Il sentiero selvatico




MATTEO RIGHETTO


DETTAGLI:

Editore: Feltrinelli

Genere: narrativa

Pagine: 240

Anno edizione: 2024

Sinossi. Piove da più di un mese a Larzonèi. Nel paesino ai piedi delle Dolomiti bellunesi gli anziani giurano di non aver mai visto cadere dal cielo tanta acqua. E sotto l’acqua si riuniscono il 2 novembre del 1913 per la messa del giorno dei morti. Ci sono tutte le famiglie della zona, anche i Thaler, con la loro unica figlia di sei anni, Katharina. D’improvviso e inspiegabilmente, nel mezzo della liturgia, la bimba sparisce nel nulla. Il paese intero la cerca tra i boschi per tutta la notte, invano. La piccola Tina riappare da sola il giorno dopo, proprio quando finalmente cessa la pioggia. Sta bene, ma non ricorda nulla di quel che le è accaduto, e tra i paesani cominciano a correre strane e malevole voci. Presto per tutti Tina diventa la strìa, la strega che è stata rapita dai morti, che ha conosciuto il diavolo. L’unico rifugio, il luogo dove trova pace e sicurezza, è il monte Pore con i suoi boschi, i torrenti e gli animali selvatici che lo rendono vivo. Tina Thaler è già una leggenda, una vecchia cacciatrice che vive sulla montagna, quando la incontriamo ne “La stanza delle mele”. In queste pagine ci addentriamo nella sua vita, a ritroso nel tempo, fino a scoprire i misteri che la avvolgono e le scelte coraggiose che la portano ad essere la guardiana della natura dolomitica, come uno spirito antico che cammina per prati e vette e che, come gli animali selvatici, si lascia vedere solo se è lei a deciderlo.

 Recensione di Renata Enzo


C’è un filone soprannaturale che attraversa la letteratura italiana degli ultimi anni. È una narrazione che evoca le antiche leggende delle nostre montagne, dolomitiche o celtiche, contaminandole con i fatti della storia, passata o recente.

Ė così per Ninfa dormiente, di Ilaria Tuti, un noir che trasporta il lettore all’interno dei misteri custoditi dai popoli della Val Resia. È così per Il Duca, di Matteo Melchiorre e per la leggenda del Bus de Caoròn. È così nel romanzo di Matteo Righetto, Il sentiero selvatico, ambientato nel Tirolo ladino popolato di leggende e di personaggi fantastici, protagonisti dei filò illuminati a stento dalla luce lugubre di candele e lanterne.

Partiamo dalla copertina: il volto di una bambina con uno sguardo magnetico e profondo, che vede al di là della realtà per cogliere i misteri e il significato profondo delle cose. È il ritratto della piccola Tina Thaler, un personaggio che abbiamo già incontrato ne La stanza delle mele e di cui Il sentiero selvatico rappresenta, in un certo senso, un prequel.

È la sera del 2 novembre 1913 a Larcionèi, piccolo borgo delle Dolomiti, dove piove ininterrottamente da settimane. La piccola Tina sparisce durante la messa dei morti: ha seguito una voce che l’ha attirata nel bosco. Dopo un giorno e dopo inutili e faticose ricerche notturne, Tina riappare, incredibilmente pulita e dimentica di quanto successo.

Cosa le è accaduto?

Nella comunità di Larcionèi cominciano a girare strane voci su di lei, sulla sua strana e inspiegabile scomparsa che, per gli abitanti, ha senz’altro a che fare con la notte dei morti.  Da un giorno all’altro, Tina diventa per tutti una “diversa”, una strega. Di lì a poco, alla tragedia personale di Tina si aggiunge l’insana tragedia della prima guerra mondiale che travolge l’intera umanità e la sua stessa famiglia. Nel mondo civile non vi è pace né libertà: l’unico rifugio è nel  bosco e nei suoi abitanti. 

De Il sentiero selvatico ho amato le atmosfere misteriose e i paesaggi incantevoli delle Dolomiti; poche parole e siamo già nel fitto del bosco, rapiti dallo sguardo intenso e selvaggio dell’ultima lupa. La pace, sembra dire l’autore, non è nel nostro faticoso e quotidiano affrettarsi da una parte all’altra, ma nell’abbandonarsi all’essenza della natura che ci circonda. 

A Larcionèi, Tina è l’unica ad averlo compreso: 

“Nessuno riusciva a capire il senso di pace che lei provava quando si immergeva nella natura, nel suo silenzio, la quiete che le trasmetteva”.

In questo senso, Il sentiero selvatico è un romanzo ecologico, nel significato etimologico del termine che rinvia all’equilibrio tra uomo e ambiente. 

Se Righetto condivide l’abilità narrativa dei cantastorie popolari, i suoi personaggi mancano però della profondità empatica che ci aspetteremmo. Comprendiamo ma non viviamo il dramma emotivo di Tina e neppure quello dei suoi genitori. Quasi didascalico è il rapporto di Tina con la comunità di Larcionèi, come a dimostrare quanto pericoloso e sbagliato sia il pregiudizio, quanto alle donne sia stato dato in sorte di essere maltrattate e sottomesse dai maschi:

“I maschi sono quasi tutti così… E quelli che bevono ancora peggio, quelli che si attaccano alla bottiglia sono veri diavoli! È proprio vero che chi non riesce a fare luce fa ombra.”

Rimane  la magia di un sentiero selvatico che vale la pena di percorrere.

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Matteo Righetto


Matteo Righetto vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (TEA, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (TEA, 2016, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo; Feltrinelli UE, 2024) e Dove porta la neve (TEA, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019).
La sua trilogia è diventata un caso letterario internazionale con traduzioni in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Germania, Olanda. Per Feltrinelli ha pubblicato I prati dopo di noi (2020) e La stanza delle mele (2022). Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Speciale Dolomiti Unesco. È Presidente della Sez. Livinallongo – Colle Santa Lucia del Club Alpino Italiano.

A cura di Renata Enzo

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