Il tempo dell’onestà




Recensione di Salvatore Argiolas


Autore: P.D. James

Traduzione: Annamaria Raffo

Editore: Mondadori

Genere: Autobiografia Pagine: 293

Anno di pubblicazione: 2000

Sinossi. In questo diario, tenuto tra il suo settantasettesimo e settantottesimo compleanno, P.D. James ricostruisce la sua storia personale e la storia del secolo in cui è vissuta. La “signora britannica del giallo” affronta, sempre con deliziosa eleganza, gli argomenti più disparati: dai ricordi sulla Seconda guerra mondiale agli aneddoti sulla BBC, dall’infanzia a Cambridge alle riflessioni sulla vita, la morte e il sesso. Passando per l’analisi del mestiere di scrittore e la storia della letteratura poliziesca, la James dà una sua personale interpretazione del motivo per cui le donne, da Agatha Christie a Patricia Cornwell, eccellono nella crime fiction. Seguendo il filo della memoria, coinvolge il lettore in un originale affresco della vecchia Inghilterra, di cui rappresenta una delle ultime e più autorevoli protagoniste.

Recensione

“Il tempo dell’onestà” è il titolo dell’autobiografia di Phyllis Dorothy James meglio nota ai suoi numerosi fan come P.D. James. Strutturato come un diario che copre un anno della sua vita, dall’agosto 1997 allo stesso mese del 1998, quelli della pubblicazione e della promozione del romanzo “Una certa giustizia”, il libro ripercorre la vita e le opere della scrittrice di Oxford la vera Regina del giallo inglese dopo la morte di Agatha Christie ma non mancano interessanti informazioni sulla genesi dei suoi libri.

Il titolo originale è “Time to Be in Earnest” che ricorda il titolo della commedia di Oscar Wilde “The Importance of Being Earnest” intraducibile in italiano, conosciuta principalmente come “L’importanza di chiamarsi Ernesto”.

Della commedia di Wilde P.D. James cita anche la definizione di diario, “semplice annotazione dei pensiero e delle impressioni di una ragazza, e solo in seguito destinata alla pubblicazione”.

La scelta insolita di strutturare la propria autobiografia come un diario consente a P.D. James, da un lato di illustrare le cose che più le interessano accumulando ricordi, suggestioni e temi legati alle varie date e dall’altra parte le permette di raccontare pudicamente la sua vita parlando il meno possibile della tragedia del marito che, ferito durante la seconda guerra mondiale, passò il resto della sua vita entrando e uscendo dagli ospedali psichiatrici.

L’esistenza della giovane Phyllis nell’immediato dopoguerra con due bambine da crescere e con il marito gravemente malato non è stata sicuramente molto facile ma lei ne parla pochissimo e non si lamenta mai di niente e quando si riferisce a quel periodo lo fa sempre con serenità.

Nata nel 1920, la James pubblicò il suo primo giallo “Copritele il volto” nel 1962 e racconta che “tutti davano per scontato che P.D. James fosse un uomo. Un recensore scrisse: “Fino a questo momento, poiché è un mystery, non sono ancora riuscito a risolverlo. Spero che il signor James vorrà regalarci molti alti piaceri come questo”. Sulla scelta del nome l’autrice scrive che “quando il manoscritto fu pronto per essere inviato a un agente o a un editore, scrissi Pyllis James, Phyllis D. James. P.D. James e decisi che quest’ultimo più corto ed enigmatico, avrebbe fatto miglior figura nel dorso del libro”.

La James scrive di essere stata influenzata principalmente da alcune scrittrici: Dorothy Sayers, Margery Allingham, Ngaio Marsh e Josephine Tey, tutte grandissime gialliste della prima metà del secolo scorso.

Il suo primo romanzo fu fortunato in quanto quando lo presentò alla casa editrice Faber & Faber, che poi pubblicò tutti i suoi romanzi, mentre stavano cercando un autore che sostituisse un loro romanziere di punta appena scomparso, il giallista inglese Cyril Hare poco conosciuto in Italia, famoso soprattutto per “Delitto di Natale”.

Il libro piacque subito e l’autrice lo ricorda così: “Oggi sfogliando “Copritele il volto”, sono colpita da quanto sia convenzionale. E’ una detective story alla maniera di Agatha Christie, anche se mira a scavare più a fondo nella mente e nelle motivazioni dei personaggi. C’è un villaggio inglese, le figure chiave del prete e del dottore, la vergine inquieta che dirige la casa per le ragazze madri. Il libro è lo specchio dei suoi tempi.”

La trama fu ideata principalmente in treno mentre lavorava per la direzione del Paddington Hospital e fu scritto, sempre a mano, la mattina presto, prima di andare a lavorare.

Essendo scritta tra il 1997 e il 1998 l’autobiografia raccoglie anche molti commenti alle notizie di cronaca e non potevano mancare riferimenti alla morte di Lady Diana, vera e propria icona pop inglese.

Tra tante notizie, appuntamenti, conferenze, recensioni, suggestioni letterarie P.D. James svela anche l’origine del nome del suo detective più conosciuto Adam Dalgliesh che era il nome del padre dalla sua insegnante di inglese.

Le pagine più intriganti sono quelle dove inserisce stimolanti considerazioni sulla struttura del giallo e sui suoi stilemi narrativi:

“La detective story, scrive la James è una forma di intrattenimento popolare e i lettori degli anni Trenta preferivano che i loro eroi fossero quanto meno socialmente simili a loro e dimostrassero qualità allora considerate essenziali per un eroe letterario: coraggio, discrezione, intelligenza e buone maniere. C’era poca attenzione per la credibilità, specialmente per quanto riguarda il metodo dell’omicidio. I rapporti tra la polizia e l’enciclopedico detective erano del tutto irrealistici, i dettagli di medicina e tecnica legale inaccurati se non del tutto omessi. Si evitava la violenza, talvolta non c’era il minimo spargimento di sangue, e il cattivo riceveva immancabilmente la giusta punizione senza troppi riguardi per le finezze psicologiche.

Gli anni Trenta erano quasi immuni da violenza domestica e sebbene ci fossero zone dei centri urbani pericolose come ai giorni nostri, le immagini della disgregazione sociale non entravano quotidianamente nel salotto di casa portate dalla televisione. Era possibile vivere in una piccola città di campagna o in un paese e sentirsi quasi totalmente al sicuro. Le detective stories degli anni trenta portano vivacemente alla luce i decenni tra le due guerre. Quella che troviamo in questi mystery essenzialmente garbati, è una società ordinata nella quale la virtù è considerata la normalità e il crimine un’aberrazione e nella quale c’ poca comprensione per i criminali.

Una delle critiche mosse oggi alla detective story degli anni Trenta è di assecondare lo snobismo della classe media. Indubbiamente non viene mai in mente un solo romanzo poliziesco di quel periodo in cui un domestico o un esponente della classe operaia sia l’assassino o rivesta un ruolo di qualche importanza per la vicenda.

E’ quasi come se la classe lavoratrice fosse presente per fornire al detective i soliti indizi utili, o spinti comici, e talvolta venir sacrificata come vittima aggiuntiva, ma raramente come vittima principale. Questa accettazione acritica delle divisioni sociali si trova praticamente in tutta la detective story degli anni Trenta ma è forse più evidente in quelle di Dorothy Sayers e Ngaio Marsh.

Ogni romanziere scrive ciò che sente il bisogno di scrivere, seguendo una pulsione inconscia a esprimere e spiegare la propria visione della realtà. L’autore di romanzi polizieschi non privilegia il delitto rispetto alla fiction romantica o scientifica in base ad una scelta consapevole ma perché sente il bisogno di affrontare l’atavica paura della morte, di esorcizzare il terrore della violenza e ristabilire una pace e una tranquillità, seppure fittizie, dopo l’orrore distruttivo dell’omicidio e di affermare l’inviolabilità della vita umana e la possibilità di una giustizia, anche se si tratta solo della giustizia fallibile degli uomini.

Molto raramente mi soffermo sull’atto dell’omicidio, ma devo ammettere che dipingo la vittima con realismo, anzi con vivacità. In una detective story, il momento in cui viene scoperto il cadavere è un momento di orrore e di grande drammaticità e il lettore dovrebbe sperimentare entrambi. Descrivo sempre la scena attraverso gli occhi del personaggio che trova il corpo e spesso essa risulta più efficace se quel personaggio è innocente.

La scena in “Un gusto per la morte” in cui i corpi dell’ex ministro della corona e della prostituta vengono incongruamente uniti dalla morte nella sagrestia di una chiesa di Paddington fornisce un contrasto che ritengo molto efficace, un contrasto tra orrore e normalità, tra bene e male. Il fatto che i corpi vengano scoperti da Miss Wharton e Darren aumenta il raccapriccio e la continua ripetizione della parola sangue serve ad evidenziare questo rosso dilagante che pervade la mente e la retina di Miss Wharton.

In “Una notte di luna per l’ispettore Dalgliesh” però, il cadavere di Hilary Robarts viene scoperto da Adam Dalgliesh che passeggia di notte lungo la battigia. La descrizione è analitica, fredda e la reazione di Dalgliesh dopo la shock iniziale è comunque quella di un investigatore di professione. “

Fornire un movente credibile per un omicidio è una delle difficoltà maggiori che il moderno autore di polizieschi debba affrontare. Negli anni Trenta i lettori potevano immaginare che A avesse ucciso B poiché B era a conoscenza di qualcosa di altamente disdicevole sul conto della vita sessuale di A e minacciava di svelarlo. Oggi, invece di temere queste rivelazioni, le persone ricevono grandi somme per raccontare gli aspetti più, scandalosi della loro vita sessuale sui giornali della domenica e in TV. (…) In uno dei miei primi romanzi un sergente esperto dice al giovane Adam Dalgliesh che la lettera A copre tutti i moventi per l’omicidio: amore, avidità, avversione. E aggiunge: “Ti diranno, ragazzo mio, che il sentimento più pericoloso al mondo è l’odio. Non crederci. Il sentimento più pericoloso è l’amore.”

Queste opinioni e riflessioni rendono “Il tempo dell’onestà” un libro imperdibile per conoscere meglio la vita e la personalità di una grande scrittrice che per i suoi meriti letterari fu nominata membro della camera dei Lord.
 

 

P.D. James


Scrittrice inglese, è considerata l’erede di Agatha Christie. Si dedica alla narrativa gialla dopo aver lavorato al Dipartimento di polizia e criminologia ed aver fatto il giudice di pace: nelle sue opere si riflette questa conoscenza diretta dei meccanismi investigativi e giuridici. Ha inoltre affrontato argomenti attualissimi, come gli abusi sui minori, l’uso di droghe e le contaminazioni nucleari. Esordisce con Copritele il volto (1962), cui sono seguiti, tra gli altri, Un lavoro inadatto a una donna (1972), La torre nera (1973), Un gusto per la morte (1986), I figli degli uomini (1993) – romanzo fantascientifico che racconta un futuro distopico con un’umanità infertile e da cui è stato tratto un film diretto da Alfonso Cuaron nel 2006 -, Morte sul fiume (1995), Morte in seminario (2001), Brividi di morte per l’ispettore Dalgliesh (2006), A proposito del giallo. Autori, personaggi, modelli (2009) – una particolare guida per imparare a leggere e scrivere gialli e noir – e Morte a Pemberley (2013), suo ultimo romanzo, in cui P.D. James inscena il seguito in giallo di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, grande modello per la scrittrice. Due sono i personaggi ricorrenti: l’ispettore Adam Dalgliesh e l’investigatrice privata Cordelia Gray, entrambi intelligenti, sensibili e problematici, protagonisti di trame dove il rigore deduttivo si accompagna alla partecipe intuizione di oscuri nodi psicologici.P.D. James ha vinto diversi premi letterari dedicati al genere giallo e noir: il Silver Dagger Award (per tre volte), il Premio Macavity, il premio Cartier Diamond Dagger e il prestigioso Raymond Chandler Award, istituito da Irene Bignardi nel 1996 in collaborazione con il Raymond Chandler Estate.

 

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