Recensione di Davide Piras
Autore: Salvatore Niffoi
Editore: Giunti
Genere: Romanzo
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2022
Sinossi. Perché la verità dentro al petto bisogna avere il coraggio di pronunciarla. Ma la traversata dell’esistenza, tra le righe, si mostra sempre per quella che è: un breve e meraviglioso viaggio degli inganni. A Oropische, «ultimo paese barbaricino prima del sacro confine tra il cielo e la terra», nessuno sa che fine abbia fatto Nineddu Nirthoni. Scomparso da anni, c’è chi dice fosse un ragazzo triste, che trascorreva il suo tempo a leggere e a scrivere poesie. Qualcun altro che fosse un ladro come suo padre, il carbonaio. Altri invece che si sia dato alla macchia: aizzò gli operai della miniera di talco e, con un gruppo di sbandati, ne rapì e uccise il proprietario. Ancora oggi si parla di lui come di un esaltato, e la gente scomoda il suo nome a ogni delitto o sequestro. Ma chi lo sa poi cosa passa per la testa di un giovane sardo, cresciuto nella Barbagia più profonda, in una miseria feroce e senza speranza? È lo stesso Nineddu a raccontarlo al lettore, sfidandolo a ricomporre i pezzi della sua vita «malfatata» lungo il filo ambiguo e sottile dei ricordi.
RECENSIONE
Giunti ripropone uno dei romanzi più amati dai lettori: Il viaggio degli inganni, di Salvatore Niffoi, uscito per la prima volta nel 1999 per Il Maestrale e ritenuto l’esordio del cantore barbaricino, anche se, a onor del vero, la bibliografia indica Collodoro, pubblicato dalle Edizioni Solinas nel 1997, come vera e propria opera prima dello scrittore.
Il Viaggio degli Inganni è stato ripubblicato anche nel 2005, sempre da Il Maestrale, con una prefazione di Marcello Fois. Parliamo di un romanzo sontuoso che oggi, dopo ventitré anni, non ha perso freschezza e ci svela essere l’elemento contraddistinguente che permise a Niffoi di proporsi come unicum nel panorama letterario italiano.
Il suo stile strutturato servendosi di una prosa ibrida che utilizza l’italiano come il sardo sia in chiave lessicale che sintattica, consente di chiamare ogni cosa col proprio nome, evitando di storpiare un idioma, quello isolano, che spesso non ha una traduzione chirurgica nella lingua italiana.
Ne “Il viaggio degli inganni”, il protagonista Nineddu incarna lo spirito del banditismo, quello dell’ultimo ribelle che disconosce le leggi di uno Stato imperialista, e per questo temuto dalla gente ma allo stesso tempo idealizzato per il coraggio di opporsi alle ingiustizie. Proprio perqueste ragioni il bandito sardo raccontato nella letteratura è sì un fuorilegge ma prima ancora un uomo d’onore che, appellandosi alle leggi non scritte della Barbagia più profonda, si sente in dovere di compiere le sue vendette affidandosi al giudizio della gente e a quello divino.
Il Nineddu Nirthoni di Salvatore Niffoi è un po’ Giovanni Tolu, un po’ Cicciu Derosas, un po’ Salis Corbeddu, un po’ Agostino Alvau, tutti banditi descritti da Antonio Gramsci come uomini che alla gente piacevano più del mito sardo di Eleonora d’Arborea. Ma tutto può essere una menzogna e non importa se lui sia veramente ciò che la gente dice: il fatto che si dica è già sufficiente per far sì che sia vero.
Con la sua penna Niffoi si muove in un territorio romantico fatto di gesta avventurose: il sentimento di uomini in fuga, l’abilità di camuffarsi e sparire nella macchia grazie alla conoscenza viscerale dei monti, gli amori impossibili e spesso adulteri, l’ospitalità del popolo, ma anche l’aspetto magico e religioso che può fare la differenza tra una vita fortunata e una “malfatata” come quella di Nineddu.Quasi un realismo magico alla Marquez, tarato più per i monti di granito e le leggende nuragiche che non per le alte vette sudamericane.
