IL GIOCO
di Giovanni Floris
Solferino, 2022
Romanzo giallo, pag. 416
Sinossi. Quando Rossella Catrambone, studentessa modello, scompare, è inevitabile che i sospetti si appuntino sui due ripetenti bulli dell’ultimo banco: Mansur detto Momo, italiano di seconda generazione, e Francesca, colonna dell’estrema destra del quartiere periferico di Torre Bruciata. I sospetti della polizia, si intende, ma non quelli del loro professore di lettere, Paolo Romano, che decide di aiutarli a scoprire la verità (e a restare fuori dalla galera). Ma i giorni passano, la ragazza non ricompare e si accumulano indizi inquietanti quanto stranamente letterari: una pista porta a Edgar Allan Poe, una a Giordano Bruno, una ai surrealisti… intanto, il professor Pastore, il complottista della scuola, è convinto che la chiave di tutto sia nascosta nei sotterranei del Vaticano e, quel che è peggio, lo dice in televisione. È solo l’inizio di una pericolosa caccia al tesoro a cui i tre saranno costretti a giocare in compagnia di strani alleati: una preside favorevole alle droghe sintetiche e un bibliotecario ex criminale. Li salveranno i libri, o sono proprio le parole a uccidere? Un giallo, un complotto, una commedia dal ritmo incalzante, un percorso scanzonato ma ricco di cultura tra le pagine, il pensiero e gli autori di un secolo di letteratura: questo romanzo multiforme è in se stesso un gioco. Libero, appassionato e imprevedibile, perché i libri non finiscono mai di sorprendere.
Il gioco
A cura di Giulia Manna
Recensione di Giulia Manna
Torre Bruciata diventa zona calda: Rossella, studentessa modello scompare. Rossella aveva quel carattere organizzato, determinato che non lascia spazio a nessuno e a niente, neanche alla realtà.
I sospetti cadono sui due bulli della scuola: Francesca e Momo. Francesca è apertamente fascista.”Di padre italiano e madre italiana, entrambi di Torre Bruciata, periferia romana talmente disagiata che forse era meglio la Nigeria…”prosegue il Professor Romano ”consumatrice occasionale di droghe e di simpatie neofasciste perché…com’è che dici tu…non c’era altro. Bulla solo perché le spalle larghe se no Dio che gliele ha date a fare?”.
Momo, all’anagrafe Mansur è indubbiamente un violento. Dal suo punto di vista, quando c’è da picchiare picchia. Il suo professore Paolo Romano, altro protagonista di questa storia assieme ai ragazzi, ha però riscontrato in lui una caratteristica che considera salvifica: il senso dell’umorismo. Il ragazzo ne ha a carrettate e questa qualità è poco adatta ad un cattivo vero.Viene continuamente etichettato come immigrato, soprattutto quando viene ritrovata una bandiera dell’Isis e diventa il principale sospettato della sparizione della giovane. E’ italiano da almeno due generazioni, ma a nessuno importa più.
Entrambi bulli e anche piuttosto svogliatamente e fieramente ignoranti.
“Ma qual’è Carducci?” chiede Momo. “Quello che stava con la sorella?”. “No, quello è …quello non è Pascoli. Carducci è quello con il figlioletto morto. Pianto antico. L’albero a cui tendevi la pargoletta mano…Presente?”. “Oh, questi poeti è l’Accademia della sfiga, professò” commenta Francesca. “Se non erano sfigati non scrivevano poesie” commenta Momo. “Uscivano la sera con li amici”.
Poi c’è il professor Pastore che collabora con la polizia indicando fin da subito come principali sospettati i due ragazzi, per poi scagliarsi contro Momo accusandolo di terrorismo e complotti ancora più arzigogolati. L’uomo è l’esatto opposto del professor Romano e tra i due i dissapori erano antecedenti alla scomparsa della ragazza. Non condividono il metodo d’insegnamento e nemmeno la stessa ideologia di fondo. Mentre il Pastore cavalca l’onda della paura e della popolarità, il Romano mantiene i piedi per terra e cerca di smentire le accuse con i fatti.
“Dovete stare molto attenti” riprende Romano “a chi vi porge una chiave, perché ci sono i saggi e ci sono i truffatori. C’è chi cerca e chi vuol farsi trovare. E ci sono chiavi che non aprono le porte, le chiudono soltanto” conclude serissimo. “L’arte va capita, non va ingoiata come state facendo voi”.
In questo strano romanzo dove la letteratura è un puzzle da ricostruire per salvare Rossella, ci sono anche una preside spacciatrice, un bidello inquietante, un poliziotto che segue con convinzione il professor Pastore ed una poliziotta che invece inizia a capire che certe intuizioni sono prese un po’ troppo di pancia.
Alla fine scopriremo cos’è il Gioco ed il suo nobile obiettivo. “Si, mi ha annunciato che voleva far ripartire il Gioco. E restituire l’identità a tanti giovani che la scuola tratta come cadaveri smembrati, numeri a cui propinare programmi, senza curarsi di quello che sono, di quello che vogliono”. Come tutte le cose buone, se nelle mani della persona sbagliata possono diventare pericolose.
Mea culpa. E’ il primo libro che leggo di Giovanni Floris e lo ho trovato stupendo! Letto in un pomeriggio e non mi divertivo così da un po’. Non è una lettura semplice. E’ una lotta contro il tempo per salvare Rossella. E’ come dover risalire un fiume pieno di ostacoli che in questo caso sono rebus letterari. Anzi, fa sentire ignoranti anche i più accaniti lettori, ma non è una cosa brutta. Lo dimostrano i protagonisti, studenti che ci insegnano a scherzarci su, mentre i professori ci ricordano che non tutto è perduto ed assieme uniscono le loro forze per arrivare alla soluzione.
L’autore penso lo conosciamo tutti, come minimo come presentatore di Ballarò su Rai 3. Anche se cerca di essere imparziale nella conduzione del suo programma, non riesce a nascondere le sue opinioni politiche su alcune questioni, tra queste il ripudio del fascismo.
Lo conferma anche con questo romanzo e lo fa sempre con classe e cultura. Interessante come il professore fa a capire a Francesca le contraddizioni tra la sua vita reale e la sua scelta politica. Così come fa capire l’inesistenza di un legame tra Momo e l’Isis. Sono tante le frecce scagliate da Floris contro diversi argomenti per invitarci a riflettere. La più grande come ho detto è sempre la questio politica, ma poi colpisce anche la tv, la polizia, l’insegnamento, gli insegnanti, gli stessi studenti e pure noi tutti che ci facciamo incantare facilmente dai vari prof Pastore.
Floris ha scritto un romanzo di qualità ed eleganza come non se ne vedono da un po’. E’ come se avesse rivestito un libro con uno splendido vestito lungo da sera e tanti piccoli brillantini, dove a far luce sono aforismi, citazioni e libri dei grandi della letteratura dell’Ottocento e Novecento.
Buona lettura.
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Giovanni Floris
giornalista italiano. È noto al grande pubblico per la conduzione del talk-show Ballarò, dopo il quale è diventato autore di Dimartedì su La7. Superata la prova di idoneità professionale, fu assunto dal Giornale Radio Rai nel 1996, dove fu inviato e conduttore. In particolare, si trovava a New York all’epoca dei fatti dell’11 settembre 2001. Dopo quella esperienza, fu nominato corrispondente per la RAI dagli USA, con sede a New York, dove si trasferì. Dopo un anno, nel 2002, divenne conduttore del nuovo talk-show Ballarò, che lo ha portato alla notorietà. È vincitore di numerosi premi tra cui Saint-Vincent, Premiolino, Flaiano, Guidarello e Elsa Morante. Tra le pubblicazioni per Rizzoli si ricordano: Monopoli (2005), Risiko (2006), Mal di merito (2007), La fabbrica degli ignoranti (2008), Separati in patria. Nord contro Sud: perché l’Italia è sempre più divisa (2009), Zona retrocessione. Perché l’Italia rischia di finire in serie B (2010), Decapitati. Perché abbiamo la classe dirigente che non ci meritiamo (2011), L’invisibile (2019). Per Feltrinelli Il confine di Bonetti (2008) e La prima regola degli Shardana (2016), con il quale ha vinto il Premio Internazionale Capalbio Piazza Magenta 2016 – Sezione Letteratura e giornalismo televisivo.