Recensione di Francesco Morra
Autore: Giaime Alonge
Editore: Fandango Libri
Genere: Narrativa
Pagine: 464
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Agli inizi degli anni Quaranta, il maggiore delle SS Hans Lichtblau viene messo alla guida di un programma di ricerca che utilizza i prigionieri dei campi di concentramento come cavie, ma anche come assistenti, inquadrati nel Kommando Gardenia. Sullo sfondo degli esperimenti, la “soluzione finale del problema ebraico”, l’avanzata nazista in Russia e la colonizzazione dei territori dell’Est, poi, inaspettata, la disfatta e la caduta di Berlino. Del Kommando fanno parte Shlomo Libowitz, nato in uno shtetl polacco e convertitosi al sionismo nel Lager, e Anton Epstein, ebreo assimilato della borghesia praghese, convinto che l’unica risposta possibile alla barbarie sia il socialismo. Shlomo e Anton sopravvivono alla guerra e al trattamento di Lichtblau, testimoni scomodi di un mondo passato, eppure ancora capace di influire sul presente. A distanza di quarant’anni, per conto di mandanti diversi e in apparenza inconciliabili, i due reduci si mettono sulle tracce di Lichtblau, il quale, in America Centrale, combatte i sandinisti per conto della CIA, razzia villaggi e smercia droga. Quella di Anton e Shlomo è una vendetta tardiva, in una corsa contro il tempo, perché la vita potrebbe essere troppo breve per saldare tutti i conti. Una spy story in bilico tra due continenti e due epoche, un romanzo corale su una civiltà al tramonto.
Recensione
Due reduci dei campi di prigionia ebrei negli anni ottanta danno la caccia ad un medico nazista che sotto falsa identità si ripara in Centro America aiutati da una agente del Kgb e dalle milizie sandiniste.
Vengono narrati due momenti diversi il 1982 e gli anni quaranta. L’ultimo libro di Giaime Alonge non è solo una spy story sul nazismo e sulla barbarie della guerra. Si affronta certo e viene raccontato delle sperimentazioni e di come esseri umani furono utilizzati come cavie ma la lettura di queste pagine ci porta ad immedesimarci con i torti e soprusi subiti dal popolo ebraico e nel contempo ci fa porre delle riflessioni sul Sionismo.
“Non abbiamo diritto anche noi ad avere una patria?”, lo incalzò Dov.
“Certo”, rispose Marc, convinto. “Però, se per avere una patria dovevamo cacciare la gente da casa sua, allora sarebbe stato più giusto prenderci la Baviera.”
I personaggi incarnano alcuni aspetti e differenti archetipi sociali. Shlomo Libowitz, uomo semplice, ha come obiettivo di vendicarsi mentre Anton Epstein, studente di medicina e poi chirurgo, è trascinato ad affrontare un passato che vorrebbe accantonare. Entrambi sono accomunati da un sentimento di disagio, ovvero del perché sono sopravvissuti. Loro sono vivi e questo è una colpa. Sindrome questa di molti scampati all’abominio della Shoah. Il cattivo o per meglio dire l’anti eroe Hans Lichtblau, alias Victor Huberman, nato negli States torna in Germania per aderire entusiasticamente al Reich perché la sua famiglia ha perso tutto nella crisi del 1929 e vede nella società che sta costruendo il caporale austriaco, un luogo dove poter crescere e dedicarsi interamente alla ricerca medica e per questo utilitaristicamente, in seguito, tradisce le SS e diventa parte di alcuni programmi degli americani. Questi sono i profili e caratterizzazioni più interessanti, certo troviamo l’agente segreto Yakovchenko e molti altri, ma Shlomo Anton e Hans su loro ruota ogni parola e immagine.
Fortissima è l’empatia che si prova con gli attori di questo romanzo. Saremo Shlomo e Anton e soffriremo e odieremo con loro.
Le campagne e la natura della Prussia orientale, Nicaragua ed Honduras fanno da cornice alle vicende dei protagonisti. Emblematiche le scene nella foresta nicaraguense e nella tenuta dello Junker, Barone Von Lehndorff.