Niffoi ripercorre il solco lasciato dagli autori del passato che nutrendosi di tradizione e banditismo hanno alimentato la grande narrativa e saggistica: Enrico Costa, Sebastiano Satta, Stanis Manca, Francesco De Rosa, Grazia Deledda, Ottone Bacaredda e Giulio Bechi sono solo alcuni dei precursori di un genere che ha messo radici negli scrittori sardi e ha prodotto anche nella narrativa contemporanea dei capolavori come “Memoria del vuoto” di Fois e “La vedova scalza” di Niffoi (Premio Campiello 2006), oltreché proprio “Il viaggio degli inganni” che qui viene riproposto nella collana “Le Chiocciole” con una nuova copertina, nuova veste grafica e una impaginazione più agile.
Del giorno in cui venni al mondo ricordo ancora gli odori, le voci, e il suono di una campana che pigra e indolente annunciava l’inizio della novena natalizia nell’ora del vespro. L’aria era sazia del profumo aspro dei mandarini e mia nonna Frantzisca, mentre mi sciacquava in acqua di mirto, recitava pezzi di rosario e sussurrava antiche filastrocche.
Il viaggio di Nineddu comincia il giorno della sua nascita: il 23 Dicembre del 1948, in un paese immaginario molto noto ai lettori di Niffoi, ovvero Oropische, che assieme a Piracherfa, Melagravida, Baraule e altri luoghi fantastici nel nome ma estremamente reali nel tessuto sociale dell’epoca costituiscono il territorio su cui si muovono i personaggi dei romanzi di Niffoi. siamo quasi alla vigilia di Natale. Dal primo vagito, Nineddu vive emozioni, speranze, sofferenze e disinganni che non si possono dimenticare.
È lui stesso in prima persona a raccontare la sua storia aspra che scorre lungo un’infanzia vissuta
“nell’ultimo paese barbaricino prima del sacro confine tra il cielo e la terra”,
e scivola verso l’adolescenza crudele che infine porta all’età adulta, quella in cui la ferocia spinge a ricordare e la vendetta diventa sangue caldo che scorre nelle vene. Ma dopoun’esistenza dura cosparsa di violenza, a rifuggire le verità di preti e suore, la solitudine dei profumi selvatici e il silenzio dell’abbandono possono restituire la pace all’anima inquieta di Nineddu, ché talvolta la morte non è altro che una liberazione prima di essere consegnati alla leggenda.
“Il viaggio degli inganni” è un romanzo cucito con metafore e immagini indimenticabili che solo Niffoi è stato capace di creare.
Ad esempio:
Tra le braccia di mia madre osservai l’orizzonte che si perdeva tra il viola e il blu delle colline, e sollevai la mano, come per graffiare le nuvole e liberare così le prime gocce d’acqua scura, che non vedevano l’ora di baciare le messi e di saltare sulle tegole rosse e muschiate delle case di Oropische.
E ancora:
Nella piana argillosa di Dore Vonu, nonno Vanniccu seminava un grano che dava spighe grasse e lucenti che da giovani si lasciavano sgusciare e mangiare come una cera bianca, dolce e lunare. Quell’anno le messi tardavano a imbiondire e i campi, visti dal mastio di Nuraghe Mannu, sembravano un enorme tappeto color ruggine, incastonato a mosaico dentro i muri a secco del basalto.
Chiunque abbia tentato di imitare lo scrittore di Orani ha finito tristemente per scimmiottarlo consegnandosi al pubblico ludibrio con un personale “Viaggio degli inganni”. Non esiste un altro Niffoi. E mai esisterà.
Salvatore Niffoi
è uno Scrittore italiano, ex insegnate alla scuola media, nato a Orani (NU) nel 1950. Come narratore esordisce per Il Maestrale nel 1999 (Il viaggio degli inganni), dopo aver pubblicato nel 1997 a proprie spese il romanzo Collodoro (Edizioni Solinas). Sempre per Il Maestrale sono usciti: Il postino di Piracherfa (2000; tradotto in Francia); Cristolu (2001) e La sesta ora (2003). Nel 2003 per “La Biblioteca della Nuova Sardegna” ha pubblicato La leggenda di Redenta Tiria, ripreso da Adelphi (2005), presso la quale è uscito nel 2006 La vedova scalza (Premio Campiello) e nel 2007 Ritorno a Baraule. Tra i suoi ultimi libri: Il pane di Abele (Adelphi 2009) e Il bastone dei miracoli (Adelphi 2010).
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