Recensione di Alessia Diana
Autore: Wilbur Smith, Corban Addison
Traduzione: Sara Caraffini
Editore: HarperCollins
Genere: storico, avventura
Pagine: 544
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Figlio di un influente proprietario terriero della Virginia, Augustus Mungo St. John ha sempre dato per scontati la ricchezza e il lusso in cui è vissuto grazie ai privilegi di cui godeva la sua famiglia. Finché non riceve la notizia che il padre è morto e, una volta tornato a casa dall’università, scopre che il subdolo Chester Marion, l’amministratore della piantagione, li ha mandati in rovina e si è appropriato con l’inganno della sua eredità e di tutto ciò che gli spetta di diritto. E come se non bastasse ha costretto Camilla, la giovane schiava di cui lui è innamorato da sempre, a diventare sua amante. Spinto dalla rabbia e dall’amore, Mungo giura di vendicarsi e da quel momento in poi dedica la propria esistenza a salvare Camilla… e a distruggere Chester. Mentre Camilla, che in quanto schiava non ha modo di sottrarsi alle angherie del suo brutale padrone, deve piegarsi al proprio destino e imparare a sopravvivere come può, Mungo lotta contro ogni sorta di avversità, spinto dalla sete di vendetta e dalla volontà di riconquistare il proprio status. Ma fino a che punto sarà disposto a spingersi per ottenere ciò che desidera?
Recensione
Pur essendo una grande amante dei romanzi storici (e il periodo in cui è ambientato questo, nell’Ottocento e tra America, Regno Unito e colonie africane, lo rendeva candidato a entrare tra i miei preferiti), non me ne capitava fra le mani uno che apprezzassi da tempo.
Con “Il richiamo del corvo”, effettuo la mia prima lettura in assoluto di un romanzo di Wilbur Smith. Diciamo che iniziare dalla fine non è mai consigliato, ma comunque sono riuscita a godermi un romanzo storico come non facevo da tempo, tanto che l’ho divorato in tre giorni.
Smith e Addison hanno dato vita a una vicenda che, nonostante si possa aver letto o visto diverse storie più o meno simili (l’atmosfera non può non ricordarmi in parte il film “Django”, per fare un esempio), riesce a catturare il lettore e ad appassionarlo ai protagonisti, senza la certezza di come il libro finirà (o perlomeno per me che non conosco gli altri, poiché ho letto che questo è in effetti una sorta di prequel a una nota saga).
Insomma, non si tratterà del libro più originale del mondo, ma di certo storie come questa non saranno state nemmeno uniche, in quel periodo storico, e comunque è una storia che si sa raccontare. Lo stile di scrittura è esempio di perfetto equilibrio: mai troppo scarno, ma nemmeno eccessivamente pregno di dettagli che appesantirebbero la lettura.
Riesce a rendere benissimo descrizioni di cose, di azioni o riflessioni, fornendo una caratterizzazione adeguata a rendere “Il richiamo del corvo” un romanzo dignitoso e che merita una recensione positiva. Una sola critica, tuttavia, mi tocca farla proprio a proposito di caratterizzazione e personaggi, e il destinatario è lui: Mungo St John, il bello e dannato, il protagonista che accompagniamo e di cui leggiamo il punto di vista per tre quarti buoni di romanzo.
Se ho detto che la caratterizzazione è ben fatta dico il vero, ma ciò non salva Mungo dall’essere un esempio di ciò che in gergo si definisce “Gary Stu”: un personaggio maschile perfetto praticamente ovunque, anche quando agisce da perfetto bastardo. Mungo è intelligente, colto, bello, affascinante, un autentico adone, e non c’è cosa che non sappia fare o situazione da cui non esca incolume, o quasi.
Da perfetto damerino fa a botte con persone grosse il triplo, messo su una nave diventa il miglior marinaio in due mesi, se la cava sempre, anche quando ha eserciti alle calcagna. È, in poche parole, così perfetto da non risultare realistico. E anche quando agisce in modi definibili in ogni modo meno che “nobili”, comunque sembra apparire in bella luce, dato che ci viene presentato come uomo “onorevole che non vuole essere ipocrita”, insomma, come colui che fa qualcosa perché “costretto”. Un santo all’inferno, in pratica. Non amo moltissimo questi personaggi.
Difatti, ho apprezzato maggiormente come Camilla, al contrario, capisca di doversi sporcare e riconosca dignitosamente la cosa, continuando tuttavia così non per porsi come martire, ma perché ha un figlio da tutelare. Nel complesso però, tollerando la perfezione di Mungo, come ho detto, si riuscirà a mettere le mani su un bel libro, storicamente accurato e scritto in modo pregevole.
Wilbur Smith
Wilbur Addison Smith (Broken Hill, 9 gennaio 1933) è uno scrittore zambiano. Di origini britanniche, ha raggiunto il successo nel 1964 con Il destino del leone. Molti dei suoi romanzi sono ambientati nel XVI e nel XVII secolo e raccontano gli insediamenti nelle zone meridionali dell’Africa, contribuendo a spiegare l’ascesa e l’influenza storica dei coloni inglesi e olandesi in quei territori. Tra i suoi maggiori successi: Il destino del leone, La spiaggia infuocata, Il dio del fiume, Il settimo papiro, Come il mare. Considerato l’incontrastato «maestro dell’avventura» e uno dei massimi autori di bestseller, ha venduto oltre 122 milioni di copie dei suoi libri nel mondo, di cui 23 milioni solo in Italia. Il Times lo ha definito «un autore di culto, uno di quei punti di riferimento cui gli altri scrittori vengono continuamente paragonati». La maggior parte dei suoi romanzi è legata all’Africa, sua terra natale.
Corban Addison, avvocato, vive a Charlottesville in Virginia, e da diversi anni si occupa di violazione dei diritti umani. In particolare, membro attivo della International Justice Mission, che lavora per garantire accesso alla legge e alla giustizia nei Paesi del Terzo Mondo.
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