Voleva vivere. Però voleva anche vendicarsi. Si augurò che una cosa non escludesse l’altra.
La Memoria intesa come persistente e doveroso ricordo dello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale qui si unisce alla barbarie della guerra e alla descrizione della connivente indifferenza di molti. Terribile la scena descritta della riunione presso il Comando per la sicurezza del Reich dove Heydrich, espone la soluzione finale ed evacuazione degli ebrei. Trattare esseri umani come cose o addirittura scarti da smaltire è raccapricciante.
La gretta indole utilitaristica di Lichtbau che diventa produttore di droga sfruttando i risultati delle sue ricerche mediche sugli internati del campo di Soldau aprono crepe su aspetti poco conosciuti della follia del Reich
Il romanzo scorre veloce e l’alternarsi dei due momenti temporali fornisce ritmo e si incastra perfettamente nell’ordito narrativo. Giaime Alonge ci fa riflettere e riesce ad introdurre come la costituzione dello stato di Israele sia stato conquistato con ogni mezzo dagli ebrei come risarcimento per i millenni di soprusi acuiti terribilmente nella seconda guerra mondiale ma fa trasparire quanto molte azioni ed il sionismo abbiano prodotto situazioni incandescenti in Palestina. Un forte prezzo da pagare e il cui conto non è ancora saldato visto l’instabilità geopolitica del medioriente.
Il sentimento del ferro, quella sorta di percezione che lo schermidore ha con la sua arma e lo porta ad essere tutt’uno con essa è utilizzato magistralmente per simboleggiare i sentimenti che permeano una storia di odio, vessazione e vendetta. Vivere l’esistenza, con le proprie pulsioni, non monda dagli errori e tanto meno li giustifica, vi si è solo soggiogati da essi stessi.
Molto più di una caccia all’uomo. Un libro che riesce a narrare senza maschere di comodo e retorica delle deportazioni, esperimenti e violenze della guerra, inserendo una riflessione sulla vendetta che non serve a riparare.
Nulla può ripristinare lo stato ex ante. Alonge si dimostra coraggioso nell’affrontare tematiche impervie e narrarle finalmente umanizzandole. Lo scorrere di queste pagine ci rende più consapevoli, come èmerito inestimabile della grande letteratura. Ci rende più umani.
Abbiamo la fortuna di avere dei grandi scrittori italiani contemporanei, ebbene leggiamoli!
A cura di Francesco Morra
Giaime Alonge
Giaime Alonge: (Torino, 8 dicembre 1968) Sceneggiatore e scrittore. Si laurea alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino nell’ottobre del 1992, con una Tesi su Apocalypse Now, che da lì a breve diventa il suo primo libro. Al Seminario dei laureandi del professor Gianni Rondolino stringe amicizia con Daniele Gaglianone, insieme al quale, nell’estate del 1993, scrive la sceneggiatura di un lungometraggio che il regista realizza sette anni dopo: I nostri anni (2000). Nell’intervallo tra la prima stesura del copione e le riprese del film, Giaime Alonge intraprende la carriera accademica. Frequenta il Dottorato di Ricerca presso il Dams di Bologna, ed effettua soggiorni di studio in Canada e negli Stati Uniti. Dopo I nostri anni, presentato alla “Quinzaine des realisateurs” dell’edizione 2001 del Festival di Cannes, prosegue il sodalizio con Gaglianone, cui nel frattempo si è aggiunto Alessandro Scippa. Il terzetto, oltre a varie sceneggiature non realizzate, scrive altri due lungometraggi: Nemmeno il destino (2004) e Ruggine (in fase lavorazione). Individualmente, Alonge lavora a lungo a un adattamento in chiave moderna dell’Anabasi di Senofonte. È un progetto bifronte, al contempo cinematografico e letterario. Nel 2006 questo soggetto arriva in finale al Premio Solinas, nella sezione “Storie per il cinema”, per poi divenire romanzo: L’arte di uccidere un uomo (Baldini Castoldi Dalai, 2009).Il sentimento del ferro (Fandango Libri, 2018) è il suo ultimo libro.