bono?” o “cui prodest?” che in latino significa “a chi giova”. Questa argomentazione logica viene subito alla mente di chi indaga e, come fa supporre la locuzione latina, ha una storia piuttosto lunga.
Forse non è stato il primo ad usarla, sembra infatti che l’innovatore sia stato Lucio Cassio Longino Ravilla, ma indubbiamente Marco Tullio Cicerone fu il più famoso investigatore ad avvalersi di questo artificio retorico ed è rimasta celebre la sua perorazione pro Roscio Amerino, tenuta a soli 25 anni.
Questo processo rimasto celebre nei secoli è uno degli assi portanti del romanzo storico “Il diritto dei lupi” di Stefano De Bellis e Edgardo Fiorillo.
Sesto Roscio Amerino era un ricco possidente accusato di aver assassinato il padre per ereditarne le enormi ricchezze. Tra i più accesi accusatori si distinsero i due cugini dell’imputato Tito Roscio Magno e Tito Roscio Capitone che con una manovra truffaldina riuscirono ad accaparrarsi una buona fetta delle terre di Sesto Roscio.
Il processo però aveva anche una straordinaria valenza politica in quanto c’era in ballo anche il futuro assetto istituzionale di Roma che viveva un periodo di crisi dovuto alla guerra civile scatenata dai dissidi tra Mario e Silla, determinante per la fine del periodo repubblicano.
Cicerone si rese subito conto della delicatezza della situazione e capiva di essere stato scelto per la difesa di Roscio Amerino proprio perché ancora poco famoso e facilmente sacrificabile se qualcosa fosse andato male:
“Voi, giudici, vi chiedete certo con meraviglia lo credo bene, io il motivo per il quale tanti eccellenti oratori e tanti nobilissimi personaggi se ne restano seduti, e mi sono alzato tra tutti proprio io che né per età né per ingegno né per prestigio posso reggere il confronto con queste persone che sono sedute. E tutti costoro che voi vedete sono presenti in questo processo, ritengono sì che si debba respingere con energia l’ingiustizia di un’accusa montata con una spietatezza senza precedenti, ma non se osano assumere personalmente la difesa per la difficoltà dei tempi.”
da “Oratio pro Sexto Roscio Amerino”
Silla era l’uomo forte essendo il Dictator ma altri ambiziosi politici come Gneo Pompeo, in seguito chiamato Magno, e Marco Licinio Crasso, l’uomo più ricco della romanità, stavano tramando per prendere il potere.
Proprio su questo versante politico si sviluppa la trama parallela del thriller che ricorda la scarna sinossi che i produttori dei primi due western di Sergio Leone diedero agli investitori americani che attratti dai grandi incassi del regista romano volevano produrre un nuovo film, “Tre manigoldi cercano dei tesori al tempo della guerra civile”.
Il film era “Il buono, il brutto, il cattivo”, uno dei più famosi western della storia del cinema e l’indagine dell’ex centurione Tito Annio Tuscolano sulla strage di alcuni uomini illustri trucidati in un lurido lupanare deraglia in una sgangherata ricerca dei rubini del presunto colpevole rievocando da vicino situazioni e suggestioni della pellicola di Sergio Leone, intrecciandole con atmosfere alla “Armata Brancaleone”.
L’indagine di Tito Annio e il processo di Cicerone troveranno un punto di sutura nel finale dove tutti i fili pendenti della trama saranno annodati dopo tante tragicomiche avventure che rievocano anche ambientazioni tipiche dell’hard boiled americano in una riuscita e originale fusione con il legal thriller ante litteram.
“Ricordate una cosa”, dice Cicerone nel romanzo, “nessuno nella Repubblica, nessuno è padrone del suo destino. Siamo tutti strumenti di qualcuno o di qualcosa” e ciò viene evidenziato nell’indagine di Tito Annio che, alla ricerca di Mezzo Asse, il sensale del lupanare ritenuto il responsabile della strage scopre lentamente dei tasselli di verità che lo porteranno a delineare un disegno politico inquietante e decisamente pericoloso per tutti i testimoni, dove sono tanti i burattini fatti muovere da scaltri burattinai.
“Due cliché fanno ridere. Cento cliché commuovono. Perché si avverte che oscuramente i cliché stanno parlando e celebrano una festa di ritrovamento”
scrisse Umberto Eco in “Dalla periferia dell’impero” riferendosi al celebre film “Casablanca” e penso che si sarebbe riferito nello stesso modo scrivendo di questo appassionante thriller storico che riassume e sublima i cliché del genere giallo trasportandoli in un’epoca mitica e affascinante.
Ponendosi a metà strada tra due grandi romanzi storici come “Il nome della rosa” proprio di Umberto Eco e “Q” di Luther Blissett il fluviale “Il diritto dei lupi” che consta di ben 736 pagine, diverte, intriga, costringe a cercare riferimenti e citazioni come quella di Mao sulla grande confusione sotto il cielo e disegna un mondo in cui ci si riconosce in pieno la contemporaneità perché come asserì Friedrich Niezstche “non esistono fatti ma solo interpretazioni dei fatti.”
Stefano De Bellis e Edgardo Fiorillo
Stefano De Bellis: (1973) è consulente informatico amministrativo. Per Einaudi ha pubblicato, con Edgardo Fiorillo,Il diritto dei lupi (2021), il suo primo romanzo.
Edgardo Fiorillo: (1973) è biologo e divulgatore scientifico. Per Einaudi ha pubblicato, con Stefano De Bellis,Il diritto del lupi (2021), il suo primo romanzo.
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