Recensione di Mirella Facchetti
Autore: Matteo Fontana
Editore: Feltrinelli
Pagine: 313 nella versione a stampa
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2018
Chi racconta ha temporaneamente perso la memoria a causa di un forte trauma. Ricoverato in una clinica in Alaska, su di lui sono state rinvenute persistenti tracce radioattive e il dottor Mills, che lo ha in cura, si convince che l’uomo sia sopravvissuto a un disastro nucleare. Grazie ai frequenti dialoghi con lo psichiatra, in lui riaffiora il volto di una donna, sempre più insistente: non ricorda il suo nome, ma sente di averla amata. In seguito gli tornano alla mente voci e suoni di una città distrutta – che nel romanzo non ha nome, ma è facilmente identificabile con Pripyat, la più vicina al reattore di Chernobyl. Il bisogno di recuperare la propria identità e la speranza di incontrare quella donna misteriosa lo spingono a fuggire dalla clinica per tornare nei luoghi dove è intrappolata la sua memoria. Nella città apparentemente abbandonata, il protagonista incontra persone in cerca di risposte, tra case deserte piene di ricordi altrui, prati vetrificati e la Centrale che domina la città come un grande mostro dormiente. Nella zona contaminata nuovi ricordi vengono a galla, legati alla donna amata, ma anche a un carissimo amico in comune. Riemergono frammenti del tempo perduto, discussioni appassionate sui libri prediletti, le partite a scacchi, le passeggiate, il lavoro alla Centrale. Tuttavia gli oggetti sembrano restituirgli anche un passato colpevole, l’ombra di un tradimento che si allunga sino al giorno dell’incidente nucleare, ripercorso nel suo drammatico crescendo.
RECENSIONE
“Il passato non torna, e neanche passa, in fin dei conti. In realtà è sempre qui che ci accompagna, che ci segue, ci affianca, ci tormenta, e noi possiamo anche provare a dimenticarcelo, ma lui sarà sempre con noi perché Proust ha ragione, noi in fondo siamo esseri fatti di tempo, il nostro habitat è il passato, viviamo immersi in esso”.
“Però so che, nell’imperscrutabile disegno cosmico, i nostri percorsi umani, si sono incrociati, in un dato punto del Tempo e dello Spazio, e quel che ne è scaturito – come avviene tra elementi chimici – è stato un legame, un’amicizia, breve, intensa, sincera. Semplicemente un’amicizia”.
Un uomo senza memoria, un uomo che si oppone al trattamento clinico, agli aiuti psicologici all’avanguardia forniti in una clinica d’élite. Un uomo intelligente, acuto, colto, che dopo questa prima fase di rifiuto, si apre con uno psicologo e inizia così un trattamento diretto al recupero della memoria. Un trattamento atipico, fatto di letture, di chiacchiere, di discorsi, di tempo condiviso e che si trasforma, piano piano, in un rapporto di amicizia.
Ma quando da quella memoria, che sembrava persa per sempre, cominciano a riaffiorare immagini, volti, luoghi, un uomo non può che seguire quei piccoli sprazzi di luce alla ricerca di un sé dimenticato. Perché che cosa è una persona senza il suo passato?
E così, inizierà un viaggio in una città devastata da un incidente (sarà proprio così?) nucleare, un viaggio in una città abbandonata, radioattiva, tossica, abitata da poche anime che attendono l’inevitabile. Un viaggio, in quei luoghi che riemergono come spicchi nella memoria del protagonista, grazie al quale incontreremo personaggi soli, testardi, ma ancora capaci di gesti significativi, umani.
Più si prosegue nel racconto, più i ricordi riaffiorano prepotentemente nella mente del protagonista, fino ad una verità (ma sarà la vera verità?) inaspettata.
Non dico di più per non incappare in pericolosi spoiler. Ma, in ultima analisi, voglio focalizzare la mia attenzione su, quelli che, a mio avviso, sono i due punti cardine di questo romanzo.
Se mi si chiedesse, “ma alla fin fine, di cosa parla questo romanzo?”, in due parole e senza dubbio direi: della ricerca di sé, del proprio passato, della propria identità.
Parla del passato come elemento che, anche quando appare dimenticato, rimosso, fa parte di noi, ci chiama a lui, ci attira prepotentemente a lui.
E, in secondo luogo, direi che parla di amicizia, quella vera, sincera, che nasce in modo inaspettato, che va oltre i dubbi, gli interrogativi. Quell’amicizia semplice e vera che si instaura come un legame chimico tra esseri umani. Ed è questa forza attrattiva del passato, nonché questa forza attrattiva dell’amicizia che mi ha conquistato, ancor più che la ricerca della verità sull’incidente nucleare da parte del protagonista.
Per ciò che concerne il profilo stilistico, il passaggio tra presente e passato, il ricorso, nella descrizione, all’analessi per concederci stralci di passato e farci conoscere tasselli della vita del protagonista, rende fluida ed interessante la lettura.
Se dovessi trovare un neo, direi che, in alcuni punti, il richiamo a termini tecnici inerenti il funzionamento della centrale nucleare e sulla radioattività, ha rallentato un po’ la lettura, che comunque, complessivamente, ho trovato estremamente interessante.
Matteo Fontana
Nato a Varese nel 1977, vive a Milano. Ha pubblicato nel 2009 con Salerno editrice il romanzo Il Gioko. Si occupa di regia: al 2010 risale il primo lungometraggio, Lupo della notte (che ha raccolto una decina di premi in festival internazionali, e che ha scritto e co-diretto). Alcuni suoi scritti inediti hanno ricevuto riconoscimenti, come il Premio Guido Morselli. Per Feltrinelli ha pubblicato Il veleno dei ricordi (2018).