Recensione di Francesca Marchesani
Autore: Ottessa Moshfegh
Traduzione: Gioia Guerzoni
Editore: Feltrinelli
Genere: Narrativa
Pagine: 240
Pubblicazione: 2019
Sinossi. La protagonista è una persona sola, tremendamente sola, seduta sul bordo del mondo. Orfana da anni, bella, ricca, colta, lascia il lavoro in una galleria d’arte e decide di imbottirsi di farmaci per dormire il più possibile e non provare nessun sentimento. Tra flashback di film anni ottanta, Whoopy Goldberg e Mickey Rourke in «9 settimane e mezzo», dialoghi surreali spesso spassosi, descrizioni di una New York patetica e scintillante, il libro ci spinge a chiederci se davvero possiamo mai sfuggire al dolore. Una strana favola nera, irriverente, in cui i personaggi non sono gradevoli, anzi spesso risultano insopportabili, ma Moshfeghriesce ugualmente a farci affezionare persino a Reva, l’amica fragile e buffa, o allo psichiatra pazzo che prescrive farmaci senzabattere ciglio, mettendoci di fronte al lato più oscuro e incomprensibile dell’umanità.
Recensione
Chi, almeno una volta nella vita, non ha sognato di addormentarsi per poi risvegliarsi quando la tempesta fosse finalmente finita?
Una sorta di Wake me up when september ends, oppure, al contrario come gli orsi quando vanno in letargo tutto l’inverno per poi risvegliarsi con il favore del clima più mite.
La nostra protagonista decide quindi di prendersi un anno sabbatico, non dal lavoro o dalle relazioni sentimentali, ma proprio dalla vita in sé.
Lei sta bene solamente quando dorme. In quei momenti non pensa a niente, cade in un oblio di venti ore al giorno in cui fa acquisti online o manda messaggi ambigui, compra chili di gelato o organizza feste. Deve fare di più, stordirsi di più per non essere in grado neanche di alzarsi dal letto.
Dalla sua parte ha una psichiatra credulona che, fidandosi sulla parola, le da dosi sempre più massicce di sedativi e tranquillanti che stenderebbero un elefante. Ma ormai il suo corpo è abituato e ha bisogno di fare cocktail di pasticche sempre più pesanti.
A volte viene costretta dal mondo esterno ad essere cosciente, ad essere viva, in posizione verticale e le dispiace. Come se l’essere al mondo le impedisse di quello che in realtà vuole fare, dormire. Il suo non è un desiderio di suicidio, non vuole morire per sempre, solo per un po’. Attenuare un dolore che non fa altro che crescere ogni volta che apre gli occhi.
Ma non vuole un sonno eterno, vuole vivere una specie di ibernazione che le permetterà di affrontare la vita come una persona nuova, rinata, con un’altra buccia.
Un piccolo consiglio, libro da leggere mentre state fuori, all’aria aperta, non prima di dormire. Altrimenti altro che sogni d’oro.
Ottessa Moshfegh
Nata a Boston Ottessa Moshfegh, è scrittrice e saggista. Ha pubblicato una novella, McGlue, che ha vinto il Fence ModernPrize e il Believer Book Award. Suoi racconti sono apparsi sulla “Paris Review”, sul “New Yorker” e su “Granta”. Con Eileen, il suo primo romanzo, ha vinto il PEN/Hemingway Award per l’opera prima ed è stata finalista del National Book Critics CircleAward e del Man Booker Prize. Nel 2019 pubblica con Feltrinelli Il mio anno di riposo e oblio.
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