Il figlio del padre
Autore: Victor del Árbol
Editore: Elliot
Traduzione: Pierpaolo Marchetti
Genere: Narrativa gialla
Pagine: 416
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Diego Martín è un professore universitario al culmine dell’ascesa sociale fino al momento in cui uccide un uomo. Le ragioni di questo gesto – fuori da ogni logica apparente – risalgono indietro nel tempo ed è nel racconto della sua storia familiare che, alla fine, scopriremo i segreti che hanno condotto una persona tranquilla a trasformarsi in un crudele omicida. Figlio di immigrati poverissimi, giunti a Barcellona negli anni Cinquanta dalla campagna, Diego non ha mai superato il ricordo dello squallore, delle umiliazioni e delle ferite subite soprattutto da parte di suo padre. Di quell’uomo, vittima di una maledizione che sembra colpire i maschi della sua famiglia, ciò che resta è un’eredità fatta solo di sopraffazione e per il protagonista il desiderio più forte è sempre stato quello di non diventare mai come lui. Per questo se ne è andato di casa che era ancora giovanissimo e ha compiuto ogni sforzo per essere ciò che è ora. Invece, la notizia della morte del padre, che non vede da vent’anni, lo fa precipitare di nuovo in quell’inferno. Tornare in Estremadura, per gestire un’eredità che gli è stata assegnata proprio da quel genitore ripudiato, lo obbliga a rivangare il passato per chiudere i conti con la madre e i fratelli e, soprattutto, con il fantasma che lo perseguita.
Recensione di Marina Toniolo
“Alma Virtudes aveva vent’anni e tutto ciò che conosceva del mondo era quella terra, dove crescevano solo i rovi che alimentavano le capre e che generavano uomini e donne duri e secchi come il sarmento. Il paese, con le sue case bianche, i vecchi taciturni, le campane che fendevano l’aria e le piazze con le fontane rachitiche dove bevevano cani senza padrone abbandonati dopo la stagione di caccia, le strade deserte all’ora della siesta in estate e il silenzio dietro le finestre”.
Libertà, violenza, nodi generazionali, sono molti i fili rossi che si intrecciano in questo romanzo devastante. Ai giorni nostri Diego Martín uccide un uomo: i fatti sono chiari. Quello che invece scopriamo man mano sono le motivazioni che spingono il tranquillo e scialbo professore universitario a compiere quel gesto.
E poi, perché da Barcellona sono finiti in Estremadura? A dieci ore di macchina?
Perché Diego ha portato la vittima nella vecchia casa padronale dei Patriota?
Un racconto che si sviluppa sin dagli anni Trenta con la Guerra Civile Spagnola e prosegue con la Seconda Guerra Mondiale. Gli uomini di quei posti poverissimi non conoscono altro che il duro lavoro e l’umiliazione costante di essere a servizio del grosso proprietario terriero. A nulla valgono gli sforzi anarchici del prozio Joaquín la cui unica colpa è stata quella di credere in un mondo migliore e, purtroppo, ad abbandonarsi a un crimine efferato. Lo stigma sociale si ripercuote quindi su tutti i componenti della famiglia Martín e, anche se abbassano la testa nell’umiltà propria dei servi, il loro sangue ribolle e la collera divampa devastando vincoli familiari. Non c’è alcun riscatto nemmeno per le donne di questa storia. Tutte spose giovanissime a cui non è stato chiesto se volevano sposare quel determinato uomo. Donne che diventano proprietà e sulle quali viene scaricata l’insoddisfazione giornaliera. Come sempre, i forti sopraffanno i deboli.
Diego Martín deve procedere a ritroso e capire perché suo padre, il figlio di Alma Virtudes, era come era. Perché non si parla nemmeno con il nonno Símon. E deve proteggere l’unica persona a lui cara della famiglia, l’unica a lui vicina per aspirazioni, l’unica che ha avuto il vero coraggio di vivere la libertà.
Ho chiuso il libro ed ho pianto lacrime amare. Perché ogni riga trasuda miseria e forza ostinata, brutale. A quei tempi, in quei luoghi, non c’era spazio per l’amore e la comprensione, a noi oggi così cari. E anche se si amava, non si sapeva come farlo e dimostrarlo. Inutile reinventarsi una nuova vita se poi il richiamo oscuro del passato ci trova e fa lo sgambetto.
Scritto e tradotto magistralmente, ‘Il figlio del padre’ lascia inquietudine e scoramento. Fino al finale, perfetto come il sole che si alza all’alba dal mare. C’è sempre il modo di venire a patti con il diavolo.
‘L’amore non risponde a esigenze, non arriva quando lo si chiama, ma quando ne ha voglia, e se anche provi a trattenerlo, se ne va quando lo desidera. È una natura misteriosa che viaggia dalla freddezza al calore, dalla brutalità al perdono, dall’orgoglio all’umiltà, dall’assenza alla presenza’.
Consigliato? Assolutamente, questo è un pugno liberatorio.
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Victor del Árbol
Victor del Árbol è laureato in Storia ed ha lavorato per la polizia della Comunità Autonoma della Catalogna. “Il mio sole è nero” (Mondadori, 2013) è stato pubblicato dai principali editori internazionali (in America la “Kirkus Reviews” ha scritto: “Con questo libro, del Árbol merita di allargare il numero dei suoi lettori nel mondo”), e nel 2012 ha vinto in Francia il Prix du Polar Européen.
A cura di Marina Toniolo