Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Andrew Michael Hurley
Traduttore: Vincenzo Vega
Editore: Bompiani
Pagine: 352
Genere: Narrativa/Horror
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Cent’anni fa, durante una bufera eccezionale, gli abitanti delle Endland sono rimasti confinati in casa per intere settimane. Quando finalmente sono usciti, il Diavolo aveva seminato il suo veleno ovunque. Nessun rito, sacro o profano, è mai riuscito a cacciarlo. Il Giorno del Diavolo oggi è un giorno di tradizioni che si rinnovano, un modo per ricordare, una messinscena intrisa di scongiuri. E se il Diavolo facesse veramente ritorno, per sconvolgere la vita già dura di chi si occupa delle greggi, e seminare discordia tra famiglie che da tempo immemorabile si guardano con diffidenza? È autunno quando John Pentecost torna a casa, al villaggio nella brughiera del Lancashire dove è cresciuto, insieme alla giovane moglie Kat, che aspetta un bambino. Il nonno, il patriarca, è appena morto, e oltre a congedarsi da lui bisogna dare una mano alla famiglia, per riportare le pecore agli ovili. John è attratto dall’idea di restare, lasciando una vita più agiata ma anche più banale, per dare continuità alla tradizione. Gli antichi rancori riemersi però rendono complicata la scelta, dividendo la famiglia di John, in cui sembra essersi insinuata la presenza del Diavolo. Una storia cupa, sinistra, inquietante in cui la battaglia quotidiana della vita rurale è aggravata dalle imprevedibili complicazioni del soprannaturale.
Recensione
È dura la vita legata alla terra, alla natura e alle sue creature.
Una giornata di sole, di vento o di pioggia non è una semplice occasione per trascorrere qualche ora all’aria aperta o immergersi nella lettura davanti al camino; un inverno più mite non sempre è una benedizione, un’estate torrida può prosciugare dodici mesi di lavoro; una pecorella smarrita non è un’anima ribelle da riportare all’ovile facendo leva sul suo senso di colpa, ma una portatrice di future generazioni di agnelli, di carne e di vello, e contro la sua assenza vanno in frantumi le speranza di molteplici specie e famiglie.
Si coltiva, si bada ai montoni e si rinforzano muri e recinzioni in vista del futuro, per il presente non c’è tempo: la vita legata ai ritmi naturali è sempre proiettata in avanti, il padre prepara il terreno per il figlio, che a sua volta lo rinnoverà, lo renderà fertile e buono per i suoi eredi… senza tenere mai nulla per sé, salvo le mappe dei confini aggiornate anno dopo anno, un bagaglio di conoscenze fondamentali trasmesse da una generazione all’altra, un posto da chiamare casa che lo si voglia o no e un Nemico.
È dura la vita legata alla terra, dura e ineluttabile. Una dannazione di una bellezza selvatica, dotata di un fascino che strega, lega e richiama a sé per sempre, come una madre severa ma sempre pronta a stringere in un abbraccio convulso, come un’amante fedele, paziente e ferina.
Lo sa bene John Pentecost, il “piccolo Johnny” che da bambino si dissetava con i racconti del nonno dagli occhi turchesi, custodiva i segreti dei pesci di fiume e sognava di trasformarsi in lontra. Lasciate le Endland per studiare all’università e diventare insegnante, John giunge nel paese di origine con la moglie Kat in occasione del Recupero (il momento in cui “pecore venivano portate giù dalla brughiera”) e del Giorno del Diavolo, ma la “vacanza” si prolunga e la festa assume i contorni della quotidianità, di un ritorno definitivo.
Il protagonista, dapprima distaccato, ritrova i luoghi e le tradizioni che gli appartengono da quando è nato (e ancora prima), le Endland gli scorrono nelle vene e pulsano con ritrovata energia, lo possiedono… e la sua voce, che coincide con quella narrante, cambia insieme con le sue prospettive e le sue priorità.
Fermarsi, far nascere lì il suo primogenito e quelli che verranno dopo, prendere in mano le redini della fattoria e non farla morire è inevitabile, nonostante tutto il resto – la moglie, il padre, le circostanze, i segreti – lo inducano a riflettere, gli chiedano di ragionare, gli urlino di lasciare quel territorio che non aspetta e non fa sconti. John ha una via d’uscita, un’alternativa, ma volontariamente decide di non coglierla: del resto siamo dotati di libero arbitrio e nessuno ci obbliga a firmare col sangue alcunché, no?
Cosa c’entra il Diavolo – che nel romanzo ha sempre l’iniziale maiuscola, come il nome proprio di un personaggio, di un conoscente sempre vicino – in tutto questo?
Lui è ovunque, nei rituali e nei ritmi di lavoro, nel ruggito del vento, tra i salici e negli occhi del cervo, nei discorsi, nei ricordi e nella testa: è una consuetudine, una presenza talmente costante da essere familiare, pericoloso e imprevedibile come la natura e consistente, tangibile e reale allo stesso modo. Il Diavolo non è fatto di fumo solforoso, ma dorme e si lascia svegliare, balla e ha diritto alla sua porzione della cena, dipana sotto gli occhi dei più giovani storie già scritte e immagini già dipinte, dilania e rovina… È la personificazione in zoccoli caprini dell’esistenza rude e atavica, è la forza naturale che travolge senza ragione né spiegazioni, l’insicurezza, il filo del rasoio che accompagna gli esseri umani dall’alba del mondo. O forse è qualcosa d’altro, di oscuro e da non nominare troppo spesso?
Con un linguaggio antico, brullo come le colline d’inverno e schietto, Andrew Michael Hurley fonda un nuovo genere, gemello inquietante del realismo magico caro a Márquez: il “realismo orrorifico”.
Noi gli diamo il benvenuto… e non nascondiamo un brivido.
A cura di Francesca Mogavero
Andrew Michael Hurley
Andrew Michael Hurley vive nel Lancashire, dove insegna letteratura inglese e scrittura creativa. Ha pubblicato due raccolte di racconti. Loney è il suo primo romanzo, in corso di pubblicazione in dieci paesi, tra cui Stati Uniti, Francia, Germania, Olanda e Brasile